Chi non si è mai commosso davanti all’indifeso, ma pieno di speranza, amore di Butterfly, a quel suo sentirsi ingenuamente americana, nell’attesa vana del ritorno di Pinkerton… “Un bel dì vedremo…”; chi è riuscito a trattenere le lacrime nell’ultimo atto di Boheme, con la musica che scivola verso la tragedia e, tuttavia, ancora ci parla d’amore, e ci strappa l’anima: “Ho tante cose che ti voglio dire, o una sola ma grande come il mare”; chi non conosce le note dolenti e piene di nostalgia di Cavaradossi nella Tosca: “O dolci baci, o languide carezze”; e chi non ha mai provato, anche di nascosto, magari solo a canticchiare “All’alba vincerò” insieme al principe Calaf?
L’occasione per (ri)ascoltare questa musica immortale arriva nel 100° anno dalla morte del suo autore, il lucchese Giacomo Puccini. Uomo inquieto, umorale, profondamente tormentato, è riuscito a trasferire le sue passioni nella musica, creando dei personaggi, soprattutto femminili, particolarmente intensi, che non conoscono limiti nell’esternare i loro sentimenti. Ecco allora che Mimì, Butterfly, Liù, Minnie, Tosca amano a tutto tondo, amano oltre sé stesse, più di sé stesse, al di là del concetto di amore.
Così, la musica di Puccini entra nelle storie imbastite dai due raffinati librettisti, Luigi Illica e Giuseppe Giacosa, e quel mondo di sentimenti – non più di re e regine, ma di fioriaie, poeti, pittori, geische, ragazzi da saloon – diventa attraverso le sue note universale, parla di noi e con noi.
Moltissime sono le iniziative per ricordare il grande musicista. Fra queste, il Teatro Comunale di Bologna inaugurerà la propria stagione il 26 gennaio prossimo con Manon Lescaut, la terza opera pucciniana (1893). Ad essa, la produzione bolognese dà un respiro classico – la regia è del già affermato Leo Muscato – ma nuovo nell’interpretazione di due giovani artisti sull’onda di un brillante successo: il soprano astigiano Erika Grimaldi, già interprete di Mimì ma al debutto nella parte di Manon e il tenore Luciano Ganci, alla sua prima esecuzione nel personaggio di Des Grieux. Inoltre, la bacchetta è quella di Oksana Lyniv, Direttore Musicale del Teatro Comunale dal 2022, prima donna direttore principale di un teatro lirico italiano.
Luciano Ganci risponde con slancio alle mie domande e, arricchita dal generoso racconto della sua esperienza artistica e personale, l’aspettativa della messa in scena dello spettacolo di Bologna cresce:
Maestro, quest’anno si celebra il 100° anniversario della morte di Giacomo Puccini: cos’ha di particolare la sua musica che la riconosci subito? Che sensazioni le suscita da cantante?
Quando si parla di questi geni che hanno donato tanto all’umanità, è difficile contare gli anni dalla loro morte. Grazie al loro straordinario contributo, si sono guadagnati l’immortalità, vivendo nei teatri, nella musica e nei cuori di coloro che hanno la fortuna di godere delle loro esecuzioni.
La musica di Giacomo Puccini è un esempio tangibile di questo vivere eterno. In essa si avverte la vita vissuta, le espressioni e i sentimenti che probabilmente appartenevano in prima persona al compositore, rendendola estremamente empatica. Puccini è stato e continua ad essere un pittore in musica di una società in rapido cambiamento, uno specchio emotivo assolutamente impareggiabile.
La sua melodia emotiva, la ricchezza armonica, e l’innovazione orchestrale, che ha iniziato a seguire un primo sinfonismo influenzato anche dalla musica di Wagner, insieme alla sua capacità di portare la vita quotidiana sul palcoscenico, hanno prodotto pagine musicali straordinarie. Dal suo genio emergono opere in cui ogni sentimento è descritto con maestria, sia dalla voce che dall’orchestra, che da mero accompagnamento diventa la vera e propria protagonista della vicenda.
