Riportiamo di seguito l’intervento di Giorgio La Malfa, invitato ieri a Cesena dal Sindaco Enzo Lattuca a commemorare l’ottantesimo anniversario della Liberazione italiana dal nazifascismo. In calce il link al video di uno dei momenti centrali dell’intervento, ripreso dal Corriere Romagna online:
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Signor Sindaco di Cesena, autorità, cittadini,
all’indomani della liberazione di Roma, avvenuta il 4 giugno del ’44, gli alleati iniziarono la loro avanzata verso il nord. C’era la speranza, che si rivelò illusoria, che, persa la capitale, le forze tedesche si sarebbero ritirate rapidamente. In un documento del 14 giugno, il CLNAI parlò dell’inizio della fase decisiva della battaglia che culminerà – così scrisse – nell’insurrezione nazionale da proclamarsi al momento opportuno. L’idea era che l’insurrezione nazionale contro i tedeschi e contro i fascisti avrebbe segnato il momento del riscatto. Ed in effetti così fu il 25 aprile del 1945, quando il Comitato Insurrezionale nominato il 29 marzo dal CLNAI nelle persone di Sandro Pertini, di Luigi Longo e di Leo Valiani invitò la popolazione all’insurrezione e gli operai all’occupazione delle fabbriche e pose ai tedeschi – come disse Pertini alla radio partigiana -l’alternativa fra arrendersi o perire.
Ma quel momento era ancora lontano. Dovettero passare undici lunghi mesi prima della fine della guerra, mesi durissimi per le forze alleate e per i partigiani in cui le armate tedesche opposero un’aspra resistenza, in cui le popolazioni delle zone occupate dai tedeschi e dai loro alleati della Repubblica Sociale di Salò dovettero subire persecuzioni terribili.
Dopo Roma vi fu, il 1˚ settembre, la liberazione di Firenze, al termine di una battaglia durata per tutto il mese di agosto. A Firenze il Comitato Toscano di Liberazione Nazionale prese una posizione importante. Con una delibera del 15 giugno 1944 avocò a sé tutti i poteri di governo “in quanto legittimo rappresentante del popolo”. E all’indomani della liberazione non accettò che si formasse un governo militare alleato della città, ma chiese che rimanesse in essere l’amministrazione designata dal CLNAI. Firenze segnò anche una svolta nei rapporti fra le forze alleate e i partigiani. Fino ad allora gli alleati avevano in qualche modo teso a sottovalutare la realtà partigiana. Firenze fu il primo caso di un’intesa fra i comandi alleati e le forze partigiane volta a coordinare le rispettive iniziative. Nella battaglia di Firenze i partigiani ebbero un ruolo fondamentale e da quel momento i comandi militari alleati si coordinarono con le forze partigiane. Si erano infatti resi conto che la Resistenza poteva dare un contributo essenziale alla vittoria contro il nazifascismo.
Verso la fine del 1944 l’offensiva alleata si spense anche perché una parte delle forze militari alleate erano state ritirate dall’Italia e dislocate su altri fronti. Se non vi fosse stata per i tedeschi la preoccupazione costante per le azioni dei partigiani, per combattere i quali essi dovevano impegnare consistenti reparti armati, distogliendoli dai fronti di guerra, essi avrebbero potuto opporre una maggiore resistenza all’avanzata degli alleati.
Poco prima della sospensione dell’avanzata alleata, avvenne la liberazione di Cesena, il 20 ottobre del ‘44. Essa vide la collaborazione delle forze alleate inglesi e polacche con le Brigate partigiane Romagna, Sozzi e Mazzini. Dopo Cesena, fu liberata Forlì e il 4 dicembre Ravenna, dopodiché il fronte si fermò contro la Linea Gotica. Ci fu il tragico proclama del generale Alexander che chiese ai partigiani di sospendere la loro attività e cominciò il doloroso inverno del ‘44 –‘45 nel quale la violenza tedesca si unì a quella delle squadracce fasciste nell’infliggere alle popolazioni civili terribili rappresaglie.
L’offensiva alleata riprese su tutti i fronti all’inizio della primavera del ‘45. Si era esaurita in quei mesi invernali l’ultima controffensiva tedesca nelle Ardenne, in Germania a ovest gli alleati passarono il Reno ad est l’Elba. In Italia gli alleati e le forze partigiane sfondarono la Linea Gotica e cominciarono ad avanzare nella valle padana.
