di Giorgio La Malfa,
Il Mattino, 14 Novembre 2018
Quando a metà di quest’anno si è formato il governo, il quadro dell’andamento dell’economia italiana e il quadro economico internazionale erano molto diversi e molto più favorevoli di adesso. Il cambiamento è avvenuto molto rapidamente ma la situazione di oggi rende l’impostazione del governo contenuta nella legge di bilancio delle Camere, obiettivamente superata. Che la si giudichi buona o cattiva, la legge di bilancio di cui discutono le Camere in questi giorni si riferiva a quella situazione di metà anno. Si riprometteva di rispondere ai problemi italiani in quel quadro.
Oggi la situazione è molto diversa. Bisogna prenderne atto e impostare una politica economica che risponda ai problemi di oggi. È anche possibile che, così facendo, si possa aprire una fase meno conflittuale con l’Europa in cui non si tratti più di sapere, come è stato nelle ultime settimane, se debba cedere l’Italia cambiando la sua legge di bilancio e riducendo il deficit previsto nel 2019 di qualche decimale o la Commissione europea non dando seguito alle minacce di avviare una procedura d’infrazione nei confronti del nostro paese. I dati nuovi non riguardano dettagli. Investono in pieno il quadro economico internazionale e quello italiano. Sono essenzialmente due: sta vistosamente rallentando l’economia mondiale a seguito delle restrizioni sul commercio internazionale decise in questi mesi dagli Stati Uniti e l’economia mondiale frena anche l’area dell’euro.
L’economia italiana, che già cresceva meno delle altre economie nell’area dell’euro, si è praticamente fermata. La conseguenza di questa battuta d’arresto è che appare molto difficile che, anche nell’ipotesi di una grande efficacia delle specifiche misure si spesa pubblica contenute nella legge di bilancio, si possa evitare con un deficit nel 2019 ancora più elevato del 2,4%. La riaffermazione degli obiettivi di crescita dell’economia italiana per il 2019 da parte del governo appare sempre meno convincente. Se questa situazione viene percepita dai mercati, lo spread che è già molto alto comporta conseguenze negative sui consumi e gli investimenti, è destinato a peggiorare ulteriormente.
Naturalmente, è esatto dire, come hanno detto molti esponenti del governo in questi giorni, che proprio il peggioramento delle prospettive di crescita impone una azione di politica economica a sostegno dell’economia italiana. Ma poiché è evidente che non è pensabile un ulteriore aumento del deficit previsto per il 2019, che è già a rischio di procedura di infrazione e di riflessi sullo spread, ne segue che se si vuole proteggere l’economia italiana dal rallentamento mondiale ed europeo, bisogna fare una manovra di politica economica capace di sostenere -senza incidere sul deficit- la crescita economica.
Insomma bisogna cambiare profondamente l’impostazione del bilancio dello Stato: quello che è all’esame delle Camere rischia di non essere in grado né di sostenere la ripresa, né di evitare che si finisca con un deficit ancora più alto di quello annunciato. Cambiare i termini del problema: questo è l’imperativo di questi giorni.
L’elemento di cui tener conto è che le tragedie di questi mesi, dal crollo del ponte Morandi di Genova, alla strage di alberi nel Trentino e nel Friuli, alle frane e agli smottamenti in molte altre regioni del paese segnalano una condizione di quasi collasso del sistema delle opere pubbliche italiane.
Per troppi anni tutti i tentativi di contenere il deficit sono stati fatti tagliando le spese in conto capitale, cosicché è come se l’italia si sia mangiata le proprie opere pubbliche.
Così non si può continuare.
Le opere pubbliche hanno, come ha testimoniato il governatore della Banca d’Italia in una conferenza di qualche settimana fa moltiplicatori molto alti, mettono cioè in moto aumenti dell’occupazione, del reddito e quindi anche dei consumi molto maggiori di altre spese, come ad esempio le spese di trasferimenti al sistema pensionistico o a quello assistenziale. Dunque, se per rispondere ai problemi del Paese il governo adotta un piano straordinario di opere pubbliche ne può nascere una ripresa economica consistente senza bisogno di spingere ancora più in alto il deficit.
Mettendo insieme queste considerazioni si giunge a una proposta di politica economica. Il governo stenda in tempi brevissimi un programma triennale di opere pubbliche; stabilisca quanta parte del programma è già finanziato nel bilancio attualmente in Parlamento. Se facciamo aumentare l’occupazione attraverso la spesa in opere pubbliche possiamo creare dei posti di lavoro e non abbiamo bisogno del reddito di cittadinanza. E se si tratta di stimolare la ripresa mettendo in sicurezza il territorio, si può anche decidere che non è il momento di gravare sulla finanza pubblica per consentire di andare in pensione prima a spese della collettività.
Dunque un programma di investimenti a fronte del quale vi siano i miliardi di euro stanziati in una situazione molto diversa per spese di trasferimento. Fatto questo conto il governo calcoli una ragionevole cifra di disavanzo che a questo punto sarebbe dovuto essenzialmente alla spesa per investimenti, porti questi numeri in Europa e ne discuta con la Commissione prendendo un atteggiamento costruttivo e chiedendo e aspettandoci da loro una risposta altrettanto costruttiva.
Questa è la sola strada per dare una risposta positiva ai problemi che si stanno evidenziando in questi mesi. Spetta al presidente del Consiglio discuterla con la sua coalizione e poi di prenderla con determinazione.
Non se ne pentirà.