di Giulia Di Bartolomei
Quando ero bambina, il venerdì sera era un rituale: pesce e verdure per cena e poi tutti in salotto, allo scoccare della sigla di Super Quark, sulle note di Johann Sebastian Bach, ad ascoltare Piero Angela, il padre della scienza raccontata. Al tempo, Super Quark era seguito da milioni di persone, e questo perché è un programma accessibile a tutti. Che tu fossi uno scienziato o un banchiere, un adulto o un bambino, le immagini e le spiegazioni di Piero Angela erano semplici, si parlava sempre di cose che si potevano facilmente associare alla nostra vita quotidiana e, per questo, essere percepite come reali.
Col passare degli anni, il tempo per sedersi insieme dopo cena in famiglia è andato pian piano scomparendo, con progressivo aumento dello sconforto di mia madre che ci domandava perché non volessimo più vedere la tv con loro.
La verità è che con il “boom” del digitale, sia io che mia sorella abbiamo iniziato a seguire le notizie su internet, a vedere docuseries su Netflix e ricevere aggiornamenti in tempo reale, sotto forma di “feeds” sul telefono.
L’estremo è arrivato poi con mio cugino, generazione Z, per il quale tutto passa solo attraverso il piccolo schermo del cellulare: per lui la tv è online. Le note di Bach sono state sostituite dalla riproduzione casuale su Spotify, lo “zapping” tra i canali è diventato lo “scrolling” sui social media di Instagram o Facebook.
Recenti sondaggi pubblicati dall’ente regolatore delle comunicazioni inglese hanno rivelato che la visione dei telegiornali è calata drasticamente. Circa il 30% dei ragazzi utilizza meno di un’ora a settimana da dedicare a notiziari ed il 50% dei giovani considera internet la principale fonte di notizie ed informazioni dal mondo.
Insomma, credo che il messaggio sia chiaro: i tempi sono cambiati, il web rappresenta un nuovo capitolo nella storia della comunicazione della scienza e anche noi, come scienziati o giornalisti, dobbiamo accettare che le modalità di fare informazione scientifica sono diverse e dunque da rivedere.
Per questo motivo, quando ho accettato di scrivere questa serie di articoli, le domande che mi sono posta sono state: cosa si intende per “divulgazione scientifica” al giorno d’oggi? E, soprattutto, cosa ai miei lettori interessa sapere?
Così, ho iniziato ad intervistare familiari e conoscenti per capire i temi che avrebbero voluto approfondire. Di seguito vi riporto alcune delle risposte che ho ricevuto:
Nonna, 84 anni: “Vorrei sapere come il cambiamento climatico influenzerà le nostre vite nel futuro”.
Amica/collega, 31 anni: “Ma perché la ricerca in Italia è così difficile?”
Cugino, 25 anni: “Dovresti parlare dell’Intelligenza artificiale!”
Conoscente1, 64 anni: “Vorrei che qualcuno finalmente mi spiegasse se questi vaccini contro il Covid sono pericolosi”.
Conoscente2, 47 anni: “A me interesserebbe capire se c’è ad oggi una cura per l’Alzheimer”.
Per riassumere, le 25 testimonianze che ho collezionato, avevano tutte risposte diverse tra loro. Per questo motivo, all’inizio ho pensato che se non avessi preso una decisione e seguito una linea editoriale ben precisa, sarebbe stato un disastro preannunciato.
Poi però mi è capitata una cosa che mi ha fatto riflettere. Sfogliando le pagine della prestigiosa rivista Science, mi sono persa a leggere 10 articoli di mio interesse. Intorno al quarto articolo mi sono resa conto che stavo leggendo di cose molto diverse tra loro: dalla medicina alla biologia molecolare pura, dalla biologia dei materiali ai recenti ritrovamenti archeologici in Perù.
Dunque, perché limitarsi a raccontare solo di un settore specifico della ricerca? Una rassegna di articoli su temi scientifici è giusto che tratti argomenti anche molto diversi fra loro, ma che possano stimolare l’interesse di molti e mettere alla portata di tutti il sapere scientifico.
In un secondo momento, ho fatto anche un’altra riflessione che ci riporta alle diverse modalità di fare, oggi, divulgazione scientifica.
Ripensavo agli articoli che avevo letto. Avevo accumulato in poco tempo tante informazioni in modo sommario, ma due cose erano rimaste chiare nella mia mente per ognuno degli articoli. Prima di tutto il “take home message”, tradotto letteralmente “il messaggio da portare a casa”, una frase chiave che possa riassumere lo studio ed il tema della ricerca. In secondo luogo, “l’abstract grafico”, ovvero un grafico, un’ immagine o uno schema che riassumesse un modello proposto o i punti fondamentali dello studio.
