Lettera d Bruxelles
di Niccolò Rinaldi
108 anni ha vissuto Boris Pahor, grande scrittore di lingua slovena scomparso a fine maggio a Trieste, dove era nato. Una longevità che ha come voluto significare un modello di Europa più tenace di altri, un pilastro di coscienza occidentale di cui non si può fare a meno e che ci si è tenuti stretti: l’Europa degli uomini e delle donne transnazionali, di frontiera, i veri pionieri dell’integrazione. Gente come De Gasperi, che fu deputato della minoranza italiana al Parlamento asburgico, deputato del Regno d’Italia e statista della Repubblica; come Jean Monnet, francese che visse a lungo a Londra, poi negli Stati Uniti, sposo di un’italiana a Mosca; come Spaak, un fiammingo di madrelingua francese o Schuman, un lussemburghese che apparteneva tanto alla sfera latina che a quella sassone. O anche come Carlo Sforza, un aristocratico repubblicano, esule in Asia e nelle Americhe e con moglie belga. Questi sono solo alcuni dei più famosi, delle migliaia di questi transfrontalieri che il destino o la volontà ha trasformato in altrettante pietre angolari dell’Europa unita.
Boris Pahor è stato uno tra i più coraggiosi. Vittima e vincitore al tempo stesso, cittadino italiano ma letterato sempre sloveno, precursore di una Slovenia nell’Unione Europea e caposaldo della sempre troppo trascurata minoranza slava italiana, internato a Dachau e […]
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