La biografia di Ugo La Malfa è qui organizzata in una suddivisione cronologica dettagliata della vita, dell’attività politica e della produzione intellettuale dello statista. Il lavoro è arricchito da citazioni tratte dagli scritti e dai carteggi di Ugo La Malfa e dalle testimonianze sulla sua vita e sul suo impegno politico e civile.
La stesura della cronologia negli anni che vanno dal 1954 al 1979 è tuttora in corso.
Ugo La Malfa nasce a Palermo il 16 maggio da Vincenzo e da Filomena Imbornone. Il padre è un agente di pubblica sicurezza, che successivamente diventerà appuntato e poi maresciallo; la madre appartiene a una famiglia della piccola nobiltà siciliana, decaduta in seguito a rovesci economici.
Dalla madre, La Malfa e i suoi fratelli Renato (1905-1991) e Olga (1909-1986) apprendono sin dall’infanzia il valore della cultura e l’importanza dello studio, come strumento privilegiato per la loro affermazione sociale e individuale.
Frequenta le elementari, poi la scuola tecnica e si diploma ragioniere presso l’Istituto di ragioneria e commercio Filippo Parlatore. Dopo aver studiato privatamente ottiene anche la licenza liceale classica per avere accesso all’università.
Grazie al sostegno economico di una zia materna, Maria Gaglio, La Malfa si iscrive al Regio Istituto Superiore di Scienze Economiche e Commerciali di Ca’ Foscari e nel novembre si trasferisce a Venezia. In tarda età, ricorderà i sacrifici di quegli anni per garantirsi un’istruzione universitaria: «Io, venuto dalla Sicilia, studiavo a Venezia… avevo pochi soldi… La mia cena era di fichi secchi» (La Malfa, Intervista 1977, p. 2).
A Ca’ Foscari, La Malfa studia con Gino Luzzatto, professore di storia economica, con Francesco Carnelutti, professore di procedura civile ed esperto di diritto commerciale, e con Silvio Trentin, professore di istituzioni di diritto pubblico. Gino Luzzato fu il «tramite con [Gaetano] Salvemini, quindi con il meridionalismo e, più in generale, con la critica democratica al giolittismo» (Soddu 2008, p. 57); mentre, grazie a Trentin, La Malfa si orienta nettamente e precocemente verso l’antifascismo, iscrivendosi l’anno seguente alla sezione veneziana della Democrazia Sociale, raggruppamento politico e parlamentare del quale Trentin faceva parte e che dopo la marcia su Roma aveva affermato progressivamente la propria indisponibilità a sostenere un governo fascista.
Attraverso Trentin, suo «primo padre spirituale» (La Malfa, Intervista 1977, p. 5), conosce Giovanni Amendola. Amendola, dirà La Malfa, «mi fece un’enorme impressione. Era un uomo di statura alta, dal viso severissimo, sembrava un pastore protestante. Dava il senso di un distacco profondo da interessi mediocri, il senso di un uomo impegnato in una grande battaglia di ordine anche morale» (La Malfa, Intervista 1977, p. 2).
Completati tutti gli esami e in attesa di laurearsi, La Malfa ottiene due borse di studio, grazie alle quali si trasferisce a Roma per frequentare alcuni corsi patrocinati dall’Associazione Italo-Americana e dall’Istituto Superiore di Commercio. Consegue, inoltre, un diploma presso l’Università Libera della Cooperazione, del Lavoro e della Previdenza Sociale. A Roma si avvicina a Giovanni Amendola e a marzo contribuisce alla nascita dell’Unione goliardica per la Libertà (UGL), che verrà sciolta nel 1925. Nei mesi successivi al delitto Matteotti, l’UGL fu molto attiva nel formare e nel diffondere una coscienza antifascista nelle generazioni più giovani.
La Malfa frequenta Giorgio Amendola, figlio di Giovanni, Sergio Fenoaltea; Leone Cattani e molti altri che parteciperanno alla cospirazione antifascista. Conosce, inoltre, Luigi Salvatorelli e Guido De Ruggiero. Nel novembre, aderisce all’Unione Democratica Nazionale (UDN) fondata da Giovanni Amendola e promuove la confluenza in essa dell’UGL.
A maggio partecipa al primo Congresso dell’UDN. Pronuncia un discorso che nelle conclusioni Amendola cita, dicendo: «Abbiamo sentito questa mattina con viva soddisfazione e per conto mio dico con viva commozione un giovane il quale ci ha portato una delle prime voci che vengono da questo benefico al di là del dopoguerra…» (in Soddu 2008, p. 65). È eletto nel Consiglio nazionale dell’UDN; dedica al Congresso del partito un articolo apparso il 27 giugno sul periodico Il Risveglio, che segna l’inizio della sua lunga attività pubblicistica. Nel luglio, Giovanni Amendola viene brutalmente aggredito e ridotto in fin di vita dalle camicie nere; morirà a Cannes il 12 aprile 1926.
Avvalendosi delle “leggi eccezionali” del 3 gennaio 1925, il regime scioglie l’UDN. La Malfa fa parte, con Roberto Bencivenga, Mario Berlinguer, Guglielmo Ferrero e Mario Vinciguerra, della cosiddetta Pentarchia, che guida le ultime attività del partito fino al suo scioglimento ufficiale. Nel luglio rientra a Palermo e prende parte alla campagna elettorale per le elezioni comunali della città, che vedono la contrapposizione fra il partito fascista e l’Unione Palermitana per la Libertà (UPL), coalizione nella quale erano confluiti i demosociali, gli amendoliani e i socialisti unitari e che aveva ricevuto anche l’appoggio di Vittorio Emanuele Orlando. Le elezioni sanciscono l’inevitabile sconfitta elettorale dell’ULP. Per La Malfa è la prova che il liberalismo prefascista non ha la forza di opporsi al regime. La battaglia comincia ora.
Rientra a Venezia, dove si laurea con Francesco Carnelutti con una tesi dal titolo “Di alcune caratteristiche giuridiche del contratto della giurisdizione, dell’arbitrato, della conciliazione nei diritti intersindacali, interindividuali ed internazionali”. Su consiglio di Carnelutti, si iscrive alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Padova. Carnelutti lo presenta al rettore Luigi Locatello con queste parole: «Questo giovane La Malfa che ti presento è un singolarissimo dottore Ca’ Foscarino laureato con una magnifica tesi giuridica, che ora vuole, per mio consiglio, studiare a Padova… Ha ottime gambe» (AUP, lettera di Carnelutti, 12 maggio 1926: in Soddu 2008, p. 56).
È ammesso al terzo anno. Non prosegue tuttavia gli studi giuridici, distaccandosi peraltro dal suo professore e dalla prospettiva di una carriera accademica. Nell’Intervista a Alberto Ronchey del 1977 dirà: «Il mio impegno antifascista cresceva… del resto mi era venuta quasi la repulsa del diritto, anche perché Carnelutti, con la sua logica astratta, mi cominciava ad apparire un acrobata del diritto» (La Malfa, Intervista 1977, p. 8). Da marzo ad agosto è impiegato alla Camera di Commercio di Roma. Poco dopo la scomparsa di Amendola, La Malfa scrive il 21 maggio all’amico Amedeo Piraino: «La morte di Amendola è stata da me appresa con terribile dolore. Quest’ultimo aveva esercitato su di me un’influenza irreversibile… Bisognoso, come del resto tutti i giovani nati in un’età di degenerazione, di una rieducazione morale anzitutto e soprattutto, ho trovato in quest’uomo l’esempio più nobile di quella che è l’ubbidienza ad un imperativo morale assoluto» (Archivio Piraino, Carte La Malfa: in Soddu 2008, p. 65 n. 89).
Nell’estate pubblica tre articoli su Il Mondo, il quotidiano fondato nel 1922 da Amendola e diretto da Alberto Cianca. A settembre comincia il servizio militare nel 13° reggimento artiglieria da campagna. Pochi mesi dopo, a dicembre, è degradato e trasferito per punizione a Cagliari perché trovato in possesso, forse in seguito alla denuncia di un commilitone, di materiale antifascista, in particolare alcuni scritti di Amendola e fascicoli della rivista genovese Pietre.
Nel gennaio, La Malfa è congedato dal servizio militare. Poco dopo il congedo è assunto come addetto alla segreteria di direzione dall’Istituto Nazionale per l’Esportazione (INE), con sede a Roma, diretto da Manlio Masi, anch’egli laureatosi a Ca’ Foscari e di idee antifasciste, con cui manterrà sempre forti legami di amicizia. La Malfa ricorderà Masi nell’Intervista del 1977 come «un uomo estremamente preparato e intelligente direttore dell’Istituto del commercio estero, che mi chiamò presso di sé» (La Malfa, Intervista 1977, p. 8).
Si trasferisce a Roma. Con i genitori e i fratelli abita al civico 2 di Via Monte Nevoso, nel quartiere Montesacro. Oltre che con Cattani, anch’egli impiegato all’INE, in questo periodo La Malfa riprende i contatti con alcuni amici della vecchia UGL, in particolare Giorgio Amendola e Sergio Fenoaltea, e con i suoi professori di Ca’ Foscari, Trentin e Luzzatto. Stringe rapporti più solidi con i giovani antifascisti Lelio e Antonio Basso, Mario Paggi, Mario Boneschi, raccolti attorno alla rivista Pietre. Inizia, inoltre, a frequentare la casa di Meuccio Ruini, stringendo amicizia col figlio Carlo.
Mantiene i contatti con i giovani antifascisti, quasi tutti provenienti dall’esperienza dell’UGL. Cerca di tenerli uniti, oltre che nel ricordo della comune militanza con Giovanni Amendola, in una prospettiva democratica che superi gli errori di quel mondo politico liberale che aveva aperto la strada al fascismo e non aveva saputo opporsi efficacemente ad esso. In ragione di legami sempre più stretti con l’antifascismo militante, ma sulla base di un’accusa rivelatasi poi totalmente infondata, il 1˚ maggio è arrestato perché sospettato di essere tra i responsabili, insieme a Mario Vinciguerra, Pilo Albertelli, Gino Luzzatto ed altri, dell’attentato dinamitardo del 12 aprile alla Fiera Campionaria di Milano, che aveva provocato 18 morti e circa 50 feriti. Imprigionato nel carcere romano di Regina Coeli e poi in quello milanese di San Vittore, il 9 luglio gli viene inflitta l’ammonizione, divenuta diffida il 22 febbraio 1929. Nasce in quella circostanza l’amicizia con il giovane allievo di Guido Calogero, Albertelli, filosofo promettente che sarà tra i martiri delle Fosse Ardeatine.
La Malfa ricorderà: «Pilo Albertelli fu antifascista fin dal principio. Io lo conobbi in una giornata piena di sole, nel maggio 1928, alla stazione di Roma. Eravamo stati presi dalla polizia qualche settimana prima e posti in celle separate. Alla stazione ci incontrammo insieme, ciascuno in mezzo a due carabinieri, Pilo Albertelli, Mario Vinciguerra e io, ed eravamo tutti un poco imbarazzati per le manette che ci stringevano i polsi. Facemmo il viaggio insieme fino al carcere di San Vittore a Milano. Dopo gli interrogatori, fummo messi in una stessa cella, io e lui. E passavamo il tempo giocando a scacchi e parlando di filosofia e di politica, del mondo, degli uomini, delle cose. Dopo un anno e mezzo trascorso insieme al carcere e al confino ci separammo. E di là cominciò la mia amicizia per lui, e la mia devozione che va oltre la morte» (discorso pronunciato il 30 marzo 1954 al Liceo Albertelli di Roma: in La Malfa, Scritti 1953-1958, p. 128).
A causa di questa vicenda, per decisione del presidente dell’INE Guido Jung, La Malfa viene dapprima sospeso e poi licenziato il 12 giugno. L’ondata di arresti e di repressioni che in quella fase si abbatte sugli antifascisti, fa maturare in molti di loro, specie nei più giovani, scelte di campo e di militanza più radicali. Ad esempio, Giorgio Amendola di lì a poco aderirà al Partito Comunista. La Malfa ebbe a questo proposito un aspro confronto con Amendola, accusandolo di tradire la memoria del padre, perché – gli disse – «… sei figlio di Giovanni Amendola e non puoi rinnegare il suo insegnamento… Perché non sei in grado culturalmente e politicamente di prendere seriamente un impegno e di valutarlo in tutta la sua gravità» (Amendola 1976, pp. 269-270).