Rispetto ai suoi predecessori, Puccini ha un modo unico di esprimere i caratteri dei personaggi ed è un maestro nel comporre per la voce. In conclusione, la sua eredità musicale continua a vivere, trascendendo il tempo e lasciando un’impronta eterna nella storia della musica.
Cavaradossi, eroe della Tosca pucciniana, è forse il simbolo della sua vocalità di tenore e le dà sempre grandi soddisfazioni sui palcoscenici internazionali. Ma lei, pur così giovane, ha già in repertorio anche una ventina di titoli verdiani. Quali sono le diverse emozioni e intenzioni, nell’approcciare i personaggi dei due grandi maestri, capisaldi della nostra Opera?
Mario Cavaradossi è un personaggio che amo profondamente perché incarna la freschezza e la franchezza di un giovane mosso sempre da nobilissimi ideali. La sua gioventù lo spinge ad eccedere nello slancio, pagandone con la vita le conseguenze. Vocalmente, il personaggio è molto vario, con momenti di grande brillantezza giovanile e momenti di intensa drammaticità. È un personaggio che si fa amare e ama con intensità, sicuramente il mio preferito tra quelli pucciniani fino ad ora interpretati.
L’onore, il grandissimo onore, di poter interpretare i capolavori dei nostri più grandi compositori mi pone di fronte alle loro pagine con grande rispetto, agendo con spirito di assoluto servizio. L’artista deve servire il compositore e il teatro, così come il pubblico, e non servirsi di loro. Quest’anno, dedicato a Puccini, mi vedrà impegnato principalmente e paradossalmente in ruoli verdiani, raggiungendo quota venti. Questa soglia è sicuramente motivo di orgoglio, perché posso dire di avere tanti amici tra le creazioni del cigno di Busseto. Questo però mi fa notare che cominciano a essere diversi gli anni che mi vedono calcare il palcoscenico, non tantissimi ma certamente intensi.
E ora è al debutto in Manon Lescaut. Come ha preparato il suo personaggio? Quali pensa siano le peculiarità di Des Grieux, quale il vissuto che lei intende mettere in scena? Sì è ispirato a qualche tenore del passato?
Spesso mi è capitato di trovarmi di fronte a spartiti di opere particolarmente “pesanti”, non perché fossero fatti di travertino o marmo, ma perché portavano con sé aspettative elevate e una rilevante letteratura discografica; ruoli che sono stati affrontati con risultati assolutamente impareggiabili dai grandi tenori del passato.
Il mio approccio a Renato Des Grieux è iniziato in modo asettico. Prima di ascoltare le interpretazioni degli altri, ho voluto formarmi una mia opinione leggendo ciò che veramente intendeva il Maestro Puccini, e ho dato una lettura personale, liberata da ogni sorta di tradizione o interpretazione. Questo per evitare di sovraccaricare Des Grieux con elementi estranei e cercare di estrarre tutto ciò che potevo dedurre dallo spartito, usando la mia voce.
Cercherò di portare in scena ciò che secondo me era Des Grieux, un personaggio che reputo molto interessante proprio perché distante dal mio modo di pensare e di vivere. Cercherò di cogliere con la mia voce ogni minima sfaccettatura interpretativa dalla sola lettura dello spartito. Prima di iniziare lo studio, pensavo fosse un tenore con un approccio tutto centrato sulla voce, ma con grande sorpresa ho notato che la dinamica più frequente nella linea del tenore è il piano, e questa scoperta mi ha stupito non poco. Un piano intenso, fremente, ma sempre un piano. Questo perché il messaggio, la parola, ha la priorità rispetto alla nota, e questo l’ha reso incredibilmente affascinante.
