BRUXELLES – All’indomani della dichiarazione di guerra alla Germania nazista, la BBC cominciò i suoi programmi con la musica di Wagner. E quando, un anno dopo, la sua orchestra fu costretta a lasciare la Londra sventrata dalle bombe di Hitler e a spostarsi a Liverpool, il repertorio proposto per l’apertura della stagione fu tedesco. Anche quel concerto fu trasmesso, via radio, in tutta Europa: la grande musica della Germania suonata dalla Gran Bretagna – più chiaro di così.
Alla BBC forse ragionavano già all’after the rain, al dopoguerra, che richiede una semina per tempo. Né mancano i campi da coltivare. In queste settimane i movimenti russi, pacifisti, democratici, per i diritti civili e umani, hanno rivolto un appello al Parlamento Europeo e alla Commissione, soprannominato “Dalla Russia con amore”, per chiedere una protezione internazionale anche per gli obiettori di coscienza e i disertori russi, ai quali dovrebbe essere garantito uno status umanitario e una procedura semplificata per l’ottenimento di un visto d’ingresso nell’UE. A oggi, di fatto, chi non voglia combattere contro l’Ucraina non sa dove andare.
L’appello è la diretta conseguenza della decisione della Corte Suprema della Federazione Russa che il 18 maggio scorso ha introdotto una presunzione di colpevolezza per i soldati che cadano prigionieri, oltre che della legge federale n. 365-FZ del 24 settembre 2022 che ha introdotto la responsabilità penale per la consegna volontaria e ha inasprito la responsabilità per la mancata osservanza degli ordini o l’abbandono delle unità, e del decreto presidenziale n. 647 del 21 settembre scorso che con la mobilitazione ha di fatto costretto i cittadini arruolati a restare al fronte finché non siano gravemente feriti, o abbiano raggiunto il limite d’età, o abbiano commesso un crimine punibile con la reclusione. Oppure, finché non vengano uccisi.
Non sappiamo quale sarà l’esito di questo appello. Ma sappiamo che è interesse dell’Unione Europea accoglierlo. Non solo per una affermazione dei nostri valori di solidarietà – e la morale, in una guerra come questa, definisce l’Europa soprattutto rispetto agli altri – ma anche perché quella di dividere la società russa è la sola vera battaglia fin qui persa dall’Occidente.
Sconquassata nei dati di fondo – crisi di natalità, tasso di sucidi, bassa aspettativa di vita, divario di tutti gli indicatori sociali rispetto al resto d’Europa, debolezza strutturale di un’economia dipendente dalle risorse fossili – la società russa è lacerata anche sulla guerra all’Ucraina. Gli obiettori sono solo una minuscola frangia, molto altri si oppongono all’”operazione speciale” per coscienza democratica e aspirazione a una vocazione occidentale, o perché vedono ridotto il proprio tenore di vita, o ancora per ragioni religiose, o per semplice antipatia nei confronti di Putin. E moltissimi perché hanno paura per un figlio o un marito spedito al fronte.
L’Ucraina, che pure ha accolto unità militari russe tra le proprie file, è travolta da un rigurgito nazionalista che ha portato quasi a negare l’esistenza di minoranze sul proprio territorio e a una sorta di furia iconoclasta verso tutto ciò che è russo – anche qualora sia qualcosa di bello, come un’opera d’arte o una significativa memoria comune. Aggredita e aggrappata alla sua coraggiosa resistenza, forse non possiamo aspettarci molto di più da Kiev, dove certi eccessi potranno essere leniti solo con l’adesione all’Unione Europea.
L’America è forse troppo lontana, per capire. Spetta all’Unione Europea aiutare questa Russia, spetta all’UE intraprendere questa contropropaganda che rovescia i criteri di fake news e le derive della propaganda. E farlo con segni visibili e azioni concrete, memori che il canone europeo è stato definito anche dalla cultura e dalla storia russa.
Ne scrivemmo per il Commento Politico del 18 marzo 2022, e da allora non molto si è mosso su questa linea. Così facendo, invece, si indebolirebbe Putin anche sul fronte interno.
Quasi ogni fronte è stato sfondato grazie alla quinta colonna, che va coltivata anche quando non c’è, ma che in Russia aspetta solo di essere maggiormente riconosciuta e non confusa, se non addirittura talvolta demonizzata, con l’equazione “la Russia (tutta) = Putin & C”.
Accogliere gli obiettori sarebbe un primo passo, e aprirebbe una crepa nel reclutamento della carne da macello che i generali di Mosca mandano al fronte – una crepa che, chissà, potrebbe divenire una voragine.
Niccolò Rinaldi dal 1989 al 1991 è responsabile dell’Informazione per le Nazioni Unite in Afghanistan. In seguito, nel 1991, diviene prima consigliere politico e poi, dal 2000, segretario generale aggiunto al Parlamento Europeo. Nel 2009 è eletto deputato europeo, e diviene vice-presidente dell’Alleanza dei Democratici e Liberali per l’Europa (ALDE). Nel 2014, al termine del mandato europeo, resta come funzionario nell’istituzione dove è attualmente Capo Unità Asia, Australia e Nuova Zelanda. Negli ultimi anni ha tenuto su Il Commento Politico la rubrica Lettere da Bruxelles.