Dopo il licenziamento dall’INE, La Malfa vive mesi di disoccupazione o di collaborazioni estremamente precarie. Valuta l’opportunità di trascorrere un periodo di studi all’estero, come risulta dalle carte del senatore Luigi Einaudi che era allora consulente della Fondazione Rockefeller. Collabora con il Corriere vinicolo, con L’Esportazione finanziaria e con la Federazione Nazionale della Proprietà Edilizia. Lascia Roma e ritorna a Palermo nel maggio, per un impiego presso l’Ufficio Studi del Banco di Sicilia. Scrive nell’ottobre all’amico Leone Cattani: «Che sia soddisfatto in questi primi giorni del soggiorno palermitano non posso dire. Mi annoio un po’ e soprattutto stento ad abituarmi al nuovo ritmo di vita e alle proporzioni ridotte di questa città nelle sue diverse manifestazioni… Scrivimi presto e, mi raccomando, minutamente di quello che ti interessa e mi interessa» (La Malfa 2005, p. 42).
Nel marzo del 1930, ancora per interessamento di Manlio Masi, viene assunto come redattore dall’Enciclopedia Treccani diretta da Giovanni Gentile. Lavora ad alcune voci della sezione Industria, voll. VIII-XXII, che appaiono senza firma per i suoi precedenti politici. Il ricordo di La Malfa nell’Intervista del 1977 a Ronchey è: «[Gentile era] una specie di capotribù. Dal punto di vista della cultura filosofica era un uomo di prim’ordine ma… era un siciliano, la sua patria potestà era passata dalla famiglia al clan» (La Malfa, Intervista 1977, p. 9). Nell’ambiente della Treccani conosce e stringe rapporti di amicizia molti giovani intellettuali: Federico Chabod, Guido Calogero, Manlio Rossi Doria, Gastone Rossi Doria, Wolf Giusti, Walter Maturi, Francesco Gabrieli, Mario Niccoli. Alla Treccani incontra Orsola Corrado (Palermo 1901-Roma 1986), impiegata all’Ufficio Schedario della Treccani. La sposerà il 28 luglio 1934. Nel 1933 esce sulla rivista L’educazione nazionale, diretta da Giuseppe Lombardo-Radice, il saggio I limiti della scienza economica.
Riflettendo su questi anni e sul fatto che molti dei giovani intellettuali che ha conosciuto si iscrivono al Partito Comunista, fra questi anche Giorgio Amendola, La Malfa dirà: «… quando nel Trenta cominciarono i grandi processi e vedemmo crollare a uno a uno gli uomini che dirigevano la lotta clandestina, molti giovani passarono al comunismo. Giorgio [Amendola] fu uno di loro… Mi convinsi che la radicalizzazione della lotta, quando la politica si fa pesante, spinge i giovani verso il comunismo» (La Malfa, l’uomo 1960).
Nel 1956, all’indomani dei fatti di Ungheria, a proposito della trasmigrazione degli intellettuali verso il Partito Comunista negli anni Trenta, scriverà: «Tutto il patrimonio di vita politica, sociale e culturale dell’occidente, tutto un corso di civiltà, che aveva riempito di sé la storia, fu dimenticato o interpretato secondo gli schemi del marxismo-leninismo, gli schemi cioè di un’esperienza particolare anche se importante… Lo schema teorico secondo il quale la borghesia si convertiva al fascismo per tentare un’estrema difesa di classe, era ormai da molti giovani, ardenti antifascisti, pacificamente accettato… Fu in quegli anni che il figlio maggiore di Giovanni Amendola si convertì al comunismo, che Emilio Sereni e Manlio Rossi Doria finirono in carcere come comunisti, che moltissimi giovani, militanti nel campo democratico, perdettero fiducia nella libertà… Un fatto grave ma effimero come il Fascismo finì col determinare uno spostamento decisivo negli ideali politici di una giovane generazione» (“Il dramma di una generazione”, La Voce Repubblicana, 21 giugno 1956, in La Malfa, Scritti 1953-1958, p. 598).
A testimonianza che il problema della trasmigrazione dei giovani intellettuali italiani verso il comunismo rimase un elemento centrale nella riflessione di Ugo La Malfa, vi è ciò che scrisse in un articolo sul Foreign Affairs apparso nel 1978 intitolato “Communism and Democracy in Italy” (pp. 466-488): «Mi sono spesso domandato perché tanti giovani brillanti e certamente sinceri abbiano perso fiducia nella causa democratica durante gli anni Trenta e siano passati fra i comunisti. In particolare i tre figli di Giovanni Amendola, un grande democratico vittima del fascismo, e i figli di altri importanti esponenti democratici come Silvio Trentin e Mario Berlinguer. Me lo posso spiegare soltanto ricordando che a quel tempo, dopo l’Italia e la Germania, l’intero mondo occidentale sembrava quasi sul punto di soccombere al fascismo. La guerra civile spagnola, che aveva mostrato le debolezze delle democrazie occidentali,…e l’incredibile tentativo di conciliarsi con Hitler a Monaco possono soltanto avere rafforzato questa argomentazione. In Occidente il tessuto democratico sembrava gradualmente sfaldarsi sotto la spinta perniciosa del nazi-fascismo mentre a oriente vi era un campione della lotta contro il fascismo, la possente Unione Sovietica governata da un potentissimo Partito Comunista che sosteneva e dava asilo ai comunisti di tutto il mondo» (La Malfa 1978, pp. 466-467).
Ancora su segnalazione di Manlio Masi a Raffaele Mattioli, La Malfa viene assunto dalla Banca Commerciale Italiana come vice-direttore dell’Ufficio Studi allora diretto da Antonello Gerbi. Si trasferisce a Milano. Si occupa inizialmente «dei servizi continuativi…: archivi, dossier, bilanci, spoglio giornali, bollettino settimanale delle materie prime e dei mercati, rassegna trimestrale, tenuta a giorno delle tabelle e dei listini, ecc.» (Pino-Montanari 2003, p. 64).
In una lettera all’amico Cattani del 18 settembre 1934, dopo una visita a Bergamo e dintorni, scrive: «Sono rimasto assai entusiasta sia per la bellezza dei luoghi sia per l’impressione di intensa attività che tutto il territorio ancora dà… La possibilità di vedere settimanalmente tanti bei luoghi, e soprattutto di osservare una zona di intensa attività industriale, ci riconcilia con Milano» (in La Malfa 2005, pp. 43-44). Ricordando quel periodo nell’Intervista a Ronchey, dirà: «[A Milano] cambiò completamente la mia vita. Nell’Ufficio Studi, accanto ad Antonello Gerbi, si era in comunicazione col pensiero economico straniero… Cominciai a conoscere Keynes, quindi il pensiero economico americano e il New Deal, il laburismo e il fabianesimo. Cominciai a valutare criticamente i problemi dell’economia italiana [e a] conoscere quello che maturava nel mondo anglosassone» (La Malfa, Intervista 1977, p. 11). L’inserimento a Milano, avrebbe scritto il suo amico Sergio Telmon, fu difficile, anche per «l’ostracismo e l’avversione con cui lo avevano accolto un direttore centrale che avrà più tardi un ruolo di rilievo sulla scena politica italiana [Giovanni Malagodi] e il suo superiore diretto all’Ufficio Studi [Antonello Gerbi]». A Telmon La Malfa aveva raccontato: «ero appena sposato, perseguitato, ero stato in prigione, non conoscevo nemmeno Milano. Mi trattarono gelidamente» (Telmon 1983, p. 33). A un esponente repubblicano La Malfa confiderà che i due dirigenti avevano domandato a Mattioli il suo licenziamento (Soddu 2003 p. 85).
Sulla rivista Nuovi studi di diritto, economia e politica diretta da Ugo Spirito, esce il saggio Evoluzioni dottrinarie in cui La Malfa critica la teorizzazione dell’economia corporativa formulata da Spirito. Il saggio originariamente era stato mandato alla rivista La Riforma sociale di Luigi Einaudi, il quale però aveva deciso, alla luce di una discussione avvenuta tempo prima con Benedetto Croce, di non affrontare questioni dottrinarie di questo tipo: «[Einaudi] si pentì molto di avere contribuito a una discussione che secondo lui non approdava a nulla di buono. Questo atteggiamento di fastidio spiega perché Einaudi non pubblicò sulla Riforma un buon saggio che il giovane Ugo La Malfa… gli aveva mandato il 6 aprile del ’34 a proposito delle teorie di Spirito, nonostante si trattasse di un intervento in difesa dell’economia ortodossa» (Faucci 1986, p. 272).
Scrive La Malfa in un passo di quel saggio: «… quando si ponga a base di un ipotetico sistema economico l’azione di una molteplicità di soggetti, il risultato di quest’azione diventa inconoscibile concretamente, per l’impossibilità di accertare e affermare le infinitesimamente variabili posizioni economiche soggettive. Ma per ciò stesso ci si apre la via alla conoscenza teorica o scientifica cioè alla formulazione di leggi… Quando si ponga invece a base di un ipotetico sistema economico l’azione di un unico soggetto, lo Stato, il risultato di questa azione diventa conoscibile concretamente… ma per ciò stesso ci si preclude la via ad ogni conoscenza teorica o scientifica… Il mondo economico così postulato non viene caratterizzato da alcuna logicità economica intrinseca» (in La Malfa, Scritti 1925-1953, pp. 47-48).
E aggiunge: «A questo punto sarebbe già possibile una conclusione definitiva circa lo sforzo di Ugo Spirito nel tentare di costruire il sistema di una nuova scienza. Abbiamo visto infatti che, nonostante i suoi acuti approfondimenti e il suo crescente tecnicismo scientifico, … il suo punto di arrivo è stato tutt’altro che scientificamente rilevabile anzi da legittimare tutta la posizione teorica della vecchia scienza… Se dunque, automaticamente, il problema è apparso tale da non potersi porre sui binari di una logica già tracciata e secolarmente approfondita, quale sarebbe ormai la posizione di Ugo Spirito?” (ibid., p. 50).
Il 22 luglio 1935 nasce a Milano la prima figlia, Luisa.
La Malfa entra a far parte della cerchia di Raffaele Mattioli. È spesso ospite nella casa di quest’ultimo in Via Bigli e attraverso Mattioli incontra molte personalità della cultura e dell’economia. Stringe un legame di profonda amicizia con Adolfo Tino. Tino era stato precocissimo giornalista al Giornale d’Italia e antifascista fin dall’avvento del regime, si era poi trasferito a Milano, dove esercitava la professione forense. Avrà, con La Malfa, un ruolo importante nella nascita del Partito d’Azione (Pd’A) nel 1942.
Conosce e frequenta Ferruccio Parri, allora capo dell’Ufficio Studi della Edison, che sarà uno dei capi della Resistenza e futuro Presidente del Consiglio. Comincia, inoltre, a frequentare i nuclei antifascisti del nord Italia e a tessere una rete di contatti che poi sfocerà nella creazione del Pd’A.
Nel 1935 conosce anche Paolo Baffi, in quel momento assistente di Giorgio Mortara all’Università Bocconi e successivamente funzionario della Banca d’Italia e poi Governatore negli anni Settanta. Un anno dopo, Baffi, passato all’Ufficio Studi della Banca d’Italia a Roma, mette in cantiere con La Malfa una «grossa ricerca sull’economia italiana che durò tre anni e si svolse attingendo largamente ai ben forniti archivi dell’Ufficio Studi della Banca Commerciale» (Baffi, Intervista 1990, p. 199).
Nel settembre 1937, La Malfa pubblica sul Giornale degli economisti il saggio “Presupposti e limiti della scienza economica”, che riprende e approfondisce le questioni esaminate nella critica a Ugo Spirito.
Viene pubblicata la ricerca L’economia italiana nel sessennio 1931-1936, opera in tre volumi «compilata», come scrive il Governatore della Banca d’Italia nella prefazione, «dal Servizio studi economici e statistica della Banca d’Italia, con la cooperazione dell’Ufficio Studi della Banca Commerciale Italiana e dei Servizi di consulenza e di studi del Credito Italiano». Scriverà Paolo Baffi: «La non indicazione degli autori fu dovuta probabilmente alla difficoltà politica di menzionare La Malfa che con Campolongo… aveva dato il maggior contributo all’avanzamento dei lavori in sede Comit e redatto personalmente alcuni capitoli» (Baffi, Intorno a due iniziative 1990, p. 57).
