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Trump contro il Resto del Mondo

Leggiamo attoniti, ogni giorno, che Trump sarebbe un Capo di Stato ‘affidabile’, ‘coerente’ nel difendere gli interessi del proprio paese e naturalmente, ‘deciso’ (in più preciso italiano: ’bullo’). E che i suoi dazi, dato che l’apertura al commercio estero degli Stati Uniti è modesta (attorno al 12% del Pil, ma una percentuale ben maggiore del nostro), avrebbero effetti moderati sul resto del mondo. Che il secondo assunto sia del tutto infondato lo dimostra il fatto che per decenni, a differenza di quanto sostiene Trump, non sono state le Comunità e poi l’UE a «screw» (fottere: termine trumpiano) gli USA, ma è avvenuto esattamente il contrario: contro carta stampata a volontà (fiat money) gli Stati Uniti hanno ricevuto beni reali dal resto del mondo (inclusa la stessa UE), vivendo al di là dei propri mezzi (anche sul piano militare, che abbiamo garantito ospitando basi, tenendo a distanza l’URSS, e contribuendo ad evitare la crisi dei missili cubani, nel 1962), avendo messo assieme un debito nei confronti del resto del mondo di circa 9.000 miliardi di dollari (un quarto del totale, su un debito pubblico di 37.000 miliardi; debito pubblico pari al 127% del Pil, di 29.185 miliardi; quota del resto del mondo, non irrilevante, del 30,8% dello stesso Pil), più di quattro volte il Pil dell’Italia o della Federazione Russa. Ammontare probabilmente sottostimato, data la irrintracciabilità di molti detentori (fondi, banche et simili). Crede, chi ha vissuto qualche anno tra New York e San Francisco, di conoscere a fondo gli Stati Uniti; chi scrive ha vissuto altrettanti  anni tra Washington D.C. e Los Angeles, ma pensa di conoscere gli Stati Uniti non tanto per questo, ma perché sa leggere alcuni dati e ha studiato Triffin e il suo ‘privilegio esorbitante’, derivante dal detenere la principale moneta di riserva, il dollaro; e un po’ di storia, di diritto e di geoeconomia.

Quanto all’affidabilità trumpiana, ne sanno qualcosa l’Ucraina, i giudici e i funzionari che su Trump hanno indagato, i governatori disobbedienti del Federal Reserve Board (invasione di campo rischiosissima, e che ne dimostra anche l’incompetenza), chi ha vissuto l’attacco a Capitol Hill, gli scienziati e le Università non allineate, l’evaporato sistema della «rule of law» e dei »checks and balances«; per non parlare del diritto internazionale e delle sue istituzioni: U.N., World Health Organization, l’Organizzazione mondiale del commercio, gli accordi sul clima. Forse anche il Fondo monetario e la Banca mondiale e la bellicizzazione (weaponization) della moneta. Gli statistici che danno cifre affidabili ma sgradite, i no vax che fanno parte dell’Amministrazione, i pro vax che ne vengono buttati fuori,  i Fauci che rischiano incriminazioni postume, mentre criminali condannati vengono graziati in quanto «patrioti».

Altro sa anche il resto del mondo che ha visto un Presidente degli Stati Uniti, pluricondannato, accogliere il Presidente della Federazione Russa, oggetto di un mandato di cattura internazionale, con tutti gli onori, tappeto rosso o, meglio, color salmone dell’Alaska, territorio (simbolo che conta) venduto agli USA dalla Russia zarista nel 1867. USA che oggi vorrebbero annettersi la danese Groenlandia, il Canada, riappropriarsi del Canale di Panama. Presidente americano che è andato, per usare il suo linguaggio, «to lick his Russian ass», senza nemmeno, ci si dice, parlare del massacro dell’Ucraina; mentre alle loro spalle campeggiava la scritta «PURSUING PEACE».

Molto ne sanno i palestinesi. Mentre Trump viene candidato da Netanyahu al premio Nobel per la Pace, pace (?) ottenuta bombardando l’Iran (perché non la Corea del Nord, che la bomba ce l’ha?) e lasciando che i coloni israeliani e Israele invadano Gaza, annettano la Cisgiordania, la dividano in due. In una «democrazia» nella quale ci sono cittadini di serie A, gli israeliani, e di serie B, gli arabi cittadini dello stato che si autodefinisce ebraico; mentre è forse sempre stato, ma certamente è divenuto, un paese coloniale. Dove Trump vuole aprire – da bravo palazzinaro – un resort di lusso, che ora ha anche un nome, Gaza Riviera. La funzionaria delle Nazioni Unite che certifica ogni giorno i crimini di Israele, intanto, viene assoggettata a sanzioni e sente il peso delle intimidazioni trumpiane.

Siamo passati da un mondo nel quale gli USA condividevano i valori del mondo occidentale, ad uno  fondato su protezionismi e di dazi, su imposizioni al di fuori di qualsiasi sistema internazionale, sui diktat personali di un autocrate, nel quale Trump è il croupier, tiene il banco, pretendendo investimenti obbligatori negli USA da parte degli altri paesi (a scanso di sanzioni): investimenti che dovranno essere gestiti da Fondi governativi americani; e l’acquisto di beni americani, a prescindere dai costi, con una marcata preferenza per gli armamenti e il petrolio da fracking, settori ecologicamente premianti, secondo lui. Un ben diverso modo di valutare quali siano gli interessi di un’America über alles.

Senza tenere in nessun conto l’invasione americana, all’estero, di pretesi servizi, e del relativo surplus di settore. Servizi che consistono nell’appropriazione di dati personali dei cittadini stranieri da parte di imprese americane che hanno valori di Borsa, e fatturati, superiori al Pil di vari paesi europei. Che non si azzardino, però, questi paesi, a far pagare loro le tasse sugli utili percepiti al loro interno, altrimenti saranno opportunamente puniti. Una resa, sostiene triste qualche irrilevante governante europeo.

Né ci si preoccupa troppo del tentativo di sostituire il dollaro, in coma fallimentare (per la seconda volta, dopo la inconvertibilità reaganiana) con bitcoins di Stato e della famiglia del Capo, se non del Capo in proprio, con una inusitata commistione non, come spesso si auspica, tra pubblico e privato, ma tra pubblico e personale. In un continuo aggiotaggio, provocato da misure e contromisure adottate con piroette da derviscio.

Tecnocapitalismo? L’economia del croupier.


Oliviero Pesce, economista, saggista e traduttore, ha lavorato presso la Banca Mondiale, la Banca Nazionale del Lavoro, il Consorzio di Credito per le Opere Pubbliche (Crediop) e presso società finanziarie e di investimento. È stato amministratore delegato di banche estere, operando in molti paesi. Traduttore di testi di economia e storia economica, oltre che traduttore e autore di raccolte poetiche, ha scritto numerosi saggi su temi bancari ed economici e saggi storici. Ha tenuto corsi universitari di Management Internazionale ed è socio dell’Istituto Affari Internazionali. 

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