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Il motore propulsivo dello sviluppo meridionale sta nelle medie imprese competitive

Intervista con Giorgio La Malfa
Denaro.it, 22 aprile 2016

Il motore dell’economia del Mezzogiorno – il settore manifatturiero industriale – è a folle e la macchina cammina con il freno a mano innestato. E’ quanto emerge dal Quinto Rapporto sulle Imprese Industriali del Mezzogiorno prodotto dalla Fondazione Ugo La Malfa, in collaborazione con l’area studi di Mediobanca, e presentato a Capua nella sede della Facoltà di Economia della Seconda Università di Napoli.

Lo studio contiene tre gruppi di dati di bilancio e di conto economico delle imprese industriali del Sud. Il quadro non è affatto roseo. La crisi iniziata nel 2008 perdura fino al 2014.

“Uno spiraglio di luce – è il commento di Giorgio La Malfa, presidente della Fondazione ed editorialista del Mattino – viene invece dal comparto delle imprese medie e medio grandi, che presentano buone performance competitive sui mercati esteri e mostrano d’essere in linea con le imprese del resto del Paese. Ilsudonline lo ha intervistato.

Presidente, partiamo dai dati che dal censimento si ricavano sulle delle medie imprese meridionali. Il Rapporto dice che essi mostrano un fatturato all’esportazione in crescita e soprattutto produttività in linea con quelle del resto del paese. Considera questo dato un elemento incoraggiante? Può essere alla base di una buona politica economica?
Certamente sì. Purtuttavia bisogna considerare che la loro presenza sul territorio meridionale risulta esigua in confronto al resto del paese. Si tratta di 245 imprese su 3265 nell’Italia nel suo insieme, pari al 7,5 %, e principalmente concentrate in tre regioni. Campania, Puglia, 50 e Abruzzo.

La base produttiva del Sud si mostra asfittica rispetto al numero degli abitanti. Venti milioni è un numero due o tre volte più elevato di diversi Stati aderenti all’Unione europea. Non è così?
Infatti. Abbiamo stimato con una certa precisione l’occupazione industriale nel Mezzogiorno nelle Imprese medie e grandi. Si tratta circa di 113.000 dipendenti…

Cosa suggerisce alle istituzioni che si occupano di politiche di sviluppo, al Governo, alle Regioni?
Bisogna considerare anzitutto che oggi le attività industriali portano con sé livelli di occupazione che difficilmente possono essere raggiunti in agricoltura o nel settore terziario privato. E’ difficile quindi che si possa immaginare anche solo un avvicinamento delle regioni meridionali alla piena occupazione senza una significativa diffusione nel territorio delle regioni del Mezzogiorno di attività industriali.

Ma i tempi nei quali un insediamento industriale poteva comportare la creazione di migliaia di posti di lavoro sono lontani. Non crede?
Venuta meno l’impresa pubblica, non ci sono gruppi industriali di grandi dimensioni che possano progettare investimenti con assunzioni su larga scala. Ove mai vi fossero imprese pronte a localizzare nuovi impianti nel Mezzogiorno, sarebbe improbabile che assorbirebbero un numero significativo di addetti. E questo perché la tecnologia è mutata a tal punto da consentire grandi volumi di produzione con modesti numeri di addetti. Ma il punto che richiede una seria riflessione è un altro…

Proviamo a proporla ai lettori del Sud?
Essa discende dai dati della produttività emersi lo scorso anno e confermati in questo Rapporto. Emerge che una localizzazione meridionale non costituisce un fattore così negativo come tradizionalmente si scrive e si dice.

Insomma, i dati dicono che è possibile fare impresa nel Mezzogiorno a condizioni e con risultati non troppo diversi dal resto del Paese?
Esattamente. Ne discende che sarebbe quindi possibile immaginare uno sviluppo industriale nel Mezzogiorno che non richiederebbe particolari agevolazioni o benefici per sopravvivere su un piede di parità con il resto del Paese.

Quindi investire nel Mezzogiorno conviene?
Il fattore limitante non è costituito dall’ambiente economico sfavorevole, bensì dalla mancanza di una imprenditorialità meridionale e forse dei capitali iniziali che debbono accompagnare la nascita di nuove iniziative.

Vuole sviluppare queste osservazioni?
Il filo del nostro ragionamento è che è tuttora indispensabile puntare su una politica di industrializzazione del Mezzogiorno. Se l’obiettivo è incidere sulla disoccupazione, il numero degli insediamenti industriali deve divenire piuttosto elevato. In altri termini, per realizzare un dato numero di nuovi addetti serve un numero maggiore di imprenditori che in passato.

Il messaggio sembra essere indirizzato anzitutto al governo guidato da Matteo Renzi. E cioè al lavoro che è stato affidato al sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Claudio De Vincenti, più noto come Masterplan per il Mezzogiorno.
Certo, nei mesi scorsi, sulla spinta di un allarmato ed allarmante rapporto della SVIMEZ, il governo aveva mostrato un interesse nuovo sul tema del Mezzogiorno e aveva promesso l’elaborazione di un programma complessivo di interventi. Di questo programma si sono perdute le tracce, mentre la legge di stabilità si è limitata, secondo la tradizione, a prevedere il finanziamento o il rifinanziamento di una serie di interventi disparati dei quali non si conoscono e non sono mai stati valutati fino in fondo costi e benefici.

Il Masterplan prevede accordi con le Regioni sui motori da riaccendere…
Meglio se uno per ciascuna regione. Poli di attrazione e di localizzazione degli investimenti che presentino e garantiscano condizioni particolarmente favorevoli ai nuovi insediamenti industriali.

Che cosa si dovrebbe assicurare loro per farli finalmente rombare?
Collegamenti efficaci stradali e ferroviari con porti, aeroporti e con i mercati di sbocco. Disponibilità in loco di servizi, come acqua, elettricità, collegamenti in banda larga etc. Un sistema a tutta prova di sicurezza dalle infiltrazioni della criminalità. Una presenza di terminali di grandi aziende di credito. Università capaci di produrre tempestivamente le competenze richieste. Se possibile, agevolazioni fiscali. Ma serve una gestione nazionale di queste iniziative, un punto di riferimento centrale che risponda delle attività svolte e dei risultati ottenuti. Serve in altre parole una Agenzia per lo sviluppo industriale del Mezzogiorno.

Con quali compiti?
Un’Agenzia nazionale per il Mezzogiorno che abbia potere di coordinamento fra le varie Amministrazioni che debbono cooperare alla riuscita di questo progetto potrebbe costituire una risposta efficace alla sfida posta oggi dalle condizioni del Mezzogiorno. E potrebbe anche consentire un migliore raccordo ed una migliore utilizzazione dei fondi europei.

Agevolazioni fiscali sì, incentivi no?
Se è valida l’analisi che emerge dal nostro Rapporto, lo sviluppo del Sud non ha bisogno di incentivi specifici, posto che le imprese meridionali possono essere altrettanto efficienti delle imprese del Nord.

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