Nell’ottobre, entrate in vigore le leggi razziali, Mattioli invia Gerbi in Perù. La Malfa viene nominato direttore dell’Ufficio Studi. La Malfa redige la voce Banca Commerciale Italiana per l’Enciclopedia bancaria, pubblicata in due volumi nel 1942.
Il 13 ottobre 1939 nasce a Milano il figlio Giorgio.
La Malfa stabilisce un rapporto di profonda amicizia con Enrico Cuccia, appena assunto da Mattioli in Banca Commerciale dopo molteplici esperienze nel giornalismo, in Banca d’Italia e nell’IRI. Nel dopoguerra Cuccia sarà prima direttore generale, poi anche amministratore delegato di Mediobanca.
Risale a questo periodo l’intensificazione dei contatti con tutto l’ambiente dell’antifascismo democratico. In una lettera a Leo Valiani del 10 ottobre 1962 ricostruirà la trama dei contatti di quel periodo: «Da una parte mi legavo ad Amendola, a Salvatorelli e ai crociani come Tino, De Ruggiero, Amodeo, Russo, Vinciguerra, dall’altra, attraverso Bauer, Rossi, Parri, e poi Andreis ecc. mi legavo a Giustizia e Libertà. Ed in effetti, dal 1928 in poi, io acquistavo questa doppia funzione che mi consentì di fare da tramite fra i due gruppi. Più tardi, fui il legame diretto col gruppo liberal-socialista di Calogero e con gruppo repubblicano di [Oronzo] Reale. Sicché fui, fra tutti, quello che aveva legami diretti e personali nei vari gruppi. Nessuno più di me si poteva muovere dal gruppo crociano al gruppo di Giustizia e Libertà, al gruppo liberal-socialista e repubblicano. Il Partito d’Azione, espressione di tali gruppi nacque attraverso la cucitura che io ero andato preparando negli anni precedenti» (Archivio Centrale dello Stato, Carte Fondo La Malfa, b. 71, f. 1, in Soddu 2008, p. 101). Aggiungerà nell’Intervista: «Poiché io avevo avuto varie esperienze passando attraverso diversi ambienti, potevo avere le qualità per unirli, mentre altri avevano le qualità per dividerli» (La Malfa, Intervista 1977, p. 23).
Nel corso del 1941, confinati sull’isola di Ventotene nel Mar Tirreno, Altiero Spinelli e Eugenio Colorni scrivono Per un'Europa libera e unita. Progetto d'un manifesto, poi noto come Manifesto di Ventotene. Ricorderà Altiero Spinelli nella sua autobiografia che La Malfa gli aveva inviato una lettera clandestina molto importante a commento della prima bozza, in cui faceva notare come nell’analisi mancasse il riferimento al ruolo degli Stati Uniti: «… egli [La Malfa] ci faceva notare come nel Manifesto mancasse completamente la percezione della posizione dominante che in Europa avrebbe avuto nel dopoguerra l’America. Solo gli Stati Uniti – egli diceva in sostanza – avrebbero costituito un freno all’espansionismo comunista promanante dall’Unione Sovietica. Perciò ogni problema di rinascita democratica in Europa e di una sua eventuale unificazione si sarebbe necessariamente dovuto imperniare intorno alla potenza americana… La lettera di La Malfa indusse me e Rossi a fare più attenzione al ruolo futuro degli Stati Uniti…» (Spinelli 1984, p. 317).
Fra la fine del 1941 e l’inizio del 1942, La Malfa e Adolfo Tino elaborano insieme un documento indirizzato agli antifascisti di New York e in particolare al conte Carlo Sforza sui movimenti che si stanno determinando in seno al regime. In particolare, nel documento vengono descritte, in termini anticipatori rispetto a ciò che avverrà nel luglio del ’43, le trame della monarchia che intende eliminare Mussolini e sostituirlo con un generale, cercando così di attenuare le responsabilità della monarchia nella tragedia che ha investito l’Italia e di salvarla di fronte all’ormai probabile crollo del regime che la sconfitta militare provocherà.
Il documento viene trascritto in caratteri minutissimi da Enrico Cuccia, cucito nel dorso della sua agendina, viene portato con un viaggio avventuroso attraverso la Francia e la Spagna in Portogallo e lì consegnato agli americani che lo trasmetteranno al conte Sforza e da questi fatto pervenire al quotidiano New York Times che lo pubblicherà in inglese il 28 giugno. Il documento apparirà, inoltre, sul settimanale della Mazzini Society di New York il 9 luglio. Il punto politico centrale del documento, che poi caratterizzerà tutte le posizioni del Pd’A, è quella che si può chiamare la “pregiudiziale istituzionale repubblicana”. Si legge nel documento: «Tale posizione non solo è essenziale per ragioni di principio derivanti dalla schiacciante corresponsabilità assunta dalla monarchia nei confronti del Fascismo ma è indispensabile all’avvenire delle forze politiche italiane, perché essa è la sola idonea ad attuare la loro unione su un piano comune e nuovo di azione politica, capace di svolgimenti durabili e benefici e nell’ordine interno e nell’ordine internazionale» (La Malfa, Scritti 1925-1953, p. 94). Questo documento, spiegherà Adolfo Tino nel 1967, presente anche La Malfa, in una intervista sul Pd’A, «fu veramente il fatto più importante e clamoroso… Il memoriale che facemmo noi diventò il testo dello State Department… Sulla base di quel memoriale lo State Department sostenne l’Italia; e su di esso si fondò la neutralità dello State Department sulla questiona istituzionale» (La Malfa 1985, p. 532)
Il 4 giugno a Roma nella casa dell’avvocato Federico Comandini si svolse una riunione che viene considerata la data di trasformazione del movimento politico, tra le varie componenti del movimento antifascista, liberale e democratico, nel Partito d’Azione. Alla riunione, come ricostruisce Giovanni De Luna nel 1982, presero parte: «La Malfa, Comandini, Volterra, Mercurelli, Albasini Scrosati, Vinciguerra e due delegati dell’Italia meridionale e della Sicilia» (De Luna 1982, p. 39). La riunione era stata preceduta sette giorni prima da una analoga riunione a Milano, nella quale era stato approvato il testo programmatico in sette punti del Pd’A, anch’esso prevalentemente redatto da La Malfa e Tino.
All’inizio dell’anno esce il primo numero clandestino del giornale del Pd’A L’Italia libera. Sono La Malfa e Tino a trovare la tipografia, i finanziamenti e organizzare la distribuzione. Il giornale contiene un articolo, intitolato “Chi siamo”, redatto da La Malfa e Tino. Vi si legge: «In questo tragico momento di vita nazionale che il fascismo ha avvilita e disonorata, si costituisce ed esce dalla cospirazione, incontro al popolo italiano, il Partito d’azione. Storicamente idealmente legato ai movimenti che dal 1922 in poi hanno affermato nel pensiero e nell’azione l’esigenza democratica, ed al sacrificio di Amendola, Gobetti, dei fratelli Rosselli e di quanti altri, dopo Matteotti, hanno consacrato la loro fede con l’esilio e nelle carceri, il Partito d’Azione non è la continuazione di nessuno di tali movimenti, ma tutti li comprende e li supera, in un disegno e in un’azione politica più ampi, più decisi e più radicali» (La Malfa Scritti 1925-1953, p. 108).
Il giornale contiene inoltre i sette punti programmatici, frutto di un’elaborazione collettiva del gruppo dirigente del nuovo partito. In sintesi, i sette punti riguardano «l’opzione repubblicana, il decentramento amministrativo, la nazionalizzazione dei grandi complessi finanziari, industriali e assicurativi e la libertà di iniziativa economica per le piccole imprese individuali e associative, una radicale riforma agraria, la libertà sindacale e una partecipazione operaia agli utili dell’impresa, la separazione fra Stato e Chiesa, la federazione europea» (Pertici 2004).
Nonostante le precauzioni di La Malfa e Tino che organizzano la diffusione dell’Italia libera a partire dalle regioni più lontane da Milano, dove era stata individuata la tipografia nel quale stamparlo, la polizia fascista riesce a risalire progressivamente ai responsabili della pubblicazione. Racconta La Malfa nell’Intervista: «…tornavo nel maggio da una visita fatta a Croce perché io e Tino lo volevamo legare alla pregiudiziale repubblicana per farne il primo presidente della Repubblica» (La Malfa, Intervista 1977, pp. 17-18).
È allora che la custode dello stabile in cui abitava lo informa che erano venuti a cercarlo con una macchina nera “degli amici” chiedendo quando rientrasse. La Malfa capisce che la polizia è sulle sue tracce e decide di rifugiarsi in Svizzera, passando prima per Bergamo dove è sfollata la sua famiglia e poi passando clandestinamente il confine sul Lago di Como con l’aiuto degli antifascisti di Bergamo, tra cui il giovane Bruno Quarti, che sarà un esponente importante della Resistenza in Lombardia. In Svizzera è ospite nella casa di Berna di Filippo Caracciolo, console a Lugano e simpatizzante del Pd’A. Avrà incontri con i rappresentanti degli Alleati, tra cui Allen Dulles, direttore dell’Office of Strategic Services (OSS), che ipotizza per lui un imminente trasferimento nel Regno Unito. Secondo la ricostruzione di Sergio Telmon, «nell’attesa La Malfa raggiunge, in un villaggio prossimo a Ginevra, il centro di smistamento e di addestramento dei [partigiani] clandestini europei. Fu un’esperienza indimenticabile: c’erano polacchi, belgi, cecoslovacchi, olandesi, francesi. Tutta gente senza nome. Tipi umani formidabili, ricorda La Malfa» (Telmon 1983, p. 48).
Mentre è a Ginevra lo raggiunge la notizia della caduta di Mussolini. Rientra in Italia all’indomani del 25 luglio e, in rappresentanza del Pd’A, siede nel comitato dei partiti antifascisti immediatamente costituitosi, la cui prima riunione si era svolta nell’ufficio di Adolfo Tino a Milano. Subito dopo si trasferisce a Roma, dove rappresenta, insieme al comitato dei partiti antifascisti, il Pd’A. Gli altri membri sono De Gasperi per la Democrazia Cristiana (DC), Casati per il Partito Liberale Italiano (PLI), Ruini per la Democrazia del Lavoro (DL), Nenni per il Partito Socialista, Scoccimarro per il Partito Comunista (PCI). Il comitato è presieduto da Ivanoe Bonomi; segretario è Sergio Fenoaltea, esponente, come La Malfa, del Pd’A. Questo comitato diventerà, dopo l’8 settembre, il Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) che guiderà la Resistenza fino al termine della guerra.
Nei giorni precedenti l’armistizio, presumibilmente il 5 e 6 settembre, si svolge a Firenze il primo Congresso clandestino del Pd’A. La Malfa pone al centro della discussione l’atteggiamento da tenere nei confronti del Governo Badoglio, propone di non partecipare al governo e di essere fermamente all’opposizione: «La discussione si svolse prevalentemente [sulla] partecipazione o meno ad un eventuale Governo Badoglio allargato, decisa in senso contrario col voto ad una deliberazione proposta da La Malfa» (Ragghianti 1954, p. 337).
L’8 settembre, con l’annunzio della firma dell’armistizio, inizia l’occupazione tedesca. La Malfa rientra in clandestinità. Mentre molti dirigenti antifascisti sono ospiti dei palazzi extraterritoriali del Vaticano, lui rimane nella casa romana di Filippo Caracciolo in via della Lungarina, con documenti falsi intestati al Prof. Ugo Cornali residente in via Tasso a Napoli. Il capoluogo partenopeo era stato ormai liberato, e questo avrebbe reso più difficili i controlli della polizia sulla validità dei suoi documenti. Nella casa romana di La Malfa vivono anche Edoardo Volterra e Riccardo Bauer, che sarà il capo dei partigiani romani.