Non notate qualcosa di familiare? Captions, immagini e foto, sono alla base dei social network come Instagram o Facebook. Che lo vogliamo o meno, la nostra mente è ormai allenata a recepire ed immagazzinare informazioni con queste nuove modalità. Per questo motivo, ho deciso che invece di soffermarmi sugli aspetti negativi che questo comporta, è importante sfruttare questa occasione per fare in modo che le informazioni rimangano nella mente del lettore. Alla fine dei miei articoli, troverete quindi sempre un “take home message”, il vostro messaggio da portare a casa e su cui riflettere.
È importante poi definire il tono che gli articoli devono assumere. Nei corsi di scrittura scientifica, gli insegnanti dicono che bisogna immaginare di spiegare i temi trattati al pubblico dei non esperti, come se si avessero davanti dei bambini. Non a caso, i bambini imparano molto attraverso metafore, paragoni, parole chiave (take home message) e disegni (abstract grafici). Cercherò dunque di impostare questi articoli come una chiacchierata informale con i lettori, ma ovviamente non mancheranno mai il rigore scientifico e le fonti citate a fine pagina.
In fondo, niente di rivoluzionario: si tratta, di fatto, di modalità più aggiornate della comunicazione scientifica. Cerchiamo infine di capire perché la comunicazione e la divulgazione scientifica, anche nella forma più elementare e immediata, siano divenute fondamentali per la società.
Un esempio pratico vi è stato agli inizi del 2020: quando iniziò la diffusione del virus SarsCOV2 (COVID19), è successo qualcosa che non era mai accaduto in precedenza. Su qualsiasi piattaforma digitale vi era una continua diffusione di informazioni e, con l’arrivo dei vaccini, elucidazioni sugli studi scientifici che venivano incessantemente pubblicati. Un numero enorme di persone hanno iniziato a fare comunicazione della scienza. Infatti, attraverso i social network, i canali di comunicazione scientifica e divulgazione si sono moltiplicati.
È stato fondamentale che la scienza uscisse dai laboratori e venisse diffusa ad un grande pubblico, per poter spiegare nel modo più chiaro possibile quell’assurdo presente.
Quello che abbiamo imparato dai recenti avvenimenti è che tutti possono contribuire in qualche modo all’informazione scientifica, che non vi è un unico modo giusto per farla ma ci sono tante modalità che ad oggi ci vengono offerte e che possiamo sfruttare a nostro vantaggio. Abbiamo imparato anche l’importanza del parlare di scienza per comprendere il mondo in cui viviamo. È necessario sensibilizzare le persone a partecipare alla diffusione della scienza, purché sia fatto con serietà e onestà. Bisogna quindi trovare modi per creare un legame tra comunicatori, divulgatori, scienziati e il pubblico dei lettori, nei quali deve nascere quella curiosità, quella sete di sapere e di conoscere di cui racconta Omero nell’Odissea.
Bisogna però sempre identificare le notizie false, contrastarle e stare molto attenti a come queste informazioni vengono gestite. Durante la pandemia ad esempio, vi sono stati anche molti casi in cui l’informazione è stata via via trasformata dal passaparola, un po’ come nel gioco del telefono, risultando infine in una dilagante disinformazione.
Take home message: “La scienza ha questo di bello: che unisce le generazioni, perché le regole non cambiano, come le mode, da una generazione all’altra, ed è un percorso di conoscenza lungo il quale tutti possono inoltrarsi, a condizione, naturalmente, che il racconto sia fatto in modo chiaro e comprensibile” – Piero Angela
Fonti:
- Ofcom.org.uk
- Pietro Greco, “La comunicazione nell’era post-accademica della scienza”, edizione del Master in Comunicazione della Scienza della SISSA a Trieste
- Giorgio Sestili, “Elementi per un progetto di divulgazione scientifica di successo”, 2021
Giulia Di Bartolomei, dottoranda in Neurobiologia all’università di Basilea, nasce a Roma nel 1992.
Si laurea nel 2014 in biotecnologie e poi nel 2016 in biologia molecolare all’Università di Roma “La Sapienza”. Dopo una tesi sperimentale condotta tra l’EMBL (European Molecular Biology Laboratory) di Monterotondo, Roma, ed Heidelberg, in Germania, vince la borsa di studio Giovanni Armenise per attività di ricerca in laboratorio all’Harvard Medical School di Boston. Autrice del modulo di formazione Bioinformando, progetto svolto in alcuni licei di Roma e provincia, che combina la biologia e l’informatica e si propone l’obiettivo di avvicinare gli studenti alla realtà della ricerca scientifica.