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Dio disarmato, semplicemente uomo: Aldo Moro nel romanzo di Andrea Pomella

10 Marzo 2023

di Filippo Bocci

“Gent.le Mario Moretti…”, comincia così Il dio disarmato di Andrea Pomella, pubblicato da Einaudi. Mario Moretti è il terrorista degli Anni di piombo, uno dei massimi esponenti delle Brigate Rosse, condannato a sei ergastoli; il dio disarmato, vedremo perché, è Aldo Moro, tra i fondatori della Democrazia Cristiana e poi Segretario e Presidente del partito, membro dell’Assemblea Costituente, più volte Ministro, cinque volte Presidente del Consiglio. Lo spazio scenico è via Mario Fani a Roma, quello temporale va dall’una alle nove del mattino del 16 marzo 1978.

“Romanzo storico, forse”, lo definisce lo stesso Pomella, ma non è del tutto un caso che il tentativo di scrivere al brigatista per ottenere un abboccamento utile al romanzo – “preferirei di gran lunga l’incontro di persona” – non trovi corrispondenza: l’indirizzo non esiste e la mail torna indietro dopo tre minuti, come tre sono i minuti dell’assalto di via Fani. Cominciare dalle Brigate Rosse senza venire a capo di niente, suggerisce in fondo che questo non può che essere un romanzo tout court, e non un romanzo storico. Lo scrittore sta cercando “l’uomo”, non la verità.

La finzione letteraria scandisce le otto ore di vita del Presidente democristiano prima del rapimento, mettendone insieme con scrupolo chirurgico affetti, ansie, manie, intimità domestica, tenerezze e riti quotidiani, prima di arrivare allo stillicidio finale, a via Fani-incrocio con via Stresa: Pomella ci consegna a quei tre minuti dopo averli prima ripercorsi con il resoconto dello straordinario servizio a caldo di Paolo Frajese, poi differiti ma ostinatamente richiamati da una serie di sue visite sul luogo della strage, infine restituiti incombenti, dilatati, espansi, quasi la gigantografia di un’instantanea.

Le otto ore di Aldo Moro sono intervallate dagli stati d’animo, dalle tensioni e dalle preoccupazioni dei giovani protagonisti, gli uomini della scorta e i brigatisti assalitori – “Via Fani è una storia di ragazzi” – dal passato del maresciallo Leonardi, per quindici anni “ombra” fidata e amica dello statista, dal panico dei testimoni oculari. Non ultimo, dalla presenza in una certa misura un po’ sinistra dell’autore, che presidia periodicamente la scena di via Fani nel vano tentativo di poterla ricomporre. Si sofferma a guardare la lapide dell’eccidio mentre il resto del mondo passa inconsapevole, e nella banale ordinarietà di una strada ormai come tutte le altre rimane solo la frustrazione per ciò che non si può più vedere, che non si lascia più trovare. È una fantasia letteraria dove anche l’autore è protagonista in un altro tempo storico rispetto ai fatti, nella difficoltà di stabilire una sincronia tra l’accaduto di allora e l’oggi spazio-temporale che lo nega, o quanto meno lo nasconde, nel disagio di superare una scissione interna, nell’impossibilità di ricostruire, di ricreare.

Emozionano allora le pagine che discrete, quasi in punta di piedi ma ossessivamente puntuali, mettono a fuoco, spiano quasi – “l’uomo è pedinato”, dice Pomella – non il Presidente ma Aldo Moro, la persona, il marito padre e nonno affettuoso.

Chiusa alle spalle la porta di casa, Moro infatti non è più il demiurgo della politica ma il dio disarmato della famiglia. Nel descrivere le sue ansie, la fiera dignità della moglie Noretta, la garrula innocenza del nipotino Luca, l’inquietante preveggenza della figlia Maria Fida, l’autore mette in piedi un affresco denso di umanità in una vicenda che di umano non ha nulla: “Ogni volta che Agnese Moro incontra gli assassini di suo padre e dei cinque uomini della scorta pone loro la stessa domanda: «Come avete potuto mettere la sveglia, dormire, alzarvi, per andare a uccidere?»”.

Attraverso una scrittura che assurge a drammaturgia sacrale, lo scrittore immagina, meglio crea immagini, poi le allarga, le dilata, le amplifica e l’opera letteraria si fa lavorio psicologico, riflessione filosofica a caccia di vita in una storia di morte.

È il pregio maggiore del libro essere sempre diverso ad ogni pagina e ad ogni lettura, carico di mille suggestioni che non lasciano punti di riferimento al lettore, destinato a schiantarsi al rallentatore verso la tragedia già nota.

Tanto è stato scritto sull’agguato di via Fani, su quel 16 marzo 1978. Andrea Pomella sceglie un piano tutto suo, non indaga, non fa cronaca, non fa storia, ma è lì a inventare, a evocare un dramma individuale, una frattura collettiva, nella creazione poetica pari a un dio, lui sì armato, ma solo di penna.


Filippo Bocci, laureato in Lettere, scrive di letteratura, cinema, teatro. Segue gli sviluppi e le tendenze della letteratura italiana e internazionale, recensendo, fra l’altro, le opere di nuovi talenti della poesia e della narrativa contemporanee. Numerosi suoi articoli sono pubblicati sul magazine on-line B-hop. Nel 2019 ha dato alle stampe «Padre Crippa un sacerdote militante. Un prete “sindacalista” al fianco delle colf», edito dalla Fondazione intitolata al religioso dehoniano. 

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