Il 16 ottobre, a conclusione della riunione del CLN nella Roma occupata, viene emesso un comunicato nel quale si legge: «La guerra di liberazione, primo compito e necessità suprema della riscossa nazionale, richiede la realizzazione di una sincera e operante unità spirituale del Paese, e che questa non può farsi sotto l’egida dell’attuale Governo costituito dal re e dal Badoglio; che deve essere perciò promossa la costituzione di un governo straordinario il quale sia l’espressione di quelle forze politiche che hanno costantemente lottato contro la dittatura fascista e fino dal settembre 1939 si sono schierate contro la guerra nazista» (Ragghianti 1975, p. 43). È sostanzialmente la posizione intransigente di La Malfa sostenuta dai socialisti, e in quel momento dai comunisti, e fatta propria dal Comitato.
Nel convegno del CLN tenuto nel gennaio a Bari, riemergono in seno all’antifascismo posizioni più o meno rigide sulla questione monarchica e sull’atteggiamento da tenere nei confronti del governo Badoglio e tuttavia il Congresso conclude chiedendo l’abdicazione di Vittorio Emanuele e la costituzione di un governo veramente rappresentativo. Il ritorno in Italia di Palmiro Togliatti dalla Russia determina una svolta improvvisa della politica del PCI, fino ad allora fermamente antimonarchico. In una conferenza stampa tenuta a Salerno il 1 aprile, Palmiro Togliatti dichiara che i comunisti sono disposti a partecipare al governo «subordinando ogni altro interesse politico all’efficacia della condotta della guerra contro la Germania; non avanzavano alcuna pregiudiziale contro il maresciallo Badoglio; invitavano tutti gli altri partiti antifascisti ad accantonare la questione istituzionale per disporsi ad un’ampia coalizione governativa» (De Luna 1982, p 170). Il 12 aprile Vittorio Emanuele III annuncia la nomina del figlio Umberto a luogotenente generale. Il 24 aprile si insedia il nuovo governo Badoglio “di unità nazionale” con la partecipazione di ministri comunisti ed anche azionisti (Omodeo e Tarchiani) e questo apre una grave crisi in seno al partito.
Il 23 marzo una bomba posta dai partigiani in Via Rasella provoca la morte di 33 soldati tedeschi e 2 civili italiani. La rappresaglia tedesca è immediata: vengono uccisi alle Fosse Ardeatine 355 civili, molti dei quali antifascisti prelevati da Regina Coeli e da Via Tasso. Tra gli altri martiri vi è Pilo Albertelli, uno degli amici di più lunga data di Ugo La Malfa.
Il 6 giugno è un giorno cruciale della battaglia di La Malfa per la Repubblica. C’è una riunione al Grand Hotel all’indomani della liberazione di Roma, avvenuta il 4 giugno, con il CLN e con Badoglio. Dirà La Malfa a Ronchey: «Approfittando dell’onesta ambizione di Bonomi di divenire presidente del consiglio, al posto di Badoglio, il Partito d’Azione aveva posto tre condizioni per la partecipazione al governo: che il governo fosse tutto assunto dal Comitato di Liberazione Nazionale; che non si facesse il giuramento di fedeltà al luogotenente; che ci fosse un impegno per la convocazione, finita la guerra dell’Assemblea Costituente e nel frattempo si insediasse un’assemblea consultiva.» (La Malfa, Intervista 1977, p 21). Prosegue La Malfa: «Quando Badoglio si presentò accompagnato da Croce e da Togliatti… Ruini a nome di tutti espose le tre condizioni. Badoglio si allontanò e mi parve che avesse perduto parte della sua baldanza… Per il mio innato scetticismo io pensavo che se il luogotenente avesse rifiutato le tre condizioni molti rappresentanti del CLN sarebbero entrati in un nuovo governo Badoglio… Ma il luogotenente accettò le condizioni del CLN, e questo fu forse il più grave dei suoi errori» (La Malfa, Intervista 1977, pp. 21-22). L’intransigenza che La Malfa aveva mantenuto in questa lunga fase di preparazione al ritorno della libertà, aveva vinto.
Il 25 giugno viene emesso un decreto fondamentale per l’ordinamento provvisorio dello Stato. Esso prevede che, dopo la liberazione dell’intero territorio nazionale, abbia luogo l’elezione a suffragio universale d’una Assemblea Costituente, secondo le richieste del CLN.
Il giudizio di La Malfa e del Pd’A sul governo Bonomi (18 giugno – 26 novembre) non è positivo, perché il governo viene considerato debole rispetto alla conservazione e al moderatismo. Questi dubbi inducono il Pd’A a collocarsi all’opposizione del successivo governo Bonomi (12 dicembre 1944 – 12 giugno 1945), ma acuiscono in seno al partito un dissidio che mina la capacità di tenerne unite le diverse anime, l’ala più moderata di Cattani e Antoni e quella più radicale legata essenzialmente all’esperienza di Giustizia e Libertà.
Le polemiche interne al Pd’A si manifestano nel Congresso Centro meridionale del partito tenutosi a Cosenza dal 4 al 7 agosto. Emerge la spaccatura che poi porterà nel Congresso del 1946 alla scissione del partito. Da un lato esponenti come Aldo Garosci, e soprattutto Emilio Lussu, insistono per accentuare la natura del Pd’A come un partito “socialista” incentrato sul principio della lotta di classe. Dall’altro, la posizione di La Malfa che vede il Pd’A come il partito di riferimento dei ceti medi nell’Italia da ricostruire risulta minoritaria.
Il 17 settembre, al cinema teatro di Piazza Sonnino a Roma, La Malfa manifesta la sua opposizione alla linea emersa nel Congresso di Cosenza e scrive che «il socialismo non è [mai riuscito a diventare] idea di Stato, di governo, di rappresentanza di popolo, di amministrazione di popolo» (Il problema della democrazia e il Partito d’Azione, in La Malfa Scritti 1925-1953, p. 184). Interrogandosi sulla capacità propulsiva del Pd’A, e ancor più sui suoi limiti, adombra l’ipotesi di un’alleanza repubblicana fra i principali partiti antifascisti, esclusi comunisti e liberali, in grado di fornire, in quella fase decisiva, una soluzione «ardita e innovatrice, del problema nazionale, [innanzitutto assicurando] un sostegno stabile, e non labile, alla democrazia» (“Condizioni storiche e responsabilità politiche”, L’Italia Libera, 15 ottobre 1944, in La Malfa Scritti 1925-1953, p. 203).
Il 12 dicembre 1944 si costituisce il terzo gabinetto Bonomi con la partecipazione della DC, del PCI, del PLI, del Pd’A, del Partito della Democrazia del Lavoro (PDL di Ruini e del Partito Socialista Italiano Unità Proletaria (PSIUP) di Nenni.
Il 19 dicembre 1944 La Malfa scrive un articolo su L’Italia Libera intitolato “Germania al di là del nazismo”. Rispondendo alla domanda se esista il pericolo di una terza mondiale scatenata dalla Germania, afferma: «Un pericolo obiettivo di nuove guerre poteva esistere, come è esistito, alla fine dell’altra guerra, e fu un errore gravissimo non averlo preveduto. Ma non può esistere alla fine di questa, e sarebbe un errore fare una pace come se esistesse… la Germania come protagonista di storia mondiale è finita... il problema della democrazia in Germania, il problema cioè di creare un regime politico indipendente dall’Oriente e dall’Occidente, diviene, così, … un problema di equilibrio fra i più potenti gruppi organizzati del mondo (Russia Sovietica, da una parte, Nazioni Anglosassoni dall’altra) e si fa simile al problema della democrazia in Francia e in Italia. Se la Germania deve avere una funzione, se l’Europa deve avere una funzione, questa sarà funzione di mediazione, funzione di cuscinetto, fra le potenze vincitrici della guerra. Un’Europa articolata su tre paesi – Germania, Francia e Italia – è un’Europa che ha assorbito il sogno egemonico tedesca, che, unita e disunita contemporaneamente, attraverso il reciproco controllo – Francia-Germania, Italia-Germania e Italia-Francia – respinge e accetta insieme l’affluenza delle grandi potenze dell’Est e dell’Ovest, adempie ad una sua nuova funzione di civiltà. Un’Europa diversa, un’Europa senza una Germania, una Francia e un’Italia, è un’Europa inesistente, campo di battaglia di due formidabili gruppi di potenze. L’avvenire della Germania e dell’Europa o è questo o non esiste. E nessuno dei popoli che hanno sofferto della Germania, vede che la fine di una Germania segnerà l’inizio di un’altra e bene diversa Germania, che la fine di una storia crudele potrà segnare l’inizio di una nuova storia civile. Agli uomini dello Stato la responsabilità di decidere» (“Germania al di là del nazismo”, L’Italia Libera, in La Malfa, Scritti 1925-1953, p. 239).
Il 25 aprile l’Italia viene liberata. Il 27 aprile Mussolini è intercettato a Dongo sul Lago di Como mentre fugge verso la Svizzera. Viene ucciso. Il suo cadavere, quello di Clara Petacci e di alcuni gerarchi fascisti viene esposto in Piazzale Loreto a Milano il 28 aprile.
Sull’onda del 25 aprile, affluiscono a Roma le istanze del movimento di liberazione dell’Italia Settentrionale, che Nenni chiamò “il vento del Nord”. Cade il governo Bonomi e viene chiamato alla guida del governo l’azionista Ferruccio Parri (Pinerolo, 1890 – Roma, 1981), che era stato uno dei capi della Resistenza. La Malfa ritiene un grave errore politico per il Pd’A assumersi la responsabilità della guida del governo in un momento di grandi difficoltà e senza avere alle spalle un’organizzazione politica significativa.
Nominato Ministro dei Trasporti, La Malfa rafforza il dialogo con il leader socialista Pietro Nenni, cui propone un’intesa stabile con il Pd’A, in vista della formazione di un ampio blocco laico, pragmatico, interclassista e democratico, dominante rispetto al PCI, non appiattito sulla mera contrapposizione fra comunismo ed anticomunismo. Sostiene La Malfa che questo blocco sarebbe in grado di essere alternativo e dialettico rispetto a cattolici e comunisti. Nell’Intervista a Ronchey dirà di aver pensato «al centro-sinistra fin da allora. Ma… un centro-sinistra nel 1945, quando la DC non aveva diffuso e consolidato il suo potere, a tutti i livelli, … sarebbe stato diverso dal centro-sinistra degli anni a partire dal 1962. Questo appare un rattoppo rispetto a quello» (La Malfa, Intervista 1977, p. 34).
L’idea di La Malfa «comportava la rottura dell’unità d’azione fra socialisti e comunisti e l’approdo del PSI alla democrazia europea, in linea con la maggior parte dei partiti socialisti del continente… Allora, come molte altre volte successivamente, la risposta dei socialisti fu negativa» (Pertici 2003).
Nell’autunno entra in crisi il governo Parri che era stato osteggiato fin dall’inizio dalle correnti moderate del CLN, dai democristiani e dai liberali, e che viene fatto cadere dal PLI. Il 10 dicembre 1945 si forma il primo governo De Gasperi che durerà fino al 1 luglio 1946. La Malfa sarà Ministro per la Ricostruzione sino al 22 dicembre.
Dal 9 gennaio al 20 febbraio 1946, nel primo governo De Gasperi, La Malfa, già al Ministero per la Ricostruzione, diventa Ministro del Commercio con l’Estero.
Dal 4 all’8 febbraio si svolge a Roma, al Cinema Italia, il Congresso nazionale del Pd’A. Lo scontro frontale è fra La Malfa e Lussu. Quest’ultimo conferma l’idea del Pd’A come di un terzo partito socialista, cui La Malfa contrappone l’idea che il Pd’A debba avere le caratteristiche di un partito democratico senza aggettivi. Il clima del Congresso è infuocatissimo. Scriverà Luigi Meneghello in una bellissima pagina delle sue memorie: «Al Congresso finale a Roma [del Pd’A] ci fu un dibattito affascinante e a tratti veramente drammatico. Per un verso era il massimo dei dibattiti, l’unico importante, forse l’unico possibile: per un altro fu solo una piccola sacra rappresentazione tra uno sparuto gruppetto di intellettuali italiani… Mi piacque Leo Valiani / parlava con un accento non sapevo se Dalmata, o dai campi di concentramento: bravo ma un po’ troppo vibrante. Ovviamente maestro era La Malfa, e anche Lussu era maestro, ma insegnavano cose quasi opposte… Lussu al Congresso parlò cinque ore… Qualcosa non andava in questo compagno arcigno e ardente, aveva l’impressione di un relitto spigoloso trascinato da correnti incrociate. Poi venne, come portato dai frangenti della nostra passione etico-politica, Ugo La Malfa, una emblematica creatura, un cigno nero (piegava armoniosamente la testa di qua e di la): ma a metà del suo discorso, che durò tre ore, Franco mi disse sotto voce: “el spaca tuto” e io rabbrividii un po’ di dolore un po’ di curiosità» (Meneghello 1988, pp. 66-67).
