Israele commetterebbe un terribile errore se invadesse militarmente la Striscia di Gaza per perseguire e colpire i mandanti e gli esecutori degli attentati che l’hanno atrocemente attaccato nei giorni scorsi. Non perché un paese non abbia il diritto, e anche il dovere verso i suoi cittadini, di rispondere con la forza alla violenza subita, ma perché la sua azione militare contro Hamas avrebbe conseguenze politiche molto gravi, molto superiori ai risultati positivi attesi dall’azione militare.
Probabilmente Israele ritiene che non rispondere subito possa avere conseguenze molto gravi nel tempo. Può temere che la sua inazione possa essere considerata una manifestazione di debolezza e che questo possa incoraggiare i suoi nemici ad essere ancora più aggressivi. Poi, c’è la questione degli ostaggi. Israele può pensare che la sua mancata risposta militare possa significare un cedimento rispetto al ricatto costituito dagli ostaggi presi dai terroristi e sia quindi un incentivo a catturarne altri. Infine, vi sono i precedenti: fino ad oggi Israele ha sempre scelto la strada di dare risposte devastanti agli attacchi che ha subito: se ora non lo facesse, darebbe un segno di fiacchezza e di indeterminazione.
Queste sono le valutazioni che spingono Israele verso l’invasione di Gaza, ma non le consideriamo sufficienti a compensare il danno che Israele subirebbe coinvolgendo nella sua azione le popolazioni civili. Vi sarebbe un effetto devastante sull’immagine di Israele nel mondo: apparirebbe come un Paese disposto a commettere gli stessi atti di violenza che ha subito, a colpire, nello scontro con Hamas, anche civili inermi, vecchi, donne e bambini.
Ma questo non è tutto. L’invasione militare di Gaza sarebbe anche un errore sul piano politico, un errore gravido di conseguenze. La domanda alla quale rispondere dopo l‘attacco subito da parte di Hamas è se le forze della democrazia avranno la coerenza e la determinazione di trattarlo come un gruppo terroristico, quale esso è, e non come il governo più o meno legittimo della Palestina o di una parte di essa. Hamas ovviamente, come fu per l’Isis o, in Italia, per le Brigate Rosse, punta ad essere considerato un governo legittimo: in questo caso il governo della Palestina. Accanto all’odio per Israele essa nutre un odio profondo verso l’ANP che punta a sostituire come ‘legittima’ espressione del popolo palestinese. L’azione di Israele nei prossimi giorni darà una risposta a questo interrogativo sulla natura di Hamas. Se Israele cercherà di individuare e di colpire i componenti del gruppo terroristico, vuol dire che non li riconosce come un’entità statale. L’occupazione militare di Gaza da parte dell’esercito israeliano darebbe invece ad Hamas quello che essa spera di ottenere: lo status di governo della Palestina. Dal punto di vista politico Israele ha interesse a isolare Hamas non a identificarla con il popolo palestinese.
E infine, vi sono le implicazioni ulteriori di un’azione a Gaza. Dietro Hamas non vi è stata – come hanno fatto sapere gli stessi servizi segreti israeliani – la mano dell’Iran. La situazione nel Nord di Israele e la “prudenza” di Hezbollah confermano che l’Iran non intende essere direttamente coinvolto. Ma è difficile che possa astenersi dall’azione qualora il conflitto investa il territorio palestinese di Gaza. Il solo paese interessato ad allargare l’incendio è la Russia di Putin, per ragioni evidenti.
Scriviamo tutto questo come amici di lunga data di Israele, come rappresentanti di una forza politica che non ha mai fatto mancare il suo sostegno a Israele e alle comunità ebraiche in Italia e nel mondo, anche quando Israele era più solo e buona parte delle forze politiche di destra e di sinistra erano su posizioni molto diverse da oggi. Proprio per questo siamo certi che le nostre parole meritino di essere ascoltate a Tel Aviv e a Roma. L’odio acceca, ma questo è il momento della lungimiranza.