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Dietro il terrorismo di Hamas

Non è solo un attacco contro Israele che autorizza e giustifica qualsiasi risposta lo Stato di Israele decida di dare. Quello perpetrato dai terroristi di Hamas è un crimine contro l’umanità e dovrebbe essere oggetto di una risposta internazionale e, una volta catturati i responsabili, dovrebbe essere un tribunale internazionale a comminare delle pene adeguate alla enormità di questo crimine orrendo.

Ciò detto, è indispensabile ragionare sugli obiettivi che i terroristi si pongono e sui regimi che possono averli aiutati. Circa il primo punto, è evidente che l’obiettivo è la possibile normalizzazione dei rapporti diplomatici fra Israele e Arabia Saudita. Si tratterebbe e si tratterà, se come è auspicabile il processo diplomatico non sarà arrestato dal crimine e dalle reazione di Israele, di una svolta storica in Medio Oriente.

L’azione di Hamas, nella sua violenza bestiale, mira a provocare una tale reazione da parte di Israele da rendere impossibile il negoziato diplomatico con l’Arabia Saudita. Solo così si spiega la scelta non solo degli attacchi,ma anche la cattura delle persone e le torture loro inflitte e documentate sui social networks di tutto il mondo. Rendere inevitabile una risposta devastante di Israele contro i palestinesi, tale da offendere anch’essa il mondo e forse causare una guerra più ampia che coinvolga altri Paesi del Medio Oriente, a cominciare dall’Iran, questo è l’obiettivo evidente.

Dietro questa azione vi debbono essere altri Stati, non solo perché un’azione di questo genere non poteva non essere conosciuta dai servizi segreti dei Paesi che hanno con Hamas uno stabile rapporto, ma anche perché una tale disponibilità di armi presuppone una mole di approvviggionamenti e una lunga preparazione.

È quasi inevitabile concludere che dietro Hamas ci sia l’Iran, preoccupato non tanto dalla sorte dei palestinesi, ma dal rafforzamento internazionale dell’Arabia Saudita. È l’Iran il Paese più vitalmente interessato a bloccare l’intesa arabo-israeliana che consoliderebbe il sostegno diplomatico e militare aall’Arabia Saudita da parte degli Stati Uniti. Ieri si è svolto sulla pelle dei cittadini inermi di Israele ed anche dei palestinesi un capitolo della guerra fra l’Iran e l’Arabia Saudita.

Vi deve essere secondo noi anche una dialettica in seno all’Iran, perché se una fazione di quel Paese ha favorito e cooperato all’atto di sabato, non può non esservi un’altra parte di quello stesso Paese che capisce che questa è una strada che porta a una guerra dell’Iran con Israele, ma fose anche con l’Arabia Saudita.

E tuttavia, ragionando soltanto con gli strumenti delle riflesione politica, vi è un altro Paese che è vitalmente interessato a quello che sta succedendo e succederà in Medio Oriente: è la Russia di Putin. Essa ottiene molti risultati: dal più piccolo, che è distogliere l’attenzione dall’Ucraina, al più grande: costringere l‘Occidente a destinare i prorpi armamenti a un diverso teatro di guerra. L’Occidente non può lasciare Israele senza aiuti militari: gli Stati Uniti hanno riserve di armi per soddisfare le necessità dell’Ucraina e di Israele e forse dell’Arabia Saudita? E se scoppiasse una guerra aperta fra l’Iran e i suoi vicini, l’attenzione non sarebbe distolta per lungo tempo dal conflitto in Ucraina?

A noi sembra che nei commenti che abbiamo letto ieri questa connessione fosse largamente mancante, anche se qualche giornale stamane cominciava a domandarsi se non vi possa essere anche la mano dei servizi russi dietro quello che sta avvenendo.

Tutto questo significa che siamo entrati in una nuova, pericolosissima fase della crisi internazionale aperta dall’invasione dell’Ucraina nel 2022. Un allargamento del teatro di battaglia è quanto di meglio può fare Putin per evitare la sconfitta che appare probabile nel singolo teatro dell’Ucraina. Servirà molta lungimiranza unita alla determinazione da parte dell’Occidente per affrontare queste questioni.

E infine, nel manifestare la totale solidarietà al popolo di Israele, aggiungiamo che appare in tutta la sua stoltezza, mentre si stava preparando una svolta diplomatica cruciale come quella con l’Arabia Saudita, la politica degli insediamenti in Cisgiordania che, non solo accende il risentimento e l’odio palestinese, ma, come si è visto, ha portato Israele a depotenziare la sorveglianza e le difese ai confini di Gaza per “proteggere” gli insediamenti vecchi e nuovi in Cisgiordarnia. Questa contraddizione di Israele deve essere superata. Lo diciamo con la serenità di una tradizione politica che non ha mai fatto mancare in tutto il dopoguerra la sua solidarietà e il suo sostegno allo Stato e al popolo di Israele.

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