Convinto ormai del prossimo esaurirsi dell’esperienza del Pd’A e messo in minoranza alla fine del Congresso di Roma, La Malfa abbandona il partito assieme a Parri e ad un drappello di dirigenti del Pd’A, fra gli altri, Adolfo Omodeo, Mario Paggi, Luigi Salvatorelli, Giulio Bergmann, con i quali dà vita al Movimento per la Democrazia Repubblicana, che di lì a poco confluisce nella Concentrazione Democratica Repubblicana (CDR). Il gruppo, secondo La Malfa, deve avere l’ambizione, nella crisi terminale del Pd’A e «prima delle elezioni per la Costituente», di riuscire a «gettare le basi di un partito della democrazia che si ponga fra i democristiani e i due partiti socialisti», garantendo così alla stessa Costituente «una base politica stabile ed equilibrata su cui costruire» (“Democrazia repubblicana”, Civiltà Liberale, marzo 1946, in La Malfa, Scritti 1925-1953, p. 364).
Nel referendum del 2 giugno La Malfa si batte per la Repubblica e si presenta nelle elezioni per l’Assemblea Costituente con la lista della CDR. Nonostante la grande qualità dei suoi militanti e dirigenti, fra gli altri Francesco Flora, Guido De Ruggiero, Gino Luzzatto, Carlo Muscetta, Lionello Venturi, Giorgio Candeloro, Eugenio Garin, il partito ha un risultato modesto e riesce ad eleggere solo La Malfa e Parri, i quali il primo luglio entreranno a far parte nel gruppo repubblicano parlamentare dell’Assemblea Costituente.
L’8 settembre La Malfa entra a far parte del Partito Repubblicano Italiano (PRI).
Anche il Pd’A ha un risultato modesto: eleggerà sette deputati all’Assemblea Costituente e nel corso del 1947 deciderà il proprio scioglimento. Dal 24 settembre 1946, fino al 31 gennaio 1948, La Malfa presiede la Seconda Commissione Finanze e Tesoro dell’Assemblea Costituente.
L’11 gennaio, a seguito della scissione del partito socialista detta “di Palazzo Barberini”, nasce il Partito Socialista Democratico Italiano (PSDI), di cui Giuseppe Saragat sarà il leader.
La Malfa partecipa al XIX˚ Congresso Nazionale del PRI che si tiene a Bologna dal 17 al 20 gennaio. Nel Congresso interviene in polemica con Giovanni Conti, sostenitore della scelta governativa dei repubblicani, e manifesta una sintonia con le posizioni di Randolfo Pacciardi, che sarà eletto segretario politico del PRI. Al termine del Congresso, La Malfa è escluso dall’esecutivo ma ottiene la guida del segretariato per il Mezzogiorno.
Il 14 marzo 1947 La Malfa presenta un ordine del giorno alla commissione finanze e tesoro della Consulta, da lui presieduta, che contiene un grave allarme sulla crescita della spesa pubblica e l’aumento del deficit dello Stato. Nel documento, approvato all’unanimità, la commissione «richiama l’attenzione del Governo sull’assoluta necessità… di arrestare l’aumento delle spese resistendo alle pressioni che da ogni parte si esercitano sul bilancio dello Stato; di controllare rigorosamente la situazione delle aziende autonome… e di tutti gli enti che dipendono direttamente o indirettamente dallo Stato o dallo Stato attingono i mezzi» (La Malfa, Scritti 1925-1953, p. 409 nota)
Nella discussione sulla Costituzione, La Malfa presenta una proposta per l’articolo 1, così formulata: «L’Italia è una Repubblica democratica fondata sui diritti di libertà e sui diritti di lavoro». Nonostante l’appoggio delle forze laiche, per l’opposizione dei comunisti e dei socialisti la formulazione è respinta.
Il 31 maggio entra in crisi il governo De Gasperi III. In accordo con Pacciardi, La Malfa ritiene che il Pri possa costituire una forza «cuscinetto per impedire che le due potenti chiese (quella democristiana e quella comunista) si cozzino con incalcolabile danno per la patria (discorso tenuto a Cervia, 15 giugno 1947, in La Malfa, Scritti 1925-1953, p. 421), preservando la ancor fragile democrazia italiana da scosse troppo potenti.
Nel maggio matura la rottura dell’unità dei partiti del CLN. Cade il governo De Gasperi III e il 1˚ giugno si forma il quarto governo De Gasperi (in carica fino al 12 maggio 1948) da cui vengono esclusi comunisti e socialisti. Del governo fanno parte, oltre a democristiani, socialdemocratici e liberali e, non ancora in rappresentanza del Partito Repubblicano, Carlo Sforza come Ministro degli Esteri. Il 15 dicembre, a seguito di un’intesa raggiunta tra il Partito Repubblicano e De Gasperi e di un colloquio con l’ambasciatore americano James Clement Dunn, il PRI entra ufficialmente nel governo. Randolfo Pacciardi è nominato vicepresidente del Consiglio. Nel dibattito parlamentare che segue l’ingresso dei repubblicani nel governo, La Malfa interviene rispondendo direttamente a Palmiro Togliatti che aveva mosso un’aspra critica al Partito Repubblicano per questa sua decisione. In un discorso in Parlamento del 19 dicembre che ripercorre le divisioni che vi erano state anche nel CLN, La Malfa dice: «La verità è che il Partito comunista, quando ha impostato la lotta politica della liberazione, non ha avuto gli stessi obiettivi che noi democratici abbiamo avuto, non ha impostato il problema politico come noi lo abbiamo impostato… Non credo che l’onorevole Togliatti possa dire di avere avuto ragione quando è venuto alla soluzione della luogotenenza, fatto retrospettivo, ma che ha importanza sul giudizio che l’onorevole Togliatti dà della situazione». Aggiunse poi in quel discorso: «Noi tenteremo di riannodare i fili della unità democratica. Naturalmente nelle condizioni reali in cui operiamo perché non abbiamo posizioni astratte né possiamo averle… Interruzioni di Togliatti: Con le frasi non si fa una politica Risposta La Malfa: Molte volte tali frasi indicano uno stato d’animo e una politica, onorevole Togliatti, che guarda moto avanti» (La Malfa, Discorsi parlamentari, vol. 1, pp. 123 e 125)
Ad ottobre, nelle elezioni comunali di Roma, La Malfa è eletto Consigliere comunale. È chiamato a far parte, con Giuseppe Chiostergi e Giulio Andrea Belloni, di un “triumvirato” che deve preparare il XX˚ Congresso del PRI.
Al termine del XX˚ Congresso del PRI, tenutosi a Napoli dal 16 al 18 gennaio, La Malfa è eletto nella Direzione nazionale insieme, fra gli altri, a Oronzo Reale, da poco rientrato nel PRI, dopo l’esperienza nel Pd’A. Nel 1949 Reale diventerà Segretario del partito.
Nelle elezioni del 18 aprile, dominate dallo scontro ormai aspro fra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica nel clima della “guerra fredda”, la DC ottiene, con il 48,5% dei voti, 305 seggi su 574. Il Fronte popolare dei comunisti e dei socialisti, con il 31%, ottiene 183 seggi. I repubblicani scendono, dal 4,4% e ventitré seggi nelle elezioni del 2 giugno 1946 per la Consulta, al 2,5% eleggendo nove deputati. La Malfa viene eletto in Emilia Romagna nella circoscrizione Bologna, Ravenna, Forlì e Ferrara, nella quale verrà rieletto in tutte le successive campagne elettorali. È eletto presidente della Commissione Finanze e tesoro della Camera dei deputati.
Nell’acceso e immediatamente successivo dibattito interno al PRI, La Malfa prende una posizione critica verso i due maggiori esponenti del Partito Repubblicano in quella fase: in polemica con Conti, che critica la partecipazione dei repubblicani al governo e che nel 1949 si dimetterà dalla Direzione del partito e dalla presidenza del gruppo parlamentare al Senato, difende questa scelta; nello stesso tempo si distanzia dalla posizione di Pacciardi, che tende a imprimere una forte connotazione anticomunista alla partecipazione del PRI ai governi guidati da De Gasperi. La Malfa spiegherà, in un importante articolo sul Mondo del 15 ottobre 1955, che, se nel 1948 la Democrazia Cristiana fosse stata lasciata sola, la situazione italiana avrebbe potuto evolvere verso una dittatura, e che i partiti laici avevano fatto il loro dovere nel collaborare con la DC «tra una zoppa democrazia e la minaccia di una spietata dittatura» (“Don Sturzo e i partiti laici”, Il Mondo, 15 ottobre 1955, in La Malfa Scritti 1953-1958, p. 457). La Malfa, cioè, interpreta il centrismo come una fase di consolidamento della democrazia parlamentare della Repubblica e come una necessaria fase in preparazione di condizioni che consentano un allargamento della base democratica del paese.
Il 14 luglio Togliatti viene ferito in un attentato davanti alla Camera dei deputati. La Malfa contrasta le ipotesi più repressive sostenute dal Ministro dell’Interno, Mario Scelba, nei confronti delle proteste e delle manifestazioni popolari seguite all’attentato, ricordando che l’asprezza dei conflitti politici e sociali è direttamente proporzionale all’urgenza di radicali riforme.
Nel luglio si reca a Mosca come capo della Delegazione italiana per le riparazioni di guerra e gli accordi commerciali con l’URSS. Dopo cinque mesi di permanenza nella capitale sovietica, il 13 dicembre La Malfa conclude con successo un negoziato molto complesso. Il giudizio dell’ambasciatore italiano a Mosca, Manlio Brosio, futuro Segretario Generale della Nato, liberale-conservatore e per nulla incline a un giudizio adulatorio, scriverà: «Il merito del risultato risale soprattutto alla tua volontà, e alla tua tenacia che nei momenti decisivi sa essere inflessibile. In fin dei conti non ti conoscevo abbastanza prima di quest’incontro: ed ho potuto apprezzare in te una qualità decisiva, ossia quella di intuizione politica rapidissima, di visione creativa, e di irriducibile volontà» (lettera di Brosio a Ugo La Malfa del 3 gennaio 1949: ACS, CLM, b. 8, f. 30/2 in Soddu 2008, p. 165).
Nel dicembre viene nominato Vice-governatore del Fondo Monetario Internazionale e si reca a Washington per la sua prima visita negli Stati Uniti.
Sergio Telmon riferisce il giudizio di La Malfa sulla società sovietica dopo la sua permanenza: «A me, che vengo da un’area depressa come la Sicilia occidentale, a Mosca mi sentivo in casa mia» (Telmon 1983, p. 86). La Malfa mantenne sempre l’opinione che l’Unione Sovietica non avesse nessuna possibilità di competere con gli Stati Uniti sul piano delle conquiste di una civiltà avanzata. Che si potesse immaginare il comunismo come una scorciatoia per lo sviluppo di una società depressa diventerà uno dei temi della sua discussione con il PCI, ma questo poneva il problema di che cosa volesse dire essere comunisti in una società avanzata. Questo fu l’argomento del celebre dibattito con Pietro Ingrao a Ravenna nel 1965.
Il 4 aprile viene firmato a Washington il Trattato Nord-Atlantico, meglio conosciuto come Patto Atlantico o NATO (North Atlantic Treaty Organization). L’Italia fa parte dei dodici firmatari originari. Cardine del trattato è l’articolo 5 per il quale «Le parti convengono che un attacco armato contro una di esse in Europa o nell’America Settentrionale sarà considerato come un attacco diretto contro tutte le parti e di conseguenza convengono che…ciascuna di esse…assisterà la parte o le parti così attaccate intraprendendo immediatamente, e individualmente e di concerto con le altre parti, l’azione che giudicherà necessaria, ivi compreso l’uso della forza armata».
