Intervista a Giorgio La Malfa in occasione della lectio magistralis su –Un’altra Europa
Entrare nei locali della FULM , Fondazione Ugo La Malfa è come fare un tuffo nella buona politica di una volta. Quella della ricostruzione e del miracolo economico ma anche delle tante mancate occasioni di fare del nostro un Paese veramente moderno, con i conti in ordine e gli squilibri strutturali sanati. La buona politica degli ideali, della partecipazione attiva, del rispetto delle Istituzioni e delle persone, dei grandi conflitti ideologici e delle granitiche appartenenze, ma anche delle grandi convergenze per affrontare e superare le emergenze della crisi economica e del terrorismo degli anni settanta.
In breve, la politica di quella Prima Repubblica tanto repentinamente derubricata negli anni novanta ad obsoleto armamentario, quanto profondamente rimpianta oggi di fronte a certi indecorosi spettacoli che lo scenario politico offre nei comportamenti e nei contenuti di una classe dirigente che per la gran parte pare inadeguata a governare i complessi processi che lo scenario interno e internazionale pongono.
Varcata la soglia della FULM, uno sterminato patrimonio di libri e pubblicazioni che riempiono scaffalature che si arrampicano su altissimi soffitti. Vecchie bandiere e stendardi repubblicani. Foto di Ugo La Malfa e ritratti di Mazzini. Locandine di iniziative varie con temi e relatori di primissimo ordine a testimonianza di una continua attività. La stessa sensazione provata l’ultima volta che ebbi occasione di frequentare la FULM. Tutto contribuisce a rendere palpabile – nell’era della politica del tranchant e del tweet – il fascino discreto della sobrietà, dello studio, della lettura, dell’analisi e del sapere.
E proprio in questo luogo del “sapere” politico – che una certa cultura definirebbe “location” – incontro l’on. Giorgio La Malfa che ha accettato di tenere una lectio magistralis su Un’ altra Europa al Convegno ANTLO del 29 aprile presso l’Auditorium del Ministero della salute, in Lungotevere Ripa 1.
Come l’ho conosciuto nei primi anni settanta appena eletto per la prima volta alla Camera dei Deputati, ancora oggi emana energia ed una vis polemica mai però fine a se stessa, ma per affermare posizioni frutto di analisi oggettive e quindi scomode, soprattutto oggi che le posizioni politiche sembrano essere prese più per denigrare gli avversari che per proporre progetti e soluzioni.
Una passione politica inalterata che non viene declinata più dagli scranni del Parlamento lasciato nel 2013, ma in dibattiti che – oltre all’attività FULM – avvengono in varie sedi e su molti organi di stampa, ma anche attraverso una cospicua produzione letteraria che lo scorso mese di agosto ha visto pubblicare un saggio su “John Maynard Keynes.”
Intervisto l’on. Giorgio La Malfa per presentare alcune delle direttrici della sua lectio magistralis su Un’altra Europa, un titolo che ad un tempo esprime un giudizio positivo sui primi decenni della costruzione europea ed insieme un giudizio estremamente negativo su come si sono caratterizzati gli ultimi.
Ma Un’altra Europa è anche la speranza che si riesca a trovare la via per concretizzare i sogni di Robert Schumann, Jean Bonnet, Konrad Adenauer, Alcide De Gasperi per non parlare di Altiero Spinelli , i Padri Fondatori d’Europa. La speranza di superare egoismi nazionali, risolvere problemi epocali come l’immigrazione, ma anche correggere i gravi errori commessi.
Il tutto rifuggendo dalle voglie delle “piccole patrie” così come, al contrario, dall’adesione acritica ad ogni dettame di Bruxelles.
Ci troviamo di fronte ad una Europa che non riesce a trovare soluzioni nè ai grandi nè ai piccoli problemi. Il tutto sembra indirizzare verso un tramonto, più che un’eclissi dei valori europei. Nelle tue analisi esiste un prima e un dopo che origina il tutto.
“Bisogna distinguere fra l’idea di unità dell’Europa come un mito della cultura ed il vero e proprio progetto di creazione di uno stato federale fra i popoli europei. Il primo risale molto indietro nel tempo, mentre il secondo nasce nel corso del XX secolo, una prima volta all’indomani della tragedia della prima guerra mondiale, subito percepita come una vera e propria guerra civile dell’Europa ed una seconda volta durante la seconda guerra mondiale. Uno dei documenti fondanti di questa nuova visione è il Manifesto di Ventotene di Spinelli e Colorni. L’idea, mutuata dall’esperienza storica della democrazia americana, era che lo stato nazionale producesse il nazionalismo e fosse la causa vera delle guerre. Per renderle impossibili in Europa bisognava andare oltre lo stato nazionale verso gli Stati Uniti d’Europa. Questo progetto – o forse questo mito – ha accompagnato l’Europa nel corso del dopoguerra e ha portato ai vari trattati che hanno segnato il corso dei 70 anni che sono seguiti alla fine della seconda guerra mondiale, a cominciare dal Trattato che istituì la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio del 1951 fino al Trattato di Maastricht e al più recente Trattato di Lisbona. E tuttavia bisogna valutare bene le condizioni politiche di questi settanta anni che sono segnati in modo indelebile dalla fine dell’Unione Sovietica nel 1989-91.”
