di Giorgio La Malfa
Il Mattino, 28 gennaio 2017
Cari amici,
Bonanni dice sostanzialmente che non possiamo che conformarci alle richieste della Commissione. Da un certo punto di vista lo penso anch’io.
Penso cioè che non abbia alcun senso rompere con la Commissione per difendere uno sforamento dello 0,2%. E tuttavia, Bonanni non tiene conto della crisi effettiva nella quale si dibatte e continua a dibattersi l’economia italiana.
E non è vero che in questi anni il governo Renzi abbia esplorato le possibilità di una politica di deficit spending e che essa è fallita.
Si dimentica che l’Italia non ha seguito il percorso di rientro richiestoci della Commissione, ma non è vero che così facendo il bilancio dello stato sia stato espansionistico: anno dopo anno il deficit si è ridotto, anche se meno di quanto l’Europa i chiedeva, ma si è ridotto.
Quindi il bilancio dello stato è stato restrittivo e non ha contrastato la debolezza della domanda effettiva.
Come scrivo nell’articolo che allego e che ho scritto per il Mattino stamane, la scelta per l’Italia è se accettare di rinunciare allo stimolo del bilancio ed in questo caso è meglio bere fino in fondo il calice delle politiche restrittive, o se tentare di aiutare l’Italia a uscire dalla crisi con una politica di deficit pubblico, per fare la quale bisognerebbe violare il limite del deficit non dello 0,2%, ma di molto di più.
E’ ovvio che una tale politica ci condurrebbe a una procedura per disavanzo eccessivo e ci sottoporrebbe ai rischi di mercato dei quali parla Bonari (e molti altri con lui). Ma la scelta è questa: o dentro le linee europee o fuori. Il Governo Renzi ha scelto, come in molta parte delle sue iniziative di questi anni di raccontare una storia diversa dalla verità ed è fallito su tutta la linea. Può il governo Gentiloni districarsi da questa impostazione fatale, prendendo l’una o l’altra strada?
Con amicizia
Giorgio La Malfa
Due osservazioni preliminari sono indispensabili per orientarsi rispetto al nuovo scontro che si è acceso in questi giorni fra l’Italia e la Commissione Europea a proposito del Patto di Stabilità e del nostro Bilancio dello Stato per il 2107.
La prima osservazione è che il Governo non può sorprendersi per l’intenzione della Commissione di aprire una procedura contro l’Italia per violazione delle regole del Patto di Stabilità. Né tantomeno può fingere di esserlo. Fin dall’ottobre scorso, quando fu presentata in Parlamento la legge di bilancio, si sapeva che quelle cifre non avrebbero superato il vaglio della Commissione.
Era stato detto in tutti i modi, da Moscovici e da altri Commissari, che solo pochi mesi prima il Governo italiano si era impegnato a cifre di deficit molto più basse e dunque non poteva rimangiarsi (ancora una volta) gli impegni. Era stato anche precisato che, con il bilancio 2016, l’Italia aveva esaurito i margini di flessibilità previsti nel Patto.
Insomma, presentando quelle cifre il verdetto, era già scritto. La seconda osservazione preliminare è Che il Governo probabilmente sapeva tutto questo, ma aveva chiesto (e ottenuto) che Commissione gli usasse la «cortesia» di comunicare il giudizio solo dopo il referendum del 4dicembre. Poiché è stato così, non solo non vi è sorpresa, ma è meglio stendere un velo pietoso su questo modo di procedere sia di Roma che di Bruxelles. Nel merito. Di fatto, il Governo non nega la violazione del Patto di Stabilità: La giustifica con le spese del terremoto.
Ma se la violazione esiste, la Commissione Europea, che è «il custode dei Trattati», è chiamata a fare rispettare le regole del Patto. Possiamo considerare sbagliate quelle regole (ma fin ora il Governo non ha mai sottoposto agli altri paesi membri dell’Unione Europea delle proposte organiche di riscrittura delle regole). E possiamo anche ritenere che in fondo si tratti di una violazione degli impegni quantitativamente minuscola (dello0,2-0,4%inrapportoalreddito), ma nulla autorizza la Commissione a non procedere se la deviazione è «modica».
Se vi è una deviazione, Bruxelles non può che applicare le regole. Oltretutto il dubbio degli uffici di Bruxelles è che in realtà tutta l’impostazione italiana di finanza pubblica sia viziata da un eccesso di ottimismo sulla ripresa e da una sottovalutazione dei disavanzi probabili…