Nella seduta del 14 marzo, La Malfa interviene a sostegno dell’adesione dell’Italia al Patto Atlantico. In apertura del discorso dice: «Dalla guerra non sorge un fronte capitalistico, ma accanto agli Stati Uniti, aventi di per sé una potenza bastante a contrapporsi alla potenza Sovietica, nasce una nuova Europa…cui certe civiltà tradizionali, come l’Inghilterra, la Francia, l’Italia, nonché perire trovano modo di resistere e di sopravvivere» (La Malfa, Discorsi parlamentari, vol. 1, p. 157). Rifacendosi alla sua tesi sulla necessità di associare la Germania alla ricostruzione dell’Europa esposta nel 1944, ricorda la polemica con Togliatti avvenuta subito dopo quell’articolo, in cui aveva sostenuto che «la Germania deve rinascere, ma deve rinascere in un quadro europeo, in un sistema di unità europea, in cui la sua funzione di stato dominante, quindi, di stato pericoloso per la Russia Sovietica non sia più esercitabile. Ecco perché a mio giudizio deve rinascere una Europa franco, anglo, italiana forte. Siccome non possiamo privare la Germania al suo diritto all’esistenza, dobbiamo trovare la forza equilibratrice, perché questa Germania non rappresenti una punta verso di noi e verso l’Unione Sovietica. (Ibid., p. 161).
In aprile La Malfa partecipa a Firenze al III˚ Congresso nazionale del Movimento Federalista Europeo (MFE). Dissente dalla posizione del movimento di includere nel Consiglio d’Europa (CdE), anche personalità dei paesi dell’Europa orientale finiti nell’orbita sovietica. Sostiene che l’unità europea, come aveva scritto in un articolo del 9 marzo sulla Voce Repubblicana, deve essere fatta fra «gli Stati che hanno in comune un regime di democrazia» (“Passi Falsi a Bruxelles”, in La Malfa, Scritti 1925-1953, p. 495).
In giugno scrive per Il Mondo di Mario Pannunzio l’articolo “Come fare l’Europa”. Inizia così la sua collaborazione con il settimanale, nato nel febbraio precedente, dal quale lancerà molte delle sue battaglie politiche.
Il 2 luglio tiene un discorso in Parlamento «sulla politica di bilancio per l’anno finanziario 1949-1950» in cui precisa le sue posizioni sul Piano Marshall e sul connesso problema dello sviluppo del Mezzogiorno (La Malfa, Discorsi parlamentari, vol. 1, pp. 183-201). In polemica con la tesi di coloro i quali sostenevano che gli aiuti del Piano Marshall dovessero essere commisurati ai disavanzi dei bilanci di pagamento, La Malfa sostiene la necessità che questi aiuti consentano l’avvio di politiche di espansione economica in grado di affrontare i problemi aperti dell’economia e della società italiana: «…noi, per il futuro, abbiamo la possibilità, espandendo i nostri scambi con l’estero e se il popolo americano ci aiuta, come ha fatto finora, di convertire gli aiuti Marshall in aiuti trasformabili in investimenti. E allora fino alla fine del piano Marshall noi potremmo avere quel volume di investimenti integrativo delle nostre possibilità interne, perché alcuni problemi che ci angustiano, alcuni problemi di espansione delle spese statali possano essere risolti» (La Malfa, Discorsi parlamentari, vol. 1, p. 199).
Nello stesso intervento collega i finanziamenti del Piano Marshall al problema del Mezzogiorno: «Se vogliamo risolvere problemi, se vogliamo affrontare il problema del Mezzogiorno…se noi vogliamo andare incontro alle aree depresse, noi evidentemente dobbiamo pensare a investimenti statali, disporre di un volume di investimenti statali che ci possa consentire di affrontare quei problemi. E ciò può derivare solo dal fatto che gli aiuti Marshall diventino aiuti integrativi e non condizionati all’andamento della nostra bilancia dei pagamenti» (Ibid., p. 201)
Aggiunge ancora sul problema del Mezzogiorno: «La Valle Padana è diventata sempre più una manifestazione di alta civiltà nella vita del mondo. Ma, onorevoli colleghi, il problema del Mezzogiorno lo abbiamo trascurato quando non avevamo le industrie e quando avevamo le industrie, quando non avevamo le grandi fabbriche e quando le avevamo. Se il reddito aumenterà del 5 per cento all’anno e nel 1952 del 15 per cento, ma quello che separa le due zone di vita italiana rimarrà a separarle, noi avremmo fatto ben poco, vi sono due Italie: un’Italia che progredisce e un’Italia che sta ferma. […] La questione che l’Italia si deve porre all’ordine del giorno è di fare delle due Italie una sola Italia» (Ibid.).
Il 26 luglio diventa membro dell’Assemblea del Consiglio di Europa, che era stato istituito il 5 maggio con il Trattato di Londra.
Sulle prospettive politiche che possono aprirsi con la formazione del quarto governo De Gasperi, scrive La Malfa il 22 gennaio: «Una parte della stampa ha finalmente compreso quale carattere i repubblicani volessero imprimere all’attuale crisi di governo. […Si trattava] di stabilire se il Governo [deve] continuare a costituire soltanto una linea di sbarramento, uno schieramento difensivo, una sorta di dura e ostinata resistenza verso le forze social-comuniste o…assumere una fisionomia più attiva, più audace. […] Per i repubblicani la risposta non poteva essere dubbia. L’ingresso nel Patto Atlantico, il consolidamento delle libertà democratiche, la stabilità monetaria sono stati – ripetiamo – tappe mirabili di un’opera lungamente e tenacemente difensiva. Ma prima o poi sarebbe stato necessario…aggiungere a quest’opera qualcos’altro. […] Politica economica più attiva, riforme sociali, rinnovamento della macchina statale dovrebbe essere l’espressione tecnica di uno schieramento politico che…offra – diciamolo chiaramente – una base di partenza per nuovi schieramenti, che un giorno o l’altro – se il futuro dell’Italia non sarà oscuro – dovranno pure avverarsi» (“Schieramento di battaglia?”, La Voce Repubblicana, in La Malfa Scritti 1925-1953, pp. 577-578).
Il 27 gennaio, con la nascita del sesto governo De Gasperi (16 luglio 1951), La Malfa entra a far parte dell’esecutivo, dapprima come Ministro senza portafoglio – fino al 5 aprile 1951 – con delega per il Coordinamento delle partecipazioni statali e dei programmi per il Mezzogiorno e le aree depresse, e successivamente come Ministro del Commercio con l’estero, dicastero al quale ritorna dopo la breve esperienza del 1946 e che reggerà fino al 16 luglio 1953, essendo stato riconfermato in tale ruolo nel governo De Gasperi VII (26 luglio 1951 – 19 giugno 1953).
Il 31 gennaio, dopo la nomina a Ministro, riceve da Palmiro Togliatti un biglietto manoscritto in cui si legge: «Caro La Malfa! E con chi discuteremo, ora che sei ministro?» (Ugo La Malfa. Mostra 1981, p. 162). La Malfa risponde: «E te ne lamenti?».
Nell’Intervista a Ronchey, La Malfa spiegherà che con il sesto governo De Gasperi «venne quello che io considero il periodo più costruttivo della vita italiana in cui si impostarono alcune cose di fondamentale importanza. […] Anzitutto la siderurgia rinnovata, quella siderurgia che era stata la palla di piombo dello sviluppo industriale in Italia, Poi la scoperta e l’uso delle risorse di metano in grande quantità…poi si ebbe la Cassa per il Mezzogiorno, ricordando l’esperienza americana della Tennessee Valley, e poi la riforma agraria, oltre all’inizio della riforma tributaria di Vanoni» (La Malfa, Intervista 1977, pp. 38-39). Fra queste riforme, cruciale sarà, nel 1951, la “liberalizzazione degli scambi” fatta dallo stesso La Malfa, di cui oltre.
Il 7 maggio, in un discorso a conclusione del quinto Congresso emiliano romagnolo del PRI a Ravenna, La Malfa indica la posizione politica del partito sul governo: «Quando si è presentata questa crisi noi sapevamo che si apriva una nuova svolta nella vita politica. Creata la Repubblica, consolidate certe posizioni politiche democratiche, delineata la politica estera dell’Italia, era necessario che nel nostro paese si approfondisse l’azione del governo e dei partiti nel senso di una politica sociale capace di riforme, capace di progressi e quasi di creare veramente un’articolazione democratica nel nostro paese. […] Il Partito repubblicano ha dichiarato decaduta la formula del 18 aprile come formula che legava quattro partiti al governo, dal partito liberale al partito socialista. Il Partito repubblicano ha dichiarato che se il governo, i partiti della maggioranza, desideravano affrontare alcuni problemi impellenti della vita Italiana, come il problema del Mezzogiorno, il problema della riforma agraria, il problema della riforma regionale, il problema di una politica di investimenti capace di combattere la disoccupazione, questo governo doveva avere un’accentuazione sociale a sinistra…se queste riforme avranno soluzione, il Partito repubblicano vuole avere l’orgoglio di essere stato al governo e di averle fatte» (La Malfa, Scritti 1925-1953, pp. 595 e 598).
Dal 18 al 21 maggio si tiene il XXII˚ Congresso Nazionale del PRI a Livorno. Oronzo Reale viene confermato alla segreteria.
Insieme con la legge di Riforma agraria, che viene approvata nel corso di questa legislatura, l’istituzione della Cassa per il Mezzogiorno, approvata il 10 agosto (legge nr. 646), dà una caratterizzazione sociale avanzata a questa fase dell’esperienza politica del centrismo che La Malfa considerò qualificante dell’azione di governo.
Il 5 novembre, in un comizio ad Ancona, La Malfa descrive le condizioni del Mezzogiorno: «…vi parlerò della visita che come repubblicano e come ministro, ho sentito il dovere di compiere al comprensorio della Sila, sul quale si sta svolgendo l’opera di rinnovamento sociale iniziata dal governo. Ho visitato il comprensorio della Sila e ho visto il volto dell’Italia monarchica, di quell’Italia monarchica che in settantacinque anni non ha fatto nulla per dare possibilità di vita degna di uomini a quelle popolazioni diseredate. Gli italiani del nord, voi marchigiani, non potete avere idea di cosa sia la vita della popolazione della Sila, la vita in paesi e villaggi, senza acqua, senza fogne, in mezzo a immense distese di terreni non coltivati privi di strade; non potete comprendere quale aspetto addirittura bestiale abbia la vita di quella gente. Quando ho visitato quei paesi e quei villaggi, mi sono addirittura vergognato non solo di essere ministro, ma addirittura di essere italiano, se l’Italia aveva dimenticato a tal punto dei suoi cittadini» (La Malfa, Scritti 1925-1953, p. 614).
Il 9 aprile presenta in Consiglio dei Ministri una relazione sul riordino delle partecipazioni statali, nel quale delinea la razionalizzazione di questo comparto e la costituzione di un apposito dicastero (cfr. La Malfa, Scritti 1925-1953, pp. 644-692). Dirà nell’Intervista a Ronchey: «La proposta conclusiva era quella di ricondurre tutte le partecipazioni statali, comprese quelle amministrate dal Demanio, sotto il controllo esclusivo dell’IRI, organizzandole per settori sotto il controllo intermedio di società finanziarie. L’IRI [Istituto per la Ricostruzione Industriale, costituito nel 1933 per far fronte alla grande crisi bancaria di quel tempo, era stato presieduto da Alberto Beneduce e diretto da Donato Menichella fino a quando questi, nel 1945, non era stato nominato Direttore generale della Banca d’Italia] aveva una tradizione, dovuta a Menichella, di corretta e abile amministrazione. Io temevo che…si corresse l’alea della proliferazione degli enti di gestione..., subito dopo, per l’appunto nacque il problema della costituzione dell’ENI [Ente Nazionale Idrocarburi] e in Consiglio dei ministri…io feci espressa riserva. […] Nel documento proposi anche la costituzione di un ministero delle partecipazioni statali, ma non concepito come un’amministrazione ordinaria, bensì come organo politico» (La Malfa, Intervista 1977, p. 43).
In ottobre, al Consiglio nazionale del PRI, propone una costituente programmatica fra i partiti laici con l’obbiettivo non solo di ridurre la frammentazione delle forze che si collocano fra la DC e i socialcomunisti, ma anche per rafforzare la spinta riformatrice dei governi rispetto alle correnti più conservatrici della Democrazia Cristiana. Dentro al Partito Repubblicano comincia a crearsi una dialettica di posizioni fra i sostenitori del centrismo, come posizione indiscutibile e uno sguardo volto alla possibilità dell’allargamento della maggioranza nella direzione del Partito Socialista.