Quindi la presenza della minaccia sovietica è stata di fatto la causa dell’avvio del processo di integrazione dell’Europa.
“In realtà sono tre i fattori che hanno favorito il cammino dell’integrazione fra i Paesi dell’Europa Occidentale fra l’immediato dopoguerra e il 1989. Senza di essi non ci sarebbe stato il progresso che invece vi fu. Il primo è proprio la presenza dell’URSS e la minaccia da essa costituita per l’Europa occidentale. Quando Churchill fece a Fulton nel Missouri il celebre discorso sulla “cortina di ferro” che era calata sull’Europa dal Baltico all’Adriatico, Francia e Germania, ma anche Italia, Belgio, Olanda e Lussemburgo decisero che la minaccia sovietica li obbligava ad essere uniti e solidali. Il secondo fattore fu l’atteggiamento americano che fu favorevole all’unione degli europei e lo fu proprio perché vi era la minaccia sovietica. Il terzo fattore fu la debolezza degli stati nazionali europei e l’onta che pesava su di essi di avere provocato la guerra e di avere così ridotto i loro popoli nelle condizioni disperate dell’immediato dopoguerra. Questo sentimento, particolarmente forte in Germania e in Italia, spiega perché fino a un certo punto questi due paesi siano stati i veri motori della integrazione europea. La Francia e soprattutto la Gran Bretagna non condividevano questo stesso sentimento e per questo sono stati assai meno favorevoli alla creazione di un’Europa federale. Tutto questo è durato circa 30 anni, nel corso dei quali il processo di integrazione è andato avanti, ma non ha ricompreso la creazione della moneta unica perché tutti sapevano che la moneta unica avrebbe dovuto nascere all’indomani della unificazione politica e non prima. Poi è venuto l’89 con la caduta del Muro di Berlino e quindi l’unificazione tedesca e il 1991 con la fine della minaccia sovietica. E questo a cui aveva certamente contribuito il successo economico e politico dell’integrazione europea ne ha segnato la fine.”
La fine del “mito Europa”, dei sogni dei Padri Fondatori, di un processo di integrazione che comunque aveva portato a significativi successi sul piano politico ed economico.
“La fine perché è cessata la minaccia e quindi la necessità di stare uniti. La fine perché gli Stati Uniti hanno perso interesse all’unificazione europea, anzi hanno cominciato a temerla sul terreno economico. La fine perché gli stati nazionali hanno ritrovato forza e autorevolezza. E soprattutto l’ha ritrovata la Germania con l’unificazione. Con essa è tornato prepotentemente il problema dell’egemonia tedesca sull’Europa e della necessità di contrastarla che aveva accompagnato la storia di Europa dal secolo XVI in avanti”.
Quindi cessata la minaccia sovietica, per bilanciare l’egemonia della Germania post-unificazione si è pensato bene di far nascere la moneta unica.
“Il paradosso è che la moneta sia nata in queste condizioni, mentre sfumava la prospettiva della creazione di uno stato federale. In realtà la moneta è nata perché la Francia ha temuto la forza del marco di una Germania riunita ed ha voluto legare indissolubilmente la Germania all’Europa. Invece ha finito per legare l’Europa al carro della Germania. Noi camminiamo come se fossero aggiogati a un carro che ci trascina in direzioni alle quali non siamo preparati. Questa è la tragedia dell’Europa di oggi. E poiché le classi dirigenti non sanno come uscirne, a reagire, disordinatamente, sono le opinioni pubbliche che stanno generando in tutta Europa movimenti di protesta sempre più ampi. Inoltre problemi esterni drammatici e sconvolgenti come l’emigrazione dall’Africa o dal medio oriente aggravano e rendono esplosiva una situazione comunque largamente compromessa.”
Di fronte a tale situazione, viene naturale domandarsi cosa fare e come.
“Io penso che oggi si tratti di salvare un patrimonio di civiltà che l’Europa ha costruito nel dopoguerra. Per farlo bisogna allentare i vincoli economici, consentire margini di aggiustamento fra le diverse economie che consentano a ciascuno di camminare come può con le proprie peculiarità. L’idea di diventare tutti come la Germania è destinata a infrangersi contri i fatti. Naturalmente servirebbe una classe dirigente europea che avesse lungimiranza e coraggio. Non vedo nessuno che si possa assumere quest’onere. L’unica sarebbe la signora Merkel, ma come si sa la Germania è prigioniera del dilemma di Thomas Mann di non saper decidere se vuole un Germania europea o un’Europa tedesca ed in questo dilemma non è in grado di assumere iniziative.”
Finita l’intervista mi trattengo con Teresa, la mitica assistente dell’on. Giorgio La Malfa ed è impossibile sfuggire alla rievocazione di emozionanti momenti della comune passata militanza politica ed al ricordo di splendide persone che hanno segnato la vita non solo del PRI, ma anche del Paese. “Una grandissima nostalgia!” afferma Teresa. “No” incalzo “nessuna nostalgia, ma una grande fortuna aver conosciuto e frequentato quelle splendide persone e vissuto quegli emozionanti momenti”.
E tornando a prendere l’auto, mi rendo conto – al contrario di quanto ritenessi – che sono una persona davvero fortunata.
Maurizio Troiani