Il 21 aprile si libera Bologna; Modena il 22; Mantova il 23; Ferrara il 24. Fra il 25 e il 26 Milano, il 26 gli alleati entrano a Genova – dove oggi si reca il Presidente della Repubblica cui va la nostra riconoscenza per la testimonianza quotidiana che egli dà a difesa dei valori fondanti della nostra Costituzione – ma la città è stata già liberata: i tedeschi si sono arresi la sera del 24 aprile nelle mani dei partigiani.
Nella notte fra il 24 e il 25 di aprile a Milano, come ho già detto, il Comitato Insurrezionale proclama l’insurrezione, lo sciopero generale e l’occupazione delle fabbriche. Nel corso del 25 aprile, i partigiani affluiti in città dalle zone circostanti occupano molti edifici pubblici. Quel giorno vi fu anche l’incontro fra i rappresentanti del Comitato di Liberazione Nazionale e Mussolini che intendeva negoziare un salvacondotto per sé ed i suoi. La risposta a nome del CLNAI venne dal democristiano Achille Marazza, che gli rispose che il CLNAI chiedeva la resa senza condizioni. E quando Mussolini si allontanò, dichiarando che sarebbe tornato per dare una risposta ed invece si allontanò verso la Svizzera, il CLNAI firmò la sua condanna a morte. E non volle accedere, io credo giustamente, alla richiesta degli alleati che egli fosse loro consegnato. Era giusto, io credo, che fossero gli italiani che si erano battuti contro il fascismo a deciderne le sorti.
E tuttavia la guerra non era ancora finita. Torino fu liberata il 28 aprile, come Padova. La resa tedesca venne firmata a Caserta il 29 aprile e fu valida a partire dal 2 maggio. Il 7 maggio i tedeschi firmarono la resa in Europa.
Fin dall’anno successivo il governo sancì che il 25 aprile fosse una festa nazionale. Nel 1949 un disegno di legge istituì il 2 giugno come festa nazionale della Repubblica e il 25 aprile come una delle feste civili della Repubblica. Nel dibattito parlamentare su quel provvedimento intervenne per l’estrema destra l’on. Almirante. Io, cittadini di Cesena, ho riletto quel dibattito parlamentare in cui l’on. Almirante disse, e cito testualmente: “Il 25 aprile è data di lutto per una parte degli italiani. In quel giorno ogni anno vi saranno italiani che piangeranno, voi non potete obbligarli a festeggiare questa data”. Ebbene, cittadini di Cesena, io mi domando: ma quel Consiglio dei ministri che ha esteso a cinque i giorni di lutto, includendo anche il 25 aprile, aveva in mente l’amore per il pontefice o aveva in mente queste parole ignobili di Giorgio Almirante?
La Resistenza non fu un fenomeno solo italiano. In tutti i paesi occupati dalla Germania o dall’Italia fascista, vi fu una resistenza partigiana: in Polonia come in Norvegia, nei paesi baltici come nei Balcani o in Grecia. Ma la Resistenza italiana ha un carattere diverso da quella di altri paesi perché non fu solo una resistenza contro l’occupante nazista. Questo è un punto fondamentale nella nostra storia. Come ha scritto Claudio Pavone, “non va dimenticato che la liberazione dal fascismo aveva avuto per l’Italia, che per prima lo aveva autonomamente inventato, un significato più profondo e complesso di quello ricoperto in altri paesi dalla lotta contro i vari collaborazionismi che erano stati in grado di arrivare al potere soltanto in virtù e sotto la cappa dell’occupazione tedesca”. I partigiani non combattevano solo l’occupazione tedesca e del governo fantoccio di Salò. La loro battaglia era più ampia. Certo materialmente la Resistenza comincia all’indomani dell’8 settembre quando, nella fuga ignominiosa del re e di Badoglio, i tedeschi occupano l’Italia e molti decidono che è un dovere combattere contro gli occupanti.
Lo aveva detto, non l’8 settembre ma il 26 luglio, uno dei martiri della lotta partigiana parlando nella grande piazza di Cuneo che oggi porta il suo nome. “La guerra continua – disse testualmente Duccio Galimberti echeggiando le parole di Badoglio del giorno prima – fino alla cacciata dell’ultimo tedesco, fino alla scomparsa delle ultime vestigia del regime fascista, fino alla vittoria del popolo italiano che si ribella contro la tirannia mussoliniana”. “Non possiamo – disse Galimberti – accodarci a un’oligarchia che cerca, buttando a mare Mussolini, di salvare sé stessa a spese degli italiani.”
