di Andrea Ferretti
Milano Finanza, 1 Novembre 2017
Hanno fatto bene il presidente dell’Abi Patuelli ed il dg Sabatini a insorgere contro le proposte della Vigilanza europea di imporre alle banche svalutazioni integrali e automatiche sui nuovi crediti deteriorati (Npl) in tempi stringenti e tassativi. Come hanno fatto altrettanto bene Confindustria, Confcommercio e Rete Imprese Italia a unirsi ai dissensi visto che le proposte della Vigilanza si ripercuoteranno non solo sugli istituti ma anche sulle imprese italiane, e per almeno due motivi.
Il primo è che le nuove regole sui Npl, attualmente in consultazione, costringerebbero le banche italiane a maggiori accantonamenti e aumenti di capitale proprio mentre si consolida il processo di riduzione delle sofferenze nette (- 23% nei 7 mesi del 2017).Il secondo è che tali norme presentano almeno 2 criticità: una legata al momento del loro impatto, l’altro alla diversa velocità d’impatto. Quanto al primo fattore, ispirandoci alla scala utilizzata per l’allarme terrorismo, possiamo rappresentare la rischiosità della situazione economico finanziaria europea con 4 stadi di allerta. Allarme rosso (alto rischio di crisi sistemica), arancione (rischio consistente), blu (rischio moderato/ ripresa moderata e fragile), verde (rischio basso/ ripresa sostenuta e strutturale).
Fino al 2015 l’Europa ha alternato situazioni da allarme arancione a momenti da allarme rosso. Di sicuro, però, era in allarme rosso nella notte del 26 ottobre 2011 quando il Consiglio Ue impose precipitosamente alle principali banche europee di elevare il patrimonio di prima qualità (Core Tier 1) al 9% degli impieghi ponderati per il rischio entro una manciata di mesi.
Seguirono momenti da panico allo stadio visto che per molte banche il rapporto era circa il 6% e le ripercussioni sui flussi creditizi diretti alle imprese furono molto pesanti. Ma si era in emergenza conclamata. Da fine 2015, sopita la crisi greca e grazie alle misure straordinarie volute da Mario Draghi, si naviga in una situazione di allarme blu, caratterizzata da rischi sistemici moderati abbinati, però, a una crescita fragile e disomogenea a livello europeo. Il problema è che interventi drastici quali quelli oggi proposti dalla Vigilanza europea sui crediti deteriorati hanno senso in situazioni di allarme rosso dove l’obiettivo è gestire dell’emergenza. Oppure possono avere validità in allarme verde, quando l’andamento sostenuto dell’economia può assorbire l’impatto di misure, anche violente, volte al rafforzamento strutturale dei sistemi bancari (funzione anticiclica).
Ma non dovrebbero mai essere attivati in fasi di innesco della crescita come quella attuale. Il rischio è che applicare misure di emergenza adesso impedisca ai sistemi bancari di sostenere con adeguati flussi creditizi imprese non ancora sorrette da una congiuntura vivace, così strangolando la ripresa. La seconda criticità riguarda la diversa velocità d’impatto delle misure in esame. Ora, è indubbio che l’obiettivo della Vigilanza, condivisibile, sia rendere il sistema bancario europeo più solido e insensibile a futuri shock sistemici.
Ma un consolidamento strutturale può esplicare i suoi effetti solo nel medio periodo. Il problema è che le regole proposte sugli Npl tendono ad avere impatto immediato sulle imprese con una riduzione dei flussi creditizi e il possibile aumento del costo del denaro. E come se non bastasse, la Vigilanza ha più volte affermato che forse interverrà anche sui crediti non performing oggi in essere (a oggi esclusi dalle proposte in esame), iniettando così una buona dose di incertezza nei mercati. Il punto è che con questi annunci si sottovaluta la pericolosità del sentiment dei mercati, le cui ansie, paure, elucubrazioni e aspettative finiscono per aumentare la velocità d’impatto delle nuove proposte sugli Npl, che si ripercuoterebbero su banche e imprese ancor prima di essere approvate. Oggi l’unica cosa da evitare è che misure di emergenza come quelle proposte abbiano sulla ripresa l’effetto di una chiave inglese che, stringendo i bulloni, sfugga di mano finendo nella turbina e bloccando il reattore proprio mentre accelera.