Quando ho iniziato a studiare biotecnologie all’università, ormai più di 10 anni fa, il termine “terapia genica” aveva da poco iniziato a circolare. Infatti proprio in quel periodo emergevano i primi casi di pazienti che venivano curati con i prototipi di quella che sarebbe diventata la “medicina personalizzata”.
È solo negli ultimi anni però che la terapia genica ha fatto passi da gigante, permettendoci davvero di poter sognare nuove modalità di fare medicina, dove ogni cura è specifica a seconda del paziente.
Ad aprile scorso, è stata messa a punto in Italia la prima terapia genica con cellule CAR-T, mirata alla cura di alcune gravi forme di neuroblastoma, il tumore solido al cervello più frequente ed aggressivo nei bambini. Un grande traguardo “made in Italy”, realizzato dal team guidato dal Professor Franco Locatelli dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, che ha dichiarato che il trattamento è di fondamentale importanza per ottenere un significativo aumento delle probabilità di vita di questi bambini. Questa è la prima cura di terapia genica basata sulle cellule CAR-T (Chimeric Antigen Receptor T-cell) che sia mai stata adattata al sistema nervoso, ed apre la strada per il trattamento di aggressivi tumori cerebrali fino ad oggi non curabili.
Ma cos’è la terapia genica con cellule CAR-T?
Le cellule CAR-T sono cellule T (ovvero cellule del nostro sistema immunitario) che vengono geneticamente modificate per riconoscere e distruggere specifiche cellule tumorali. Più nello specifico, una volta prelevate dal paziente, le cellule T vengono modificate in laboratorio, introducendo un gene artificiale che codifica, cioè che produce, un recettore chiamato CAR (Chimeric Antigen Receptor), che è capace di riconoscere specifiche proteine presenti sulla superficie delle cellule tumorali. Dopo la modifica genetica, le cellule CAR-T vengono moltiplicate in-vitro e infine rinfuse nel paziente, dove si attivano e si moltiplicano ulteriormente, attaccando le cellule tumorali che esprimono la proteina riconosciuta dal recettore CAR (nel neuroblastoma è la molecola GD2), indirizzando i linfociti T contro le cellule malate.
La terapia genica con cellule CAR-T aveva già dimostrato di essere molto efficace nella cura di alcune forme di leucemia e linfoma, portando alla completa remissione della malattia in molti pazienti. Inoltre, le cellule CAR-T hanno il vantaggio di poter essere modificate in modo da riconoscere e distruggere specifici aggregati proteici, come quelli presenti nelle malattie neurodegenerative come l’Alzheimer e il Parkinson. Si può dunque facilmente intuire l’enorme potenziale e l’impatto che le cellule CAR T hanno contro patologie per le quali ancora non vi sono cure ben definite, sottolineando ancora una volta l’importanza e la necessità di promuovere la ricerca di base e in ambito clinico nel nostro paese.
Da ricercatrice, spero che gli incoraggianti risultati raggiunti dalla sperimentazione scientifica italiana, e quelli prevedibili dall’esito di molti studi in corso, possano indurre ad un aumento dei fondi pubblici da dedicare alla ricerca. Perché se è vero che non c’è cura senza ricerca, dobbiamo ricordarci che non c’è ricerca senza fondi. Questa è una grande sfida, che spero venga accolta dal governo italiano. Non solo per i ricercatori, in Italia troppo precari ed estremamente sottopagati, ma anche e soprattutto per i pazienti, perché possano sperare in cure innovative, e per la società, perché possa tornare a riporre fiducia nella ricerca scientifica, mettendo al bando le fin troppo diffuse, spiacevoli convinzioni che negli ultimi anni hanno osteggiato un approccio sereno soprattutto alle cure contro il Covid-19.
A riprova dei successi italiani, va specificato che sono diversi gli istituti di ricerca che promuovono la ricerca sulla terapia genica. In particolare, lo Human Technopole di Milano si pone ad oggi come centro all’avanguardia e potrebbe giocare un ruolo significativo nello sviluppo di modelli per la terapia genica personalizzata. Infatti, un’ intera facility dell’istituto è stata dedicata alla generazione di cellule staminali e organoidi, strutture tridimensionali che possono essere coltivate in laboratorio mimando l’organizzazione e la funzione di organi specifici. Con questi modelli, attraverso l’implementazione di pipeline automatizzate, è possibile riprodurre fedelmente le caratteristiche genetiche e patologiche di un individuo, testando diverse strategie terapeutiche e identificando quelle più efficaci per trattare specifiche patologie. Tuttavia, è importante sottolineare che l’utilizzo degli organoidi per la terapia genica personalizzata è ancora in una fase di ricerca e sviluppo e richiede ulteriori studi per confermare la sua efficacia, applicabilità e sicurezza a lungo termine. Che sia un nuovo capitolo nella storia della medicina?
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Fonti: Del Bufalo et al. ; 2023 N Engl J Med 2023; 388:1284-1295 DOI: 10.1056/NEJMoa2210859
Giulia Di Bartolomei, Ph.D in Neurobiologia all’università di Basilea, nasce a Roma nel 1992.
Si laurea nel 2014 in biotecnologie e poi nel 2016 in biologia molecolare all’Università di Roma “La Sapienza”. Dopo una tesi sperimentale condotta tra l’EMBL (European Molecular Biology Laboratory) di Monterotondo-Roma, ed Heidelberg in Germania, vince la borsa di studio Giovanni Armenise per attività di ricerca in laboratorio all’Harvard Medical School di Boston. Autrice del modulo di formazione Bioinformando, progetto svolto in alcuni licei di Roma e provincia, che combina la biologia e l’informatica e si propone l’obiettivo di avvicinare gli studenti alla realtà della ricerca scientifica.