Salis

Il caso di Ilaria Salis

Bisogna superare il raccapriccio della lettura integrale della lettera di Ilaria Salis dal carcere di Budapest per commentare il caso di questa giovane donna incarcerata nel febbraio dell’anno scorso in Ungheria. È accusata, come noto, di lesioni aggravate (in realtà risolte con ferite guarite in 5-8 giorni) su due neonazisti partecipanti alla Giornata dell’Onore che l’11 febbraio, viene celebrata nella capitale magiara dai nostalgici di Hitler per ricordare il tentativo fallito del battaglione della Wehrmacht di rompere l’assedio di Budapest. Nella sua lettera, il resoconto delle umilianti condizioni della sua detenzione fa da controcanto alle vergognose immagini che la ritraggono in tribunale, costretta con manette alle mani e ai piedi e legata con catene-guinzaglio alla guardia carceraria. 

Denunciare e cercare al più presto una soluzione per questa vicenda è un obbligo per lo Stato italiano perché si tratta di una sua cittadina, ma anche per l’Europa, che ha il dovere di sorvegliare e sanzionare le derive illiberali e autoritarie dei paesi membri e rifiutare comportamenti contrari ai principi fondanti dell’UE quali il rispetto dei diritti umani.

La condizione delle carceri è solo uno dei capitoli della brutale violazione dei diritti e delle libertà fondamentali da parte del regime di Orban, che attacca la stampa, l’indipendenza della magistratura, il diritto di asilo degli immigrati, impone misure autoritarie che mirano a reprimere il dissenso e a mortificare la partecipazione politica e civile dei cittadini. L’ emancipazione delle categorie più svantaggiate in Ungheria è osteggiata con l’evidente intenzione di immobilizzare la piramide sociale che garantisce il potere della sua autocrazia, mentre la discriminazione di classe, di razza e di genere è inscritta con ogni evidenza nell’agenda delle politiche di governo.

L’indipendenza della magistratura ungherese non può essere oggi l’argomento con il quale Orban pensi di poter mettere a tacere l’indignazione dei Paesi democratici e stralciare le ragioni giuridiche e civili espresse in sentenze, trattati e convenzioni europei: dalla Convenzione dei diritti dell’Uomo, alle sentenze della Corte europea, alle numerose risoluzioni del Parlamento europeo. Quest’ultimo, sul rispetto dello Stato di diritto ha già ingaggiato diverse, aspre controversie con l’Ungheria, come nel caso del  braccio di ferro che ha provocato il pesante stallo nell’approvazione del Next generation Ue.

Quanto alle responsabilità dell’Italia, va subito detto che il governo avrebbe dovuto occuparsi della questione già da mesi perché le autorità diplomatiche italiane erano ne erano a conoscenza da tempo. Adesso che il caso è scoppiato, il baccano sollevato – ovviamente a colpi di tweet anche da parte di politici e ministri coinvolti in prima persona nella ricerca di una soluzione – non deve prevalere sul dovere del nostro governo di denunciare l’ipocrisia di Orban, che ora si fa scudo con il principio dell’indipendenza dei giudici. All’autocrate ungherese va ricordato, invece, che è nelle sue facoltà indurre i giudici a tenere conto delle circostanze internazionali che possono influire sull’interpretazione delle leggi e sulla avvedutezza delle sentenze. Non si vuole certo chiedere a Orban di togliere l’indipendenza alla magistratura ungherese: questo è solo il ricatto con cui lui sta cercando di aggirare le pressioni esterne usando uno dei principali capi d’accusa dell’Europa nei suoi confronti. Si deve invece far presente a Orban che è diritto di ogni Stato fare richieste ad un altro Stato che riguardano un suo cittadino detenuto, ed è nelle prerogative di ogni capo di governo raccomandare alla propria magistratura sentenze ragionevoli in presenza di delicati rapporti fra Stati.

Dopo una prima inaccettabile reazione della Farnesina alla diffusione del video di Ilaria Salis al guinzaglio – “Orban non c’entra niente. Non è che il governo decide il processo”, aveva detto il ministro Tajani – la Farnesina stessa è intervenuta con una richiesta all’Ungheria di misure alternative alla detenzione in carcere della donna. La presidente del Consiglio Meloni, da parte sua, ha ottenuto ieri sera a Bruxelles l’impegno di Orban che “tutti i diritti saranno garantiti”. Saranno adottate, ha aggiunto il premier ungherese, “misure adeguate alla gravità dell’accusa del reato commesso”. Poca cosa davvero, soprattutto in attesa di sviluppi ancora incerti, per un intervento da parte del nostro governo che sarebbe dovuto essere tanto più tempestivo ed efficace, come si converrebbe ad un governo che abbia a cuore i principi e i diritti della democrazia.    

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