Michele Ferrero è stato molto più di un imprenditore: sarebbe riduttivo definire così l’uomo che ha messo in piedi ad Alba un modello industriale in qualche modo alternativo alle fabbriche Fiat di Torino, dando vita ad un colosso dolciario apprezzato in tutto il mondo. L’uomo che ha inventato una leccornia come la Nutella – Nanni Moretti docet – è stato innanzitutto una persona curiosa. Prima di essere al timone di un’azienda planetaria mai quotata in borsa e tuttora per il 100% in mano alla famiglia, prima di dimostrarsi il capo attento ad ogni esigenza dei dipendenti fino a seguirli dopo la pensione, Michele Ferrero è stato un uomo sui generis, nel senso letterale dell’espressione. Dotato di una visione singolare e inconsueta – il figlio Giovanni, intervistato nel libro, dice del padre che ha sempre concepito “una forma di capitalismo non predatorio, non rapace ma illuminato ed etico” – inventava e assaggiava le sue creazioni, lusingando gli umori e i desideri del consumatore, nella persona di una ideale signora Valeria, assoluta regina delle sue scelte e giudice insindacabile dei suoi prodotti.
Questo e tanto altro ancora ci racconta la biografia scritta dal giornalista Salvatore Giannella Michele Ferrero. Condividere valori per creare valore, Salani Editore. Un lavoro arduo, principalmente per il carattere molto riservato del nostro protagonista, che non ha mai voluto concedere interviste – “le interviste sono come le ciliegie: se si comincia con una, è poi difficile resistere alle altre” – con un solo strappo alla regola, quando nel 2010, alla bella età di 85 anni, si concede alle domande di Mario Calabresi, allora direttore de La Stampa, a patto – rispettato lealmente dal giornalista – che l’intervista venga pubblicata solo dopo la sua morte, avvenuta nel 2015.
È un libro che, seguendo passo passo la storia del nostro paese che usciva dai disastri dell’ultima guerra mondiale – già nel 1946 la Ferrero aveva una cinquantina di dipendenti – si basa sulle testimonianze di chi lo ha conosciuto personalmente, ma soprattutto di chi ha lavorato per lui e con lui, e ne ha potuto apprezzare, oltre l’integrità morale, la genuina empatia verso i collaboratori, quelle piccole attenzioni, quella schietta disponibilità che rendono familiare il rapporto tra il datore di lavoro e i suoi dipendenti. Sono tanti gli aneddoti al riguardo presenti nel libro, racconti che parlano di uno stile da prendere a modello di imprenditoria, ma anche culturale per l’insegnamento civile di convivenza e collaborazione che non nasconde, ma anzi esalta, il fine della produttività come valore sociale da riprodurre e trasmettere in un mondo del lavoro che oggi appare sempre più inaridito sul piano dei diritti e del rispetto della persona umana.
Sognatore pragmatico, predispone una linea di autobus per prelevare la mattina e riportare a casa a sera i dipendenti; fa costruire case – il primo Villaggio Ferrero è del 1953 – per chi preferisce abitare vicino al luogo di lavoro; istituisce colonie estive per i figli dei dipendenti: “I dipendenti devi rispettarli, coccolarli. Devi farli sentire imprenditori a loro volta. Dall’operaio al dirigente, devono sentire l’azienda come propria e così contribuiranno insieme alla sua crescita. E tu, imprenditore, puoi addormentarti sereno la sera.”
Parliamo di un’azienda che, per la morte prematura di un dipendente, prevede tre anni di stipendio al congiunto, l’assunzione dei figli di cui si segue l’istruzione fino alla laurea, un’azienda il cui fondatore non si è mai accontentato ma, rischiando, ha sempre voluto ampliarne i prodotti e i confini e che nel 2022, guidata dal figlio Giovanni, ha fatturato 14 miliardi di euro, con più di 41.000 dipendenti in 55 paesi, con 25 stabilimenti produttivi in 5 continenti. Eppure Michele Ferrero, il “signor Michele”, come era chiamato dai suoi dipendenti, era capace di dedicare il suo tempo anche a uno solo di loro quando ne aveva già ventimila, di commuoversi per le loro gioie familiari, di organizzare brindisi a sorpresa per la nascita del figlio di un suo collaboratore. È così allora che l’azienda, un tutt’uno di imprenditoria e capitale umano, ha potuto crescere, ma anche affrontare enormi difficoltà e ripartire dopo le due drammatiche alluvioni provocate dal fiume Tanaro nel 1948 e nel 1994. E il successo dei prodotti riconducibili al suo marchio rimane intatto nel tempo: oltre alla leggendaria Nutella, i Mon Chéri, i Ferrero Rocher, i Pocket Coffee, e tante altre straordinarie golosità che fanno ormai parte delle nostre dolcezze (e trasgressioni) quotidiane.
Uomo di fede straordinaria, Michele Ferrero è stato capace di sopportare la perdita del padre Pietro e dello zio Giovanni, che gli hanno lasciato in mano l’impresa a soli 32 anni, ma soprattutto la prematura scomparsa del figlio primogenito Pietro, nel 2011, che insieme al fratello Giovanni era ormai a capo della società.
Tirando le somme, il libro di Giannella è una lettura appassionante e molto istruttiva, che ci racconta ancora una volta come il genio italiano sappia far nascere miracoli dal nulla.
“Lavorare, creare, donare” sono le tre parole che riassumono la filosofia del gruppo, che esaltano la cultura di impresa, che raccontano un uomo importante, umile e schivo ma estremamente concreto, una bella persona che ha dato notorietà internazionale ad una piccola ma operosa città come Alba e, insieme ad essa, anche al nostro paese. Del resto, “che mondo sarebbe senza Nutella?”.
Filippo Bocci, laureato in Lettere, scrive di letteratura, cinema, teatro. Segue gli sviluppi e le tendenze della letteratura italiana e internazionale, recensendo, fra l’altro, le opere di nuovi talenti della poesia e della narrativa contemporanee. Numerosi suoi articoli sono pubblicati sul magazine on-line B-hop. Nel 2019 ha dato alle stampe «Padre Crippa un sacerdote militante. Un prete “sindacalista” al fianco delle colf», edito dalla Fondazione intitolata al religioso dehoniano.