Nature

Nature Restoration Law: una strada urgente ma in salita

BRUXELLES – L’ ambizione del Nature Restoration Law è pari all’opposizione che incontra. Le misure proposte dalla Commissione prevedono uno sforzo per mettere in sicurezza entro il 2030 almeno il 20% delle terre e delle acque dell’Unione Europea, in linea con il “UN Kunming-Montreal Global Biodiversity framework”. In altre parole, gli Stati dovranno adottare misure stringenti su una molteplicità di aree – fiumi, città, coste, foreste – vietando o limitando l’uso di numerose sostanze e attivando politiche che invertano l’attuale corso di deterioramento ambientale e ripristinino una migliore biodiversità. Tra politica edilizia, sviluppo industriale, gestione dei rifiuti e dei materiali inquinamenti, produzione agricola, politica urbana, sistemi di pesca e molto altro, non c’è quasi settore della vita economica che non verrà toccato da questo ulteriore pilastro del Green Deal europeo.

Ad esempio, si vuole introdurre l’obbligo giuridico di invertire entro il 2030 il declino delle popolazioni di impollinatori, e la riduzione del 50% di pesticidi e altri agenti chimici. Così come ogni città, entro il 2030 non potrà avere meno verde rispetto a quanto ne disponeva nel 2021, ed entro il 2050 dovrà aumentarlo del 5%, garantendo inoltre una superficie di chiome di alberi pari ad almeno il 10% del territorio. È infatti provato che l’ombra delle piante è uno dei pochi strumenti immediatamente disponibili per fronteggiare l’aumento delle temperature nelle nostre metropoli.

Dietro le misure e il ruolino di marcia del NRL vi è il lavoro di molti scienziati, che una volta di più – si pensi alla pandemia – sono chiamati a un contributo cruciale per le decisioni politiche. Una funzione contrastata da molti come un’invasione nel campo della politica, che invece la cultura laica non può che promuovere, difendendo la libertà di ricerca e la pluralità di visioni.

Del resto, i dati confermano l’esperienza empirica del cittadino, in un ambiente senza lucciole e farfalle: scioglimento dei ghiacciai alpini, caldo estivo soffocante e inondazioni sempre più frequenti. Anche chi sia meno sensibile capisce che il NRL ha una sua necessità.

Eppure, approvata dal Parlamento Europeo per una manciata di voti per la strenua opposizione di popolari e conservatori, e ora all’inizio del confronto col Consiglio, la proposta europea è stata subito oggetto di una demonizzazione, e già si odono gli squilli di tromba di una narrazione basata soprattutto su due elementi: perché l’Europa deve partire all’avanguardia di processi ambientalisti che avrebbero senso solo se applicati anche dalle altre grandi macroregioni del pianeta, così da evitare l’ennesimo svantaggio competitivo per i nostri produttori al cospetto di chi ha e avrà meno vincoli? E perché sprecare, in questa ambiziosa transizione, risorse che con l’aumento dei prezzi agricoli e delle materie prime sarebbero più utili altrove?

Questo, e altro, sarà la musica della campagna elettorale da parte delle destre e, con malizia, ci si potrebbe chiedere per quale ragione la Commissione abbia impostato un calendario così problematico, investendo il Parlamento di un tale provvedimento quando ormai si trova già ostaggio del clima elettorale.  

Le critiche sono in buona parte argomenti spuntati. In molti campi l’Unione Europea ha assunto un ruolo guida nel mondo. Nel breve termine ciò può favorire una concorrenza con minori vincoli ambientali, ma succede anche che altri paesi seguano la strada di Bruxelles. È proprio quello che accade in Giappone, dove la Law for the Promotion of nature Restauration, presentata lo scorso marzo, ha obiettivi molti simili a quelli del provvedimento europeo. Da un anno è in vigore in Corea del Sud una revisione molto stringente del Natural Environment Conservation Act, e anche la Cina, dal giugno 2022, ha riordinato la sua legislazione con la Westland Protection Law.

Quanto all’impatto finanziario, gli studi della Commissione prevedono che i guadagni diretti per la sola produzione agricola saranno di 1,25 miliardi di euro, grazie ai benefici di una bonifica delle terre. Viene anche calcolato che 1 euro speso nel ripristino di un equilibrio ambientale, ne comporterà 8 di risparmio. Per quanto tali valutazioni vadano sempre prese con una certa cautela, è fuor di dubbio che sia sempre più insostenibile il costo di una calamità naturale o di un raccolto vanificato.

Questi e altri buoni argomenti potrebbero non bastare per portare a casa un provvedimento così contrastato. Anche se approvata, una riforma vigorosa come questa non potrà mai essere calata dall’alto, ma giungerà in porto, anche nella sua fase di applicazione, solo se vi sarà un sostegno convinto da parte di vasti settori della società. Per questo occorre che sul NRL si apra un dibattito tra le forze politiche, sui media, tra le categorie. Un dibattito urgente anche perché eventuali modifiche migliorative devono pervenire adesso, e non quando sarà troppo tardi e qualcuno si lamenterà di fantomatiche “imposizioni europee”, laddove è restato silenzioso nel periodo di discussione legislativa.

Il Parlamento Europeo ha fornito anche una sorta di avvertimento alla politica italiana. Solo l’alleanza con i liberaldemocratici ha permesso alla proposta di ottenere una maggioranza. A conferma che raramente esiste un’autonomia della sinistra socialista e ambientalista, né coi numeri e ancor meno in una campagna elettorale che avrà bisogno di argomenti e di appoggi plurali, quando si tratta di varare grandi riforme e di provare a guidare i fatidici cambiamenti. E rispetto a Bruxelles – dove capita che PPE e PSE convergano – questo vale anche di più a Roma.

guarda anche