di Filippo Bocci
Giugno 1924. Il fascismo è giunto al tragico spartiacque del delitto Matteotti e il suo carattere dittatoriale e violento è ormai evidente. Sulla scena teatrale di Ottobre 22 c’è un imputato, Luigi Facta, alfiere giolittiano del Partito Liberale e di quella politica di rappresentanza di fine ‘800, che non si è resa conto di essere ormai inadeguata in una grande società di massa, dove socialisti, popolari e fascisti, radicati e organizzati sul territorio, danno voce ai bisogni e alle istanze della popolazione, calamitando con facilità consensi e voti. È questo il potente e teso impianto drammaturgico che esce dalla penna di Sergio Pierattini, autore e regista dell’opera. Gli errori, i dubbi, la reticenza di una classe politica raccolta nella figura di Luigi Facta, sono affidati all’interpretazione di Renato Sarti, anche co-regista dello spettacolo. Il ruolo dell’accusatore è interpretato da Fabio Zulli. L’autorevole consulenza storica è di Mimmo Franzinelli. Ottobre 22, a cento anni dalla Marcia su Roma, è andato in scena per Roma Europa Festival al teatro Vascello e dal 28 al 30 ottobre e dal 3 al 13 novembre prossimi sarà a Milano al Teatro della Cooperativa. Uno spettacolo necessario, dalla grande valenza storica e civile.
Abbiamo rivolto alcune domande a Sergio Pierattini:
Ottobre 22 mette in scena un processo contro il presidente del Consiglio Luigi Facta, interpretato da Renato Sarti, nei tragici giorni successivi al delitto Matteotti. Qual è l’idea alla base di questo testo di grande impatto drammatico? Quale il messaggio che ne scaturisce?
“Cerco di analizzare, attraverso la finzione drammaturgica uno degli eventi storici che maggiormente hanno segnato il nostro passato: l’avvento al potere del fascismo grazie all’ insurrezione che la propaganda fascista sublimò successivamente nel mito della Marcia su Roma. La figura di Facta è centrale e rappresentativa di una classe politica che non fu capace o non volle fermare il fascismo. L’idea di fondo è quella di un processo sommario allo stesso Facta, teso a scoprire tutti i lati oscuri e contraddittori di colui che ebbe, almeno nella notte tra il 27 e il 28 Ottobre, in mano le sorti del nostro paese. L’accusatore è un giovane rimasto vittima della violenza squadrista. La mancata firma da parte di Vittorio Emanuele sul decreto d’assedio che avrebbe fermato i fascisti e messo sotto accusa Mussolini è al centro del dramma. La reticenza e l’ambiguità del vecchio politico piemontese, che ebbe un ruolo da protagonista nei giorni che precedettero l’incarico della formazione del governo a Mussolini, ribalterà con l’avanzare dell’azione i ruoli di accusatore e accusato, fino al drammatico epilogo”.
Perché a un secolo di distanza il fascismo viene ancora raccontato, studiato, rappresentato? Abbiamo fatto veramente i conti con il nostro passato?
“Per rispondere a questa domanda cito una frase del Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, in occasione del suo primo discorso alla Camera: “Non ho mai provato simpatia per il fascismo”. Umberto Gentiloni su Repubblica del giorno dopo si chiedeva: “Come si fa a declinare il giudizio sul fascismo lungo il crinale della simpatia mancante verso i regimi ed il loro cammino?” A maggior ragione, aggiungo, se la leader in questione proviene da un partito postfascista che affonda le radici storiche in quel MSI di cui porta ancora il simbolo della fiamma tricolore. Sono sicuro che la maggioranza di coloro che ha votato il partito della Meloni non sia e non abbia nostalgie di stampo fascista. Il paradosso preoccupante è che abbia comunque votato un partito post fascista. L’ambiguità sul ventennio fascista della classe politica che è chiamata a governare il paese mi pare un grave segnale di allarme. È altrettanto preoccupante che Il nostro Presidente del Consiglio abbia parlato di antifascismo citandone solo gli errori”.
Come è nata la collaborazione con Renato Sarti?
“Il Teatro della Cooperativa diretto da Sarti è da sempre impegnato su temi legati alla Resistenza e all’antifascismo. Penso a Mai morti con Bebo Storti, monologo delirante di un nostalgico della X Mas, a Gorla fermata Gorla con Giulia Lazzarini che rievoca la strage provocata dal bombardamento americano del 20 Ottobre del 1944 sulla scuola elementare Francesco Crispi di Gorla che provocò 184 vittime. Sarti ha accolto subito con entusiasmo e notevole capacità interpretativa la mia idea”.
Qual è l’importanza della memoria? Che cosa significa oggi tramandare?
“Significa riflettere sugli errori che abbiamo commesso evitandone la rimozione e l’oblio. La consapevolezza del nostro passato e delle tragiche tappe che ci hanno reso un paese libero e democratico è fondamentale a cento anni dall’avvento del fascismo, per ribadire la nostra identità ed il valore della nostra Costituzione, basata sulla Resistenza e sull’antifascismo”.
Recentemente lei è stato impegnato a Roma nello spettacolo Pietre d’inciampo. Perché i simboli danno tanto fastidio? Penso al furto delle pietre d’inciampo dedicate alle vittime della Shoah, avvenuto nel rione Monti a Roma nel dicembre del 2018.
“I simboli danno fastidio perché ci mettono davanti alle nostre responsabilità e ci provocano imbarazzo. Accade negli Stati Uniti per le statue che ricordano Cristoforo Colombo, che alcuni vorrebbero abbattere, ed è accaduto purtroppo anche per le pietre di inciampo”.
Il teatro è forse l’unico spazio in cui i tristi fantasmi della nostra storia possono tornare a ad avere voce?
“Spero di no, vista anche la tragica condizione in cui versa il teatro italiano, basti pensare alla situazione romana, con Valle, Eliseo chiusi, Argentina commissariata, per non citare la falcidia delle piccole realtà provocata in tutta Italia dalla riforma Franceschini. Ognuno nel suo campo deve fare la sua parte. Il periodo che stiamo vivendo ci offre l’opportunità per ripensare ad una politica alternativa a quella che sembra delinearsi nell’attuale governo in modo serio e soprattutto tenendo conto e facendo tesoro degli errori commessi. Mi riallaccio a Ottobre 22: Non fu la forza di Mussolini, ma la debolezza di chi avrebbe potuto fermarlo a consegnare il paese al fascismo”.
Filippo Bocci, laureato in Lettere, scrive di letteratura, cinema, teatro. Segue gli sviluppi e le tendenze della letteratura italiana e internazionale, recensendo, fra l’altro, le opere di nuovi talenti della poesia e della narrativa contemporanee. Numerosi suoi articoli sono pubblicati sul magazine on-line B-hop. Nel 2019 ha dato alle stampe «Padre Crippa un sacerdote militante. Un prete “sindacalista” al fianco delle colf», edito dalla Fondazione intitolata al religioso dehoniano.