Paolo Savona
Il Messaggero, 2 dicembre 2018
Caro Direttore,
mi si chiedono valutazioni sulla posizione da assumere nei confronti della Ue e sulle trattative in corso con la Commissione.
mi si chiedono valutazioni sulla posizione da assumere nei confronti della Ue e sulle trattative in corso con la Commissione.
Penso di essermi già espresso con chiarezza fornendo precisazioni nei documenti ufficiali, nei miei scritti e nelle mie interviste. Tengo solo a sottolineare che non è mai esistito un Savona 1, favorevole all’uscita dall’euro, e un Savona 2, favorevole a restarci rispettando i parametri fiscali; queste due figure esistono solo nella mente di alcuni commentatori.
Esiste un solo Savona che ha sempre sostenuto (a) che abbiamo bisogno del mercato unico per la nostra economia e la nostra società; (b) che il mercato unico richiede una moneta unica; (c) che l’architettura istituzionale su cui si basano entrambi non risponde agli obiettivi che ci eravamo prefissi con il Trattato di Maastricht e, quindi, va corretta; (d) e, in particolare, che l’architettura non è attrezzata per affrontare gli shock esogeni, ossia forme di attacco all’economia nel suo complesso e nelle componenti nazionali, come è stato il caso della crisi finanziaria del 2008, dell’accelerazione dell’immigrazione negli ultimi anni e dell’incombente crisi commerciale a seguito del ritorno alle dispute tariffarie.
POVERTÀ ESTESA
Come ministro tecnico ho indicato la soluzione da dare a una caduta del saggio di crescita produttiva anche superiore alle previsioni ufficiali, che rischia di aumentare la disoccupazione già elevata e la povertà troppo estesa in Italia.
Per affrontare questa congiuntura dobbiamo discostarci dal rientro nei parametri fiscali europei concordati dai precedenti Governi per garantire, d’accordo con le autorità europee, stabilità economica e politica; la proposta permetterebbe ragionevolmente di ritornare in un triennio sul sentiero del riaggiustamento del deficit di bilancio strutturale e della riduzione del debito pubblico sul Pil. Ma un passo indispensabile di questa strategia deve essere il rilancio degli investimenti pubblici e privati. In tal modo si rafforzerebbe la fiducia dei mercati sulla solvibilità del nostro debito pubblico, già di per sé solida per l’esistenza di un’ingente ricchezza finanziaria nelle disponibilità degli italiani (3.500 miliardi di euro netti) e di un flusso annuo di risparmi in eccesso (circa 160 miliardi nel triennio 2019-2021) testimoniato dal saldo positivo degli scambi con l’estero.
DICHIARAZIONI INFELICI
Dobbiamo ripristinare la fiducia sul futuro dell’economia italiana, in modo specifico sui titoli di Stato attraverso crescita reale e stabilità politica.
Non aiutano certo a questo fine le dichiarazioni delle autorità europee, come pure di parte di quelle interne, che continuano a manifestare perplessità sulla possibilità di stimolare la crescita e la stabilità del debito pubblico, invocando il rispetto dei parametri fiscali indipendentemente dall’esistenza dei tre problemi indicati.
Quando l’attenzione della pubblica opinione e l’impegno della politica si concentrerà sul rilancio degli investimenti, rimuovendo gli ostacoli esistenti, l’intero dibattito sulla situazione dell’Italia e la sua collocazione in Europa cambierà di segno.