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Rita Levi Montalcini, l’eredità di un gigante della scienza

di Giulia Di Bartolomei

“La scienza intimorisce solo chi non la conosce. Colpa anche delle distorsioni dei mass media. Ma in realtà la scienza è l’unica cosa che distingue l’homo sapiens dal resto delle creature viventi. Va coltivata, non certo bloccata.”

Queste le parole di Rita Levi Montalcini, che a dieci anni dalla sua morte, avvenuta il 30 dicembre del 2012, dovrebbero rimanere scritte nella mente di ognuno di noi.

Grazie alla sua dedizione, alla sua passione e al suo grande intuito, Levi Montalcini ha rivoluzionato la neurobiologia con la scoperta di una molecola (l’NGF- nerve growth factor) in grado di promuovere la crescita e guidare lo sviluppo delle fibre nervose. Senza saperlo, ha posto le basi che ci hanno permesso di avere una maggior comprensione delle malattie neurodegenerative, come l’Alzheimer o la Sclerosi multipla, così come di molti tumori. L’unica lady tra i tanti gentlemen, come diceva di sé stessa, era dotata di quel genio che nel 1986 l’ha portata a distinguersi quale prima donna italiana insignita del premio Nobel per la medicina.

Chissà cosa avrebbe pensato di fronte allo scetticismo, i dubbi e le paure che le nuove scoperte scientifiche generano al giorno d’oggi nella popolazione. Perché, sebbene a volte tendiamo a scordarcelo, è proprio grazie al progresso scientifico che molte malattie sono state debellate, centinaia di milioni di vite sono state salvate e l’età media dell’uomo è quasi raddoppiata rispetto al secolo scorso. Non dovremmo esserne grati alla scienza?

La storia e l’esperienza ci insegnano però che di fronte all’ignoto, al nuovo, l’uomo ha paura. È servito l’Illuminismo per uscire dal buio Medioevo e nonostante ciò, troppo spesso, torniamo a spegnere la luce, a volte causando danni enormi e minando quel progresso che, invece, potrebbe essere esponenziale.

In Italia, i fondi che i governi promettono sempre alla ricerca e alla scuola sono troppo pochi. L’insegnamento scolastico lascia lacune troppo grandi ed il numero di scienziati rispetto ad altri paesi europei, da noi è sempre minore. Dati pubblicati da Eurostat rivelano infatti che l’Italia, riguardo quest’ultima voce, è solo al sesto posto, mentre il Regno Unito, la Germania e la Francia conquistano il podio.

Inoltre, un altro studio rilasciato nel 2019 rivela che siamo il secondo paese europeo con la più bassa percentuale di laureati. Insomma: siamo un paese «scientificamente analfabeta». Due persone su cinque non sanno che il sole è una stella!

Cosa possiamo fare di fronte a tutto questo?

Non sono solo i fondi per la ricerca che devono aumentare, è la nostra mentalità che deve riacquistare fiducia nel metodo scientifico.

Basta credere alle bugie che alcune pagine del web ci raccontano. Basta a quei programmi televisivi che «investono» nella disinformazione.

Nel mondo vengono scritti ed approvati dalla comunità scientifica, dopo lunghi processi di revisione, circa 2,5 milioni di articoli l’anno. Si stima che in media, a seconda delle circostanze e della complessità, un articolo scientifico possa richiedere da 45 minuti a un’ora per essere letto. Dunque, se dedicassimo anche solo 12 ore l’anno, una al mese, alla lettura di riviste scientifiche, avremmo già grandi possibilità di accrescere il nostro bagaglio di conoscenze.

Vi è poi una seconda considerazione da fare: la grande maggioranza dei fondi dedicati alla ricerca vengono investiti nella ricerca applicata e clinica perché siamo abituati a pensare che l’avanzamento debba poter avere un riscontro immediato nella cura delle malattie gravi. Ma, così facendo, continuiamo ad ancorare sempre più la scienza agli obiettivi del sistema economico, finendo per promuovere soprattutto un sapere finalizzato ad immettere nuovi prodotti sul mercato.

Questa è una concezione errata. La ricerca applicata è infatti così definita proprio perché è l’applicazione della ricerca di base. Tuttavia, è stata spesso la blue skies research (la ricerca sui cieli blu), quella ricerca scientifica le cui applicazioni non sono chiare ed immediate, ad averci portato alle grandi scoperte che hanno cambiato la vita dell’uomo. Basti pensare a Marie Curie, grazie alla quale oggi possiamo effettuare i raggi-x a scopo diagnostico, oppure Pasteur, che ha scoperto la penicillina per puro caso. Le grandi idee sono spesso frutto della curiosità e della serendipità.

L’invito, quindi, è quello di tornare a credere nella ricerca di base, la stessa ricerca che Levi Montalcini ha condotto contro tutto e tutti persino durante gli anni della seconda guerra mondiale, quando fu costretta a lavorare rinchiusa nella sua camera da letto a causa delle leggi razziali.

Afferriamo l’eredità che questo gigante della scienza ci ha lasciato e portiamola avanti. D’altronde, come lei stessa disse davanti alle vaste platee che sempre accorrevano ad ascoltarla: «Quando muore il corpo sopravvive quello che hai fatto, il messaggio che hai dato».

Dunque, cara Rita, grazie per averci donato il tuo sapere, il tuo messaggio lo sentiamo forte e chiaro.

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Fonti:

Eurostat, https://ec.europa.eu/eurostat

National Science Foundation, https://www.nsf.gov/


Giulia Di Bartolomei, dottoranda in Neurobiologia all’università di Basilea, nasce a Roma nel 1992.
Si laurea nel 2014 in biotecnologie e poi nel 2016 in biologia molecolare all’Università di Roma “La Sapienza”. Dopo una tesi sperimentale condotta tra l’EMBL (European Molecular Biology Laboratory) di Monterotondo, Roma, ed Heidelberg, in Germania, vince la borsa di studio Giovanni Armenise per attività di ricerca in laboratorio all’Harvard Medical School di Boston. Autrice del modulo di formazione Bioinformando, progetto svolto in alcuni licei di Roma e provincia, che combina la biologia e l’informatica e si propone l’obiettivo di avvicinare gli studenti alla realtà della ricerca scientifica.

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