Vocalmente è un ruolo molto lungo ma scritto in modo eccellente. Lo affronterò con l’entusiasmo di sempre e con i mezzi che il Padre Eterno mi ha dato.
Per curiosità, al termine dello studio, ho ascoltato alcune esecuzioni, trovando assolutamente incredibile e irripetibile quella di Giuseppe Di Stefano. Come pochi, ha saputo far vibrare la parola nel canto e trasmettere l’emozione di ogni singolo passaggio al pubblico. Ho fatto mia qualcosa di quella esecuzione, adattandola alla mia vocalità e al mio stile di canto.
Il grande tenore José Carreras diceva che quando cantava gli sembrava di “avere il mondo tra le mani”. Cosa significa per lei cantare, cosa si prova in scena?
Quando canto, mi metto al servizio, e basta. Offro al pubblico ciò che ho: i miei sacrifici personali e professionali, il tempo dedicato allo studio anziché viverne uno come tutti, la distanza dagli affetti. Metto tutto questo al servizio di coloro che hanno voglia di prendere da me ogni mio respiro, trasformandolo in un ricordo e un’esperienza personale per una sera. Sono un distributore di sacrifici trasformati in emozioni. Il mio mestiere ha senso fino a che ci sarà al mondo almeno una persona disposta ad emozionarsi ascoltando il mio canto.
In scena, gioco costantemente col rischio perché mi metto completamente in gioco. Affronto il rischio di eseguire passaggi audaci, di tenere note, di fare acuti particolari o di compiere movimenti che rendano ogni mia esibizione unica. Non mi piace ripetere meccanicamente le stesse cose; preferisco variare nei limiti del possibile e nel rispetto dei colleghi e della musica. Questo rischio rende incredibilmente divertente il mio lavoro, anche se per raggiungere il divertimento è necessario uno studio approfondito “a casa”. Sono felice che la mia natura sia quella di secchione, anche se da ultimo banco.
C’è un’opera che vorrebbe cantare e che non le hanno mai proposto?
Al momento non ho particolari desideri e ho imparato a pazientare, aspettando il momento giusto per ogni cosa. Ogni cosa arriverà con calma e a suo tempo; ogni giorno è buono per migliorarsi e maturare. Il mio impegno è quello di farmi trovare pronto il più possibile per la prossima opportunità.
Ci racconta qualcosa della messa in scena del Comunale?
È una rappresentazione che si basa su Manon, su ciò che vive, su ciò che desidera vivere e su ciò che attraversa durante la vicenda. La lettura di Leo Muscato è molto bella e interessante, lasciando al pubblico ampio spazio per l’interpretazione, che preferirei non influenzare con la mia personale visione. Lavorare con un regista come Leo arricchisce notevolmente perché riesce a coniugare la natura musicale e vocale con un approccio attoriale quasi da prosa, facendo emergere molti aspetti dei protagonisti che spesso possono sfuggire.
Questa messinscena richiede una lettura attenta di ogni singolo passaggio e un’analisi approfondita di ogni minima interazione tra i personaggi. Per apprezzare appieno questo spettacolo, è necessario venire al Teatro Comunale, guardare, ascoltare e lasciarsi emozionare da un capolavoro assoluto del grande Maestro Giacomo Puccini, che da 100 anni continua a vivere in ognuno di noi!
Bologna – Teatro Comunale Nouveau 26/27/28/30 e 31 gennaio 2024
Filippo Bocci, laureato in Lettere, scrive di letteratura, cinema, teatro. Segue gli sviluppi e le tendenze della letteratura italiana e internazionale, recensendo, fra l’altro, le opere di nuovi talenti della poesia e della narrativa contemporanee. Numerosi suoi articoli sono pubblicati sul magazine on-line B-hop. Nel 2019 ha dato alle stampe «Padre Crippa un sacerdote militante. Un prete “sindacalista” al fianco delle colf», edito dalla Fondazione intitolata al religioso dehoniano.