Se facesse ancora parte del roster dei Boston Celtics, com’era fino all’anno scorso, Enes Freedom nato Kanter in questi giorni sarebbe impegnatissimo nel tentativo di portare la sua squadra alle finali Nba, il campionato di basket più importante del mondo. Ma oggi Enes non si sta occupando di pallacanestro essendo diventato un free agent, cioè un giocatore in cerca di club. In vetta ai suoi pensieri c’è il futuro del suo paese natale, la Turchia, dalla quale è stato dichiarato di fatto un pericoloso nemico pubblico: sulla sua testa pesa, per sua stessa ammissione, una taglia di 500.000 dollari decisa dal premier uscente Recep Tayyip Erdogan che in questa domenica di maggio sta affrontando la consultazione elettorale dalla quale potrebbe, prima volta dopo vent’anni, uscire sconfitto.
Enes ha scritto nei giorni scorsi un pezzo per il canadese Globe and Mail in cui di sportivo non c’è nulla e di politico invece moltissimo. Come si confà al ruolo di simbolo della dissidenza turca che si è ritagliato nel corso degli anni. Un ruolo che peraltro comprende anche una critica ai simboli del mondo Nba, in cui vive da anni: l’anno scorso Enes ha attaccato pubblicamente un mito vivente come LeBron James (che ha appena trascinato i Lakers alla finale Conference contro i Denver Nuggets) “intimandogli” di prendere il posto di Brittney Griner, la giocatrice di basket americana che allora era detenuta a Mosca per possesso di sostanza stupefacenti. LeBron aveva avanzato dubbi sulla reale volontà della Griner di tornare al più presto negli Usa. E ha anche attaccato il leader dei Lakers per essere testimonial globale della Nike, industria da Enes ritenuta responsabile di produrre calzature sfruttando manodopera nei paesi in via di sviluppo.
Ma il suo nemico numero 1 è di certo Erdogan. Il loro è un duello che è diventato simbolo della strategia comunicativa del premier turco legata allo sport: grande impegno in casa con finanziamenti garantiti ai grandi club (in gioventù lui stesso è stato calciatore nelle fila dello Iett, la squadra del trasporto pubblico di Istanbul) e pugno di ferro con gli esuli (più o meno volontari) che vivono all’estero.
Enes, che di cognome fa Freedom dal 2021 (quando ha ottenuto il passaporto americano), è da sempre sostenitore di Fetullah Gülen e del suo movimento Hizmet: quel Gülen che Erdogan ritenne ideatore e responsabile del tentato golpe del 2016. Nel 2017 Enes fu protagonista di un caso internazionale simile a quello che rappresentò, al cinema, la trama de Il sole a mezzanotte, prova attoriale (interpretava se stesso) non indimenticabile di Mikhail Baryshnikov. Si trovava in Romania per promuovere le iniziative della sua associazione dedicata alla povertà infantile. Ma quando tentò di uscire dal paese fu bloccato dalle autorità perché il suo passaporto era stato invalidato dalle autorità di Ankara. Accusato dai turchi di far parte di un gruppo terroristico, ci fu chi temette che con un blitz le forze speciali nazionali lo riportassero nel paese dove è cresciuto. Furono ore di grande tensione al termine delle quali, grazie ad una mediazione internazionale, Enes riuscì a lasciare Bucarest rientrando negli Usa via Londra. Due anni dopo il padre di Enes è stato condannato in contumacia a 15 anni di carcere, anche lui per presunta appartenenza ad un gruppo terroristico. I genitori del giocatore, che all’epoca militava nei New York Knicks, ufficialmente avevano disconosciuto il figlio ma il regime nell’occasione non diede prova di “fiducia” nei confronti di tale disconoscimento.
A proposito di nomi altisonanti, lo sportivo che ha espresso l’endorsement più importante a favore di Erdogan in questa campagna elettorale è stato di certo Mesut Ozil, calciatore tedesco ma di origini turche, campione del mondo con la Germania nel 2014 e “stella”, per quanto in declino, del club di Erdogan, il Basaksehir di Istanbul. Stessi colori dell’AKP, non esattamente una corazzata di seguito popolare in grado di rivaleggiare con Galatasaray, Fenerbahce o Besiktas ma comunque, grazie ai finanziamenti garantiti dal presidente, di vincere il Campionato turco nel 2020 e disputare la Champions League l’anno dopo.
Agli antipodi di Ozil c’è certamente Hakan Sukur, il più famoso calciatore turco di sempre che ha conosciuto anche una lunga stagione italiana avendo giocato nel Toro e nell’Inter e nel Parma di Calisto Tanzi. Una sorta di eroe della Turchia che trascinò la Nazionale al terzo posto ai Mondiali nippo-coreani. Un eroe finito nella polvere che fino a pochi mesi fa, a Palo Alto, in California, si guadagnava da vivere come autista di Uber. Hakan era compagno di partito di Erdogan che celebrò anche il suo primo matrimonio. Ma poi si allontanò dal suo tifoso numero 1 e seguendo pure lui la strada di Gülen, si autoesiliò negli Stati Uniti dove acquistò quote di una caffetteria. Dopo il tentato golpe del 2016, suo padre fu arrestato in seguito alla sempiterna accusa di associazione terroristica e lui dovette vendere le quote, spaventato dalle continue minacce e dalla inquietante presenza, secondo la sua testimonianza, di uomini riconducibili ai servizi turchi che si facevano notare attorno a lui. Secondo un’intervista che lui stesso ha rilasciato, Hakan è oggi sostanzialmente ai limiti della povertà dato che tutti i suoi beni sono stati bloccati in Turchia e il terzo posto mondiale, nonché i gol segnati con il Galatasaray, rappresentano niente più che un lontano ricordo.
Ha scritto Kanter-Freedom qualche giorno fa: “Il premio Nobel Orhan Pamuk nel 2015 ha sostenuto che il leader del Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP) “vuole controllare tutto”; ha il controllo su tutte le leve del governo, dei media e delle imprese e le ha usate per punire chiunque cerchi di ostacolarlo. La sua repressione del movimento Hizmet mostra fino a che punto è disposto a spingersi”. Propagandare la propria immagine attraverso lo sport è un’operazione certo non infrequente: ma in Turchia l’operazione potrebbe anche rivoltarsi contro il suo creatore. Il che rappresenterebbe un unicum nella storia.
Piero Valesio è nato a Torino 61 anni fa. Giornalista dal 1985 ha seguito Olimpiadi e grandi eventi sportivi per il quotidiano Tuttosport. Dal 2016 al 2020 ha diretto il canale televisivo Supertennis e curato la comunicazione degli Internazionali di tennis di Roma. Ha firmato rubriche per Sport Mediaset e scritto per Il Messaggero. Attualmente scrive del rapporto fra sport, serialità e tecnologia sul sito specializzato Sport In Media e di attualità tennistica su Ok tennis.