Nel novembre predispone il Decreto del Presidente della Repubblica (1˚ novembre 1951, nr. 125) intitolato “Riduzione dei tassi doganali in vigore e nuova aggiunta alle norme temporanee per la prima applicazione della nuova tariffa doganale”. Il decreto, approvato dal Consiglio dei ministri e pubblicato sulla Gazzetta ufficiale del 3 novembre, contiene una estesa “liberalizzazione degli scambi”. La proposta di La Malfa, fortemente condivisa da De Gasperi da Ezio Vanoni, allora Ministro delle Finanze, e dal Governatore della Banca d’Italia Menichella, viene approvata dal Consiglio dei ministri nonostante la forte opposizione dei ministri democristiani del Bilancio e dell’Industria, Giuseppe Pella e Pietro Campili, e l’aspra opposizione della Confindustria e della CGIL. L’accusa fu che questo provvedimento avrebbe determinato una vasta crisi industriale e un aumento vertiginoso della disoccupazione.
Come ricorda Guido Carli nelle sue memorie Cinquant’anni di vita italiana, gli accordi successivi del Piano Marshall prevedevano che se un paese avesse avuto un forte avanzo della bilancia dei pagamenti, avrebbe dovuto correggere questa situazione o imponendo dei limiti alle esportazioni o aumentando il volume delle importazioni attraverso una riduzione dei contingenti, cioè delle limitazioni quantitative delle importazioni, o i dazi doganali. Altri paesi, come il Belgio, nella stessa situazione erano ricorsi alla riduzione dell’importazioni. La Malfa, scrive Carli, «scelse coraggiosamente la strada opposta: revocare tutti i limiti quantitativi alle importazioni e ridurre i dazi del 10%. In questo modo l’aggiustamento sarebbe avvenuto con un aumento delle importazioni senza passare per una riduzione della nostra capacità esportativa… Era una strada rischiosa… Quella del primo novembre 1951 fu una scelta storica, che forse resta il contributo più importante e duraturo di La Malfa al Paese. Il suo coraggio fu proporzionale alle opposizioni che quel provvedimento incontrò. Tutti contro. Gli industriali gridavano a una bizzarria suicida. I tessili soprattutto strepitarono, ma anche Valletta protestò… La Malfa ebbe contro anche la burocrazia del Ministero che tentò di boicottare il provvedimento… Si trattò di una decisione innovativa anche a livello europeo… l’Italia fu il paese in assoluto con il più basso grado di protezionismo “esterno”. Al 31 dicembre 1953 era stata liberalizzata l’importazione del 99.8% dei prodotti agricoli, del 100% delle materie prime, del 99% dei manufatti e semilavorati di provenienza UEP. La Svizzera aveva un grado di apertura complessivo del 62,2%, il Belgio del 60,8%, il Regno Unito del 75%, la Germania del 79,4%. Ma la Francia non superava di molto il 18%» (Carli 1953, pp. 116-117).
Racconterà La Malfa a Ronchey: «Fui mosso da due convincimenti: la visione meridionalista, ovvero l’idea di stimolare con la concorrenza il sistema economico… e una certa intuizione della capacità nazionale di andare sui mercati, della possibilità di dare finalmente respiro, sprigionare energie complesse. […] Ma ci fu una terza ragione. La mia esperienza nell’amministrare i contingenti mi aveva dato subito l’impressione che lì si annidava una degenerazione…mi ricordo la prima sera [da Ministro]. Era consuetudine che io portassi a firmare quei permessi. Io semplicemente mi rifiutai. Chiamai il direttore generale e dissi: ‘vi darò istruzione sui criteri generali che dovete applicare esaminando le pratiche. Ma firmerete voi…perché il potere discrezionale con cui l’autorità politica governa, il richiamare a sé tutte le richieste di concessioni costituisce un cattivo esercizio della potestà di governo» (La Malfa, Intervista, 1977, p. 40-41). E aggiungerà: «Quando il ministro dell’economia della Germania occidentale Ludwig Erhard venne alla Fiera di Milano mi domandò come avevo avuto quel coraggio. Anche all’OECE furono meravigliati» (Ibid., p. 42).
Il 17 dicembre, a Milano, è relatore ad un convegno del PRI sul tema “Fondamenti di una politica economica sociale democratica”. In questo intervento è evidente lo sforzo di La Malfa di collegare alcune idee della tradizione mazziniana con le elaborazioni del pensiero economico contemporaneo e con le esperienze politiche del New Deal di Roosevelt e dei laburisti inglesi e dei socialisti del Nord Europa: «Che cosa ha caratterizzato, nei paesi più avanzati della civiltà occidentale il passaggio dall’era capitalistica più cruda, dal liberalismo economico più assoluto alla democrazia economica odierna, a una società che può definirsi mazziniana e fabiana insieme? [...] È qui il punto di incontro tra l’intuizione di Mazzini e certe scoperte del pensiero economico moderno, tra una profonda coscienza sociale e una concezione dello Stato e dell’economia che risolve queste antitesi trasformandole in leve per la redenzione umana. […] Noi oggi intuiamo che il programma del partito di Mazzini non è soltanto nell’affermare di voler risolvere il problema dei più umili, dei diseredati, di coloro che soffrono, perché non si può essere mazziniano senza voler questo – ma soprattutto nell’individuare gli strumenti tecnici ed economici per realizzare questi obiettivi. L’aggiornamento del programma repubblicano non riguarda dunque i suoi fini che sono eterni e immutabili…ma gli strumenti idonei a realizzarli…e noi abbiamo tanto più fretta in quanto sentiamo che l’Italia non è storicamente nel pieno di quella civiltà da cui Mazzini prese le mosse…l’Italia ha due strutture due economie, due società (La Malfa, Scritti 1925-1953, pp. 716-717).
A Bari, al XXIII˚ Congresso Nazionale del PRI (dal 6 al 9 marzo), La Malfa interviene con una relazione che riassume e ripropone l’intervento del convegno del 1951.
Il 22 marzo in un articolo sul Mondo intitolato “Un programma in comune”, rilancia l’idea di una piattaforma comune tra socialdemocratici, liberali e repubblicani. Premette che serve un chiarimento in seno al partito liberale tra le posizioni conservatrici e le posizioni più avanzate, come quelle espresse da Niccolò Carandini. Se così fosse: «I tre partiti laici potrebbero trattare unitamente e unitariamente con il partito di maggioranza le modalità e i termini della loro lotta comune ed il contenuto concreto di una loro azione solidale per tutto il corso della seconda legislatura repubblicana» (in La Malfa, Scritti 1925-1953, p. 763).
Il 18 aprile viene firmato a Parigi il trattato che istituisce la Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA) che rappresenta il primo passo formale del cammino verso la costruzione della Unione Europea. Il trattato nasce da una lettera di Robert Schuman, del 9 maggio 1950, nella quale il ministro francese propone che Francia e Inghilterra mettano in comune le risorse del carbone e dell’acciaio.
L’11 maggio 1952, nel corso della campagna elettorale per le elezioni comunali che avevano visto il tentativo di Luigi Sturzo di promuovere un’alleanza organizzata della DC con Monarchici e fascisti, nota come “Operazione Sturzo”, cui si era opposto fermamente De Gasperi, La Malfa parla al teatro Metropolitan di Roma. Nel suo discorso inquadra il problema economico italiano nella situazione internazionale, ritorna sulla questione del Mezzogiorno e presenta riflessioni molto significative sulla Russia. Dice, in particolare, che si può comprendere la presa del comunismo in un paese dalle condizioni feudali e arretrate come è la Russia, «ma nella Russia che ho visitato c’era anche l’immagine dello Stato totalitario accentratore: c’era la polizia, c’era tutta l’organizzazione dello Stato che ti opprime…la Russia non si era occidentalizzata. […] Il dramma del Mezzogiorno è il problema dell’Italia: […] pur essendo in condizioni quasi orientali di vita, nella sua cultura nelle sue espressioni migliori aspira ad una vita occidentale e l’Italia deve dargli questa vita» (La Malfa, Scritti 1925-1953, p. 774).
Il 27 maggio i sei paesi firmatari della CECA firmano a Parigi il trattato istitutivo della Comunità europea di difesa (CED) che rappresenta il passo più ambizioso del processo di unificazione europea, fallito nel 1954 per la mancata ratifica da parte del Senato francese. Dirà La Malfa nel corso di un convegno promosso dalla Confindustria a Venezia fra il 4 e il 6 giugno sul tema dell’unità europea: «Il nostro più fiero nazionalismo coincide con il nostro più tenace europeismo. Dal punto di vista politico il governo ritiene che l’Europa avrà raggiunto uno stadio di tranquilla stabilità politica, economica, sociale e spirituale quando sarà stato creato un potere sovrannazionale sugli stati europei. Quando si sarà raggiunta una vera ed effettiva federazione europea. Il governo italiano ha sostenuto che [la Comunità di Difesa] non potesse avere senso e scopo e carattere e impegno ideale e morale se non fosse manifestazione di un potere politico soprannazionale.» (La Malfa, Scritti 1925-1952, p. 793)
In vista delle elezioni politiche previste per il 1953, i partiti di maggioranza presentano in Parlamento una nuova legge elettorale nella quale è previsto un premio di maggioranza – quella che verrà poi conosciuta come la “legge truffa”. Nel Consiglio nazionale del PRI del 18 ottobre, La Malfa difende il progetto di legge elettorale presentato dai partiti della maggioranza. «Con la riforma della legge elettorale – dice La Malfa – i democratici non chiedono di dar loro la maggioranza dei seggi…i partiti democratici non hanno voluto infrangere la legge fondamentale della democrazia, che la maggioranza governa, quantunque questo potesse esporli al rischio di non raggiungere la metà più uno dei voti. Chiedendo il cinquanta più uno per cento di voti essi pongono il popolo italiano di fronte le sue responsabilità. […] Come nel ’48 [è] lotta istituzionale della democrazia contro i partiti dell’antidemocrazia. […] Il paese deve decidere se vuole il fascismo, se vuole il comunismo e se vuole la democrazia. Mi sarei sentito in difficoltà a fare una campagna elettorale sulla maggioranza relativa ma non sento alcuna difficoltà morale a farla sulla maggioranza assoluta» (La Malfa, Scritti 1925-1953, p. 804).
La scelta provoca una grave crisi all’interno del partito e l’uscita nei mesi successivi di personalità come Ferruccio Parri e Oliviero Zuccarini, confluiti entrambi, nel 1953, nel movimento di Unità Popolare, e le aspre critiche a La Malfa di altri ex azionisti come Sergio Steve, Max Salvadori, Ludovico Ragghianti, nonostante difendano la riforma altri esponenti di quel mondo come Gaetano Salvemini, Altiero Spinelli e Ernesto Rossi.
La scena politica è dominata dal dibattito al Senato sulla legge elettorale. La Malfa racconterà a Ronchey: «Al Senato, il Presidente Ruini si impegnò in una durissima battaglia e con lui ci impegnammo tutti. Ruini fu persino ferito. C’era una tensione estrema. Lussu venne al banco del governo e tentò di schiaffeggiarmi. Comunque Ruini portò in salvo la legge» (La Malfa, Intervista 1977, p. 49). Subito dopo l’approvazione del Senato in Consiglio dei Ministri, il Ministro dell’Interno Scelba propose di sciogliere anche il Senato che, in base alla legge, non avrebbe dovuto votare nel 1953 ma solo nel 1954. La Malfa si domandò quale fosse la ragione di questa decisione che probabilmente contribuì a pregiudicare l’esito delle elezioni del ’53, inasprendo ulteriormente gli animi. Disse a Ronchey: «Mi ribellai all’impostazione di Scelba. Pacciardi non mi sostenne. Era favorevole allo scioglimento del Senato con De Gasperi forse era già d’accordo…e lì ci fu una rottura tra me e Pacciardi piuttosto notevole» (La Malfa, Intervista 1977, p. 50).
Alle elezioni politiche del 7 giugno, il PRI è apparentato con DC, PSDI e PLI in vista del tentativo di assicurare alla coalizione più del 50% dei voti e quindi poter godere del premio di maggioranza previsto dalla nuova legge elettorale. L’alleanza si ferma al 49,2%. Il PRI scende ulteriormente raggiugendo l’1,2% alla Camera e l’1% al Senato. Elegge cinque deputati e due senatori. La Malfa è rieletto alla Camera nella Circoscrizione XII di Bologna- Ferrara-Ravenna-Forlì.
