di Giorgio La Malfa
Il Mattino, 3 maggio 2016
La nuova disciplina europea in materia bancaria entrata in vigore quest’ anno vieta l’uso di fondi pubblici per il salvataggio delle banche. Se una banca entra in difficoltà e se non vi sono strumenti privati di intervento che possano consentirle di riprendersi con le proprie forze, le nuove regole europee dicono che deve intervenire «il meccanismo di risoluzione» e cioè che la banca deve essere posta in liquidazione e le sue perdite poste a carico non solo degli azionisti e degli obbligazionisti, ma anche dei correntisti che abbiano depositi superiori a 100.000 euro. Questo è il significato dell’espressione «bail in» con cui ci siamo trovati all’improvviso e inaspettatamente a fare i conti all’inizio dell’anno, quando sono venuti al pettine i nodi di banche di media dimensione molto male amministrate, come la Banca dell’Etruria, la Cassa di Risparmio di Ancona ed altre. L’errore grave commesso dall’Italia negli scorsi anni ha scritto sabato Ferruccio De Bortoli sul Corriere della Sera è stato di restare inerte nella fase di elaborazione della nuova disciplina europea delle crisi bancarie senza valutarne fino in fondo le implicazioni e senza premunirsi per tempo contro la necessità di applicare le nuove regole.
La maggior parte dei Paesi europei, a cominciare dalla severissima Germania, ha fatto abbondante uso di denaro pubblico per salvare le proprie banche prima che le nuove regole entrassero in vigore. L’Italia invece ha fatto un solo intervento, di dimen;ioni insufficienti, a sostegno del Monte dei Paschi Siena, cullandosi per il resto nell’illusione che le Mostre banche fossero immuni da questi problemi, )er poi scoprire, quando ormai la nuova disciplina era entrata in vigore, che una parte non trascurabile del sistema bancario ha problemi di sofferenze e che una serie di banche di grandi dimensioni, che finora venivano presentate come dei piccoli gioielli, come la Popolare di Vicenza eVeneto Banca, erano sull’orlo del dissesto, dopo anni di mala gestione. Come giustamente scrive De Bortoli, sarebbe il caso di procedere ad accertare le responsabilità di una gestione così disattenta dei nostri problemi. Questo è un tipico caso nel quale servirebbe una grande inchiesta parlamentare, alla quale peraltro lo stesso governo, quando partì lo scandalo della Banca dell’Etruria, si era dichiarato favorevole sia per accertare le responsabilità dei dirigenti delle banche finitenei guai, sia le eventuali insufficienze nel sistema dei controlli sul buon funzionamento del sistema bancario, sia infine gli errori commessi dai nostri rappresentanti in Europa per non avere colto per tempo le implicazioni di quello che si stava apprestando a Bruxelles. Non si capisce perché le forze di opposizione non siano più determinate in questa richiesta. In ogni caso e indipendentemente da questo accertamento delle responsabilità pregresse a partire dall’inizio di quest’anno, l’Italia ha dovuto fare i conti con la situazione effettiva delle sue banche e con le nuove regole europee. Non potendo più fare salvataggi a carico della finanza pubblica vi sono due sole possibilità. Osi segue la strada del «bail in» e si lasciano andare verso il fallimento le banche in difficoltà, con rischi incalcolabili di effetti a catena; oppure, come si è fatto, si chiama a raccolta il sistema finanziario italiano per mettere insieme dei fondi privati che consentano di intervenire per consolidare le banche in difficoltà.
Con la costituzione del Fondo Atlante, partecipato dalle maggiori banche, dalle Fondazioni bancarie, dalla Cassa Depositi e Prestiti e da alcune compagnie di assicurazione si è concretizzata, seppure in ritardo, la seconda strada. Nei giorni scorsi il Fondo Atlante ha comunicato che sottoscriverà gli aumenti di capitale indispensabili alla Popolare di Vicenza e a Veneto Banca per sopravvivere. Ha inoltre reso noto che destinerà un 30% dei propri mezzi all’acquisto di crediti in sofferenza del sistema bancario italiano, rilevandoli a prezzi superiori a quelli ai quali tali crediti potevano essere ceduti sul mercato a operatori internazionali. Molti esprimono dei dubbi sul Fondo Atlante. Temono che ‘il ricorso alle risorse di banche sane per salvare le banche in difficoltà e per rilevare crediti in sofferenza a condizioni più favorevoli di quelle che si potrebbero spuntare sul mercato, finirà non per risanare le banche malate, ma per fare ammalare le banche sane. Non si può escludere che questo rischio vi sia, specialmente se dovesse emergere che la situazione effettiva del sistema bancario italiano è peggiore di quanto non si sappia. Ma l’alternativa sarebbe molto peggiore: l’applicazione del meccanismo di risoluzione a grandi banche come la Popolare di Vicenza e Veneto Banca avrebbe ripercussioni a catena e scatenerebbe probabilmente una crisi di fiducia generalizzata nei confronti del sistema bancario.
Molto dipenderà da come il Fondo Atlante gestirà il rapporto con le banche nelle quale deciderà di intervenire. Quando, nel 1933, lo Stato italiano dovette approntare un piano di salvataggio delle maggiori banche dell’epoca la Comit, il Credito Italiano, il Banco di Romatravolte dalla somma dei propri errori e dalla crisi mondiale iniziata nel ’29 negli Stati Uniti e da lì estesasi all’Europa, la prima cosa che fece fu di pretendere le dimissioni dei dirigenti delle banche che si accingeva a salvare e la loro sostituzione con dirigenti nuovi che rispondessero alle direttive del risanamento bancario. In quel caso la cura funzionò. Le banche salvate tornarono rapidamente in equilibrio e si dimostrò che lo Stato non solo non aveva perso soldi, ma aveva fatto un buon affare. Anche negli Stati Uniti, dopo avere commesso l’errore, ne12008, di lasciar fallire Lehman Brothers, il Governo decise di iniettare tutti i fondi necessari a evitare il collasso del sistema finanziario. A consuntivo, gli StatiUniti hanno riportato a casa tutti i soldi che avevano immesso nel sistema bancario e finanziario. Lo stesso può avvenire con il Fondo Atlante. È lecito non solo sperarlo, ma pretendere che le cose vengano fatte come si deve, senza favoritismi e con estrema serietà. Se l’Europa fosse unita, i salvataggi bancari si farebbero con i soldi dell’Unione europea. I mezzi per intervenire sarebbero abbondanti e la possibilità di un esito positivo molto maggiore. Ma l’Europa non è unita. C’è concorrenza fra i Paesi; ci sono diffidenze reciproche; qualcuno può sperare di guadagnare dalla crisi di qualche altro; c’è un dottrinarismo che ha già fatto danni e molti ancora ne farà. In queste condizioni per usare una vecchia espressione bisogna fare il fuoco con la legna che c’è. L’Italia deve fare buon viso e utilizzare al meglio il Fondo Atlante. DI professor Penati e il dr. Pietrangeli che lo guidano debbono dimostrare il massimo dell’energia e della determinazione. Debbono dimostrare che possono imporre i cambiamenti di uomini e di politiche indispensabili per rimettere in piedi il sistema bancario italiano. L’augurio è che abbiano e dimostrino rapidamente questa energia.