BRUXELLES – Le cadute peggiori sono quelle che avvengono molto lentamente, impercettibilmente, indolori. Una volta per terra, risollevarsi, chiede uno sforzo mentale oltre che fisico. L’Unione Europea sta scivolando verso la marginalità demografica, e nessuno – nella politica, nei media, nella società – pare accorgersene. Eppure i dati demografici sono noti: siamo la regione più vecchia del pianeta, nessuno è come noi, a parte il Giappone. Presto la nostra popolazione sarà appena il 4% di quella del mondo, e l’attuale generazione di sessantenni è l’ultima a poter vivere in una società relativamente equilibrata nella distribuzione di fasce d’età. Nel 2070 un terzo degli europei avrà più di 65 anni, il 15% addirittura più di 80, e l’aspettativa alla nascita sarà di 90 anni per le donne e di 86 per gli uomini. La sostenibilità del lavoro e dei sistemi previdenziali, oltre che l’approvvigionamento di un’energia vitale della società, saranno assicurate in misura crescente dall’immigrazione. Non è un processo che si possa improvvisare.
Per questo la commissaria Dubravka Šuica ha proposto la creazione di un’Agenzia specializzata sulla Terza Età, sperando che le prossime presidenze di turno accolgano bene l’idea per attuarla entro l’anno prossimo. La signora Šuica onora il mandato della sua istituzione, che non è solo quello di fare il guardiano dei trattati, ma anche di guardare avanti, là dove la politica spesso non arriva, per preparare le grandi sfide della nostra società. Finora, tutto tace.
Per quanto l’allergia alla proliferazione di nuove istituzioni possa avere solide ragioni, la commissaria ne ha di più valide. Una risiede proprio nel silenzio con cui la proposta è stata finora accolta: l’Europa ha bisogno di darsi una scossa, di essere più consapevole di cosa l’attende, di cosa lei stessa sta preparando per il suo futuro prossimo, e un organismo permanente avrebbe quantomeno il merito di istituzionalizzare il dramma dell’invecchiamento della società, con un ruolo di monito e di proposte.
Se il mandato accordato a questa agenzia fosse corrispondente all’entità del problema, le mansioni non mancherebbero. L’Europa deve affrontare una transizione verso una società che oltre a essere più vecchia di per sé, lo sarà ancora di più al cospetto di quasi tutte le altre regioni del mondo (sul caso singolare, e disperato, della Russia, si legga l’articolo del Foglio del 23 marzo). E questo è un fattore capace di condizionare le politiche commerciali e forse anche quelle di sicurezza dell’Unione. L’intelligenza artificiale avrà un ruolo insostituibile nella mobilità, nella connettività e nella medicina. L’organizzazione del sapere – dalla formazione di profili professionali alla stessa industria della cultura e dell’intrattenimento – andrà ridefinita, così come molta parte della logistica e dell’offerta commerciale.
Oltre gli aspetti pratici, vi sono poi quelli macroeconomici, produttivi, finanziari, e l’aggiornamento dell’identità europea – tra le mille cose, sarà forse sempre più difficile anche vincere medaglie alle Olimpiadi?
Quanto alle politiche migratorie, tanto quelle in entrata quanto quelle dei giovani in uscita, saranno sempre più condizionate dal fattore Terza Età, per questo dovranno essere ridisegnate uscendo dall’attuale improvvisazione. E ribaltando certe percezioni: l’Europa avrà bisogno di essere attrattiva – e non è detto che non mancherà la concorrenza.
Soprattutto, l’Europa ha già bisogno, da adesso, di leggere la sua storia futura e di impostare molte scelte politiche pensando a quanto più vecchia sarà presto la sua popolazione. È il senso della proposta della commissaria, che ha anche evocato le politiche urbanistiche del territorio, allargando le possibilità di vita nelle campagne sia per gli anziani che per le giovani famiglie, tutti sempre più in difficoltà nelle città. Oggi l’80% del territorio dell’Unione è zona rurale e ospita appena il 30% della popolazione, anche per la scarsità di servizi primari e secondari. Šuica ha suggerito che basterebbe creare una wi-fi di campagna e le cose cambierebbero drasticamente, permettendo ai più giovani di lavorare a distanza, ai più anziani di vivere e farsi curare con maggiore qualità della vita. Forse, potrebbe essere la prima decisione della nuova agenzia.
Ma ancora più arduo è affrontare il primo dei problemi, ovvero il rovesciamento del ruolo dell’anziano europeo, un tempo depositario di un sapere e capostipite di una comunità e oggi sempre quantitativamente maggioritario ma, per la minore capacità di continuo aggiornamento, considerato qualitativamente marginale. Che poi è la ragione dell’assenza di dibattito.
Niccolò Rinaldi dal 1989 al 1991 è responsabile dell’Informazione per le Nazioni Unite in Afghanistan. In seguito, nel 1991, diviene prima consigliere politico e poi, dal 2000, segretario generale aggiunto al Parlamento Europeo. Nel 2009 è eletto deputato europeo, e diviene vice-presidente dell’Alleanza dei Democratici e Liberali per l’Europa (ALDE). Nel 2014, al termine del mandato europeo, resta come funzionario nell’istituzione dove è attualmente Capo Unità Asia, Australia e Nuova Zelanda. Negli ultimi anni ha tenuto su Il Commento Politico la rubrica Lettere da Bruxelles.