A seguito delle elezioni, si apre nel Partito Repubblicano una lunga e difficile discussione sulle prospettive politiche. Si inasprisce il dissidio già emerso fra La Malfa e Pacciardi, l’uno sostenitore della necessità di intraprendere il cammino della maggioranza verso l’allargamento al Partito Socialista, l’altro fermo nell’idea che il centrismo costituisca una posizione dalla quale non si possa in alcun modo deflettere.
In questa fase il PRI lascia il governo e la maggioranza e si colloca in posizioni o di attesa o di aperta opposizione ai governi a guida democristiana. Comincia l’azione di La Malfa nella preparazione del centro-sinistra. Dirà a Ronchey: «Nel 53 io sentii che il centrismo era finito, aveva esaurito il suo compito storico. Frattanto sorgeva l’alternativa socialista. Nenni non parlava più di unità con i comunisti e questo coincideva con la sensazione che il prolungamento del centrismo non avrebbe portato più a niente» (La Malfa, Intervista 1977, p. 54).
Il 29 giugno al Consiglio Nazionale del partito, La Malfa, dopo l’insuccesso nelle elezioni, difende l’alleanza con la Democrazia Cristiana nel corso della legislatura precedente e sostiene che i partiti laici e in particolare i repubblicani hanno impedito, con la loro presenza nella maggioranza a fianco della DC, uno scivolamento a destra di questo partito. Dice polemicamente a Ferruccio Parri, che era uscito dal partito a seguito della “legge truffa”: «Battete la via dell’amico Parri e i fascisti o i monarchici o tutti e due insieme saranno i padroni dell’Italia» (La Malfa, Scritti 1953-1958, p. 11). «Quanto alle prospettive politiche – prosegue La Malfa in quell’intervento – il problema politico è di conservare immune questa forza democratica dai due fronti contrapposti. Rappresentare una forza di democrazia nel nostro paese: ecco il nostro compito avvenire» (Ibid., p. 13).
Il 6 ottobre La Malfa è eletto Presidente della Giunta per i trattati di commercio e per la legislazione della Camera dei deputati.
Il 24 novembre su Il Mondo, in un articolo intitolato “Una domanda a tre partiti” rilancia il tema dell’alleanza fra i partiti laici, cioè liberali, socialdemocratici e repubblicani, per creare un contrappeso più efficace al predominio della Democrazia Cristiana nell’ambito dell’alleanza di governo (La Malfa, Scritti 1953-1958, pp. 56-59). Questa proposta apre una dialettica in seno al Partito Liberale che porterà nel 1955 alla scissione della componente di sinistra ed alla nascita del Partito Radicale, molto più vicino alle posizioni dei repubblicani.
Nel XXIV° Congresso Nazionale del PRI, tenutosi a Firenze nel Cinema Teatro La Pergola fra il 29 aprile e il 2 maggio, La Malfa sostiene la necessità di allentare i legami dei repubblicani con l’area di governo. Su questo punto si determina uno scontro molto duro con Pacciardi. Emerge una prima, parziale convergenza con Reale. Nel corso del Congresso, discutendo le posizioni di Giovanni Conti, che rappresentava la difesa della posizione repubblicana ortodossa, dirà: «Quando attuo la liberazione degli scambi io mi sento nell’ambito della storia della scuola repubblicana, ma guai a fermare la scuola repubblicana ai testi già fatti, senza un’estensione di questi testi in un campo di esperienze più larghe. […] Il rapporto fra economia pubblica e economia privata non può essere compiutamente esaminato da tali testi» (La Malfa, Scritti 1953-1958, p. 167).
Il 19 agosto muore Alcide De Gasperi. La Malfa scrive un articolo dal titolo “Problema angoscioso” su La Stampa del 26 agosto. Di De Gasperi scrive che «ha portato se stesso e il suo partito ai più alti fastigi e, nel contempo, ha saputo dare una nuova vita all’Italia. Insensibilmente, giorno per giorno, con una pazienza e una moderazione politiche esemplari, ma con una chiarezza di vedute altrettanto eccezionale, il cattolico-liberale ha saputo mutare il precedente equilibrio: il partito cattolico, da autorevole partito con le forze laiche, è divenuto il partito al quale le forze laiche dovevano dare il loro appoggio se volevano mantenere e salvare la democrazia. […] Il capolavoro di De Gasperi non è stato soltanto quello di avere portato l’Italia cattolica in primo piano, ma di avere subito intuito che la grande vittoria del partito cattolico poteva essere pericolosa.» (La Malfa, Scritti 1953-1958, pp. 236-237).
Il 30 agosto l’Assemblea Nazionale francese respinge la ratifica del trattato istitutivo della CED. In un articolo dell’8 settembre sulla Voce Repubblicana, La Malfa scrive: «…non bisogna dimenticare la causa storica che ha portato lo sviluppo dell’europeismo in questo secondo dopoguerra. Di unità europea han parlato, per ragioni ideali, in altre età, Mazzini e Cattaneo, Briand o Coudenhove-Kalergi. Ma le condizioni storiche nelle quali quell’idea era maturata erano ben diverse da quelle attuali. Mai in nessuna epoca precedente erano sorte, fuori dall’Europa, due potenze della forza economica, politica e militare degli Stati Uniti d’America da una parte, dell’Unione sovietica dall’altra» (La Malfa, Scritti 1953-1958, p. 243). La Malfa, cioè, pone il problema dell’Unione Europea come problema di sopravvivenza di paesi europei nella morsa delle due grandi potenze: «Può un’Europa divisa in molti Stati, con economie estremamente deboli e fragili, resistere alle pressioni esterne, senza alla lunga cedere. […] Come è possibile sopravvivere al confronto coi due colossi extraeuropei, senza fare uno sforzo unitario, senza che l’Europa riorganizzi le prossime strutture economiche e politiche sul piano sperimentato…dalle due potenze che oggi dominano la scena del mondo? […] Al di là di questo compito non vi è esattamente nulla: o una vita tremebonda al riparo della potenza atomica americana o la genuflessione timorata dinanzi ai potenti del Cremlino da cui in definitiva dipenderà la sorte di ogni piccolo Stato europeo» (Ibid., pp. 243-144)
Il 7 novembre sulla Voce Repubblicana, sotto il titolo “Aberrazioni Nazionaliste”, La Malfa critica un discorso pronunciato a Parigi dal generale De Gaulle: «Un tale misto di esaltazioni patriottiche, di spregio verso le istituzioni democratiche, di volontà di potenza, e di una potenza che più non esiste, non solo per la Francia, ma per qualsiasi paese continentale dell’Europa occidentale, che discuterne è quasi impossibile. […] Non c’è più posto, in Europa, per sogni e per esaltazioni di questo genere. E continuare su questa strada, sulla strada che ha portato a due guerre mondiali, e al presente deplorevole stato di cose, significa…togliere all’Europa ogni possibile residua possibilità di esistenza» (La Malfa, Scritti 1953-1958, pp. 272-273). Si tratta dell’anticipazione di una polemica contro De Gaulle che si manifesterà dopo il colpo di Stato che riporterà al potere De Gaulle nel ’58 (si veda la raccolta di scritti: Ugo La Malfa, Contro l’Europa di De Gaulle, Milano, Edizioni di Comunità, 1954).
Nella seduta del 13 dicembre della Camera dei deputati, La Malfa interviene sulla ratifica del trattato di Bruxelles che crea l’Unione Europea Occidentale (UEO), con un discorso di politica estera di grande ampiezza. Nell’intervento, La Malfa dichiara il voto favorevole alla ratifica del trattato ma ritiene che i paesi dell’Europa occidentale debbano procedere sulla via dell’integrazione economica e politica e non soltanto con la cooperazione militare: «[Non vi è ragione di] credere che dal trattato di Bruxelles possa nascere… un processo integrativo dell’Europa. […] Col passaggio dalla CED all’Unione dell’Europa Occidentale…il problema dell’Europa è rimasto puramente militare; i paesi europei alla frontiera della Russia rimangono, da un punto di vista economico, da un punto di vista politico, divisi, completamente divisi, ciascuno con la tendenza a portarsi sul terreno della difesa di interessi puramente nazionali e nazionalistici» (La Malfa, Discorsi parlamentari, vol. 1, pp. 473 e 477).
Amendola 1976
Giorgio Amendola, Una scelta di vita, Milano, Rizzoli, 1976.
Baffi, Intervista 1990
Paolo Baffi, Intervista sulla figura storica di Ugo La Malfa, in Paolo Baffi, Testimonianze e ricordi, Milano, Libri Scheiwiller, 1990, pp. 199-203.
Baffi, Intorno a due iniziative 1990
Paolo Baffi, Intorno a due iniziative di studio del 1936, in P. Baffi, Testimonianze e ricordi, Milano, Libri Scheiwiller, 1990, pp. 53-58.
Carli 1953
Guido Carli, Cinquant’anni di vita italiana, Roma-Bari, Laterza, 1953
De Luna 1982
Giovanni De Luna, Storia del Partito d’Azione, Milano, Feltrinelli, 1982.
Faucci 1986
Riccardo Faucci, Luigi Einaudi, Torino, Unione Tipografica-Editrice Torinese, 1986.
La Malfa 1985
Luisa La Malfa, Adolfo Tino. Intervista sul Partito d’Azione, in Annali dell’Istituto Ugo La Malfa, vol. 1, 1985, pp. 519-545.
La Malfa 2005
Luisa La Malfa, Il rimpianto di cose più belle. Lettere di Ugo La Malfa a Leone Cattani, in Annali della Fondazione Ugo La Malfa, vol. XX, 2005, pp. 39-58.
La Malfa, “Communism and Democracy” 1978
Ugo La Malfa, “Communism and Democracy in Italy”, Foreign Affairs, april 1978, pp. 466-488.
La Malfa, Contro l’Europa di De Gaulle 1954
Ugo La Malfa, Contro l’Europa di De Gaulle, Milano, Edizioni di Comunità, 1954.
La Malfa, Discorsi parlamentari
Ugo La Malfa, Discorsi parlamentari (1947-1957), a cura di Massimo Scioscioli, 2 voll., Roma, Camera dei deputati, 1986
La Malfa, Intervista 1977
Ugo La Malfa, Intervista sul non-governo, a cura di Alberto Ronchey, Roma-Bari, Laterza, 1977.
La Malfa, l’uomo 1960
La Malfa, l’uomo della polemica su due fronti, intervista a Ugo La Malfa di Paolo Glorioso in VII giorno, 24 marzo 1960.
La Malfa, Scritti 1925-1953
Ugo La Malfa, Scritti 1925-1953, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1988
La Malfa, Scritti 1953-1958
Ugo La Malfa, Scritti 1953-1958, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 2003
Meneghello 1988
Luigi Meneghello, Bau-sète!, Milano, Rizzoli, 1988.
Pertici 2004
Roberto Pertici, La Malfa, Ugo, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 63, 2004.
Pino-Montanari 2003
Francesca Pino e Guido Montanari, Mattioli e La Malfa: nuovi documenti, in La cerchia milanese di Ugo La Malfa, a cura di Corrado Scibilia, Soveria Mannelli (Catanzaro), Rubettino, 2004, pp. 51-77.
Ragghianti 1954
Carlo Ludovico Ragghianti, Disegno della liberazione italiana, Pisa, Nistri-Lischi, 1954.
Ragghianti 1975
Carlo Ludovico Ragghianti, Disegno della liberazione italiana, Firenze, Vallecchi, 1975.
Soddu 2008
Paolo Soddu, Ugo La Malfa. Il riformista moderno, Roma, Carocci, 2008.
Spinelli 1984
Altiero Spinelli, Come ho tentato di diventare saggio, Bologna, Il Mulino, 1984
Telmon 1983
Sergio Telmon, Ugo La Malfa. Il professore della Repubblica, Milano, Rusconi, 1983.
Ugo La Malfa. Mostra 1981
Ugo La Malfa. Mostra storico-documentaria, catalogo a cura di Luisa La Malfa e Aldo G. Rossi, Roma, Istituto di Studi Ugo La Malfa, 1981
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