In realtà, come è implicito nelle parole di Pavone, la Resistenza si collega idealmente all’antifascismo, è la continuazione di esso. È una lotta che non era mai cessata e che aveva già una lunga lista di martiri, cui si aggiunsero quelli caduti fra il 1943 e il 1945: Matteotti, Gobetti, Amendola, Gramsci, Carlo e Nello Rosselli. Aveva i nomi dei tanti sindacalisti, cooperatori, militanti dei partiti democratici uccisi dai fascisti prima dell’avvento di Mussolini, dopo la nascita del regime, mandati in carcere o al confino o costretti all’esilio. Aveva ed ha i nomi, se parliamo di Cesena, di Gastone Sozzi, comunista ucciso nel 1928 nel carcere di Perugia e a cui fu intitolata una brigata partigiana e di Mario Guidazzi, repubblicano trucidato il 22 gennaio del ’44, non lontano da qui dove oggi noi siamo.
Il valore e il significato della Resistenza italiana è che essa non ha combattuto solo per liberare l’Italia dall’invasore tedesco, ma ha combattuto per riscattare l’onore dell’Italia dal l’ignominia del fascismo, delle leggi razziali, della guerra a fianco dell’alleato nazista.
Un grande intellettuale francese, André Malraux, che aveva partecipato alla Resistenza francese a fianco del generale De Gaulle, parlando a Parigi nell’anniversario della liberazione della città, disse che i partigiani francesi non avevano lottato per liberare Parigi ma per ritrovare la Francia. Aggiunse che, in fondo, gli alleati sarebbero giunti entro breve tempo a liberare Parigi, ma che aveva un significato diverso che a farlo fossero stati i giovani francesi. In un libro molto bello sulla Resistenza, Max Salvadori che fu ufficiale di collegamento fra gli inglesi e la Resistenza in questa parte d’Italia e poi in Lombardia intorno al 25 aprile, scrisse queste parole importanti: “La guerra partigiana ebbe un ruolo fondamentale nel restituire alla nazione la dignità di cui il fascismo l’aveva privata e il formarsi di un esercito partigiano che combatté con gli alleati senza essere da questi inquadrato modificò profondamente la posizione dell’Italia, ben più di quanto non avessero fatto l’armistizio del 3 settembre e la dichiarazione di ostilità alla Germania da parte di un governo che non governava”. Continua Salvadori: “L’azione del Corpo volontari della libertà diede la possibilità alla nazione di separare definitivamente la propria responsabilità da quella dei fascisti, perché l’Italia, di sua volontà e non sotto la pressione di ordini stranieri, prendeva il posto nella coalizione che combatteva nella Germania, più che il popolo tedesco, il fascismo”.
Questo, cittadini di Cesena, è il valore assoluto della Resistenza che rende giusto celebrare ogni anno, mentre, non certo per loro meriti ma forse per nostri demeriti nell’indifferenza di un paese che tende a dimenticare tutto, gli eredi di quella storia ingloriosa da cui la Resistenza era riuscita ad allontanarci attraverso il sacrificio di tanti martiri, pretendono di rappresentare l’Italia e parlano di quella Europa che nasce dalla sconfitta del fascismo e del nazismo.
“Come eravamo felici – scrisse una volta Leo Valiani, una delle coscienze più alte dell’antifascismo – quando, all’indomani del 25 aprile, l’Italia si ritrovò unita”. Quante speranze avevamo e quante delusioni in un certo senso ci ha dato il dopoguerra. E certo nel ricordo della Resistenza c’è stato per molti partigiani anche il senso di insoddisfazione per un cambiamento insufficiente, per tante speranze tradite o svanite. E tuttavia, essendo passati ottanta anni, possiamo anche guardare al complesso della nostra storia con un occhio più distaccato. Ora, se noi guardiamo alla lunga vicenda di questi ottant’anni, non possiamo sottovalutare il frutto di quella di quella lotta e di quei morti. La riconquista della libertà ha aperto la strada a dei cambiamenti profondi nella vita dell’Italia. Aperse subito la strada al voto delle donne. E poi nacque dalla libertà un periodo di grande sviluppo economico che ha cambiato il volto dell’Italia. Basta guardare non le statistiche, ma le fotografie dell’Italia del primo Novecento per sapere in quali condizioni di povertà vivevano le popolazioni, non solo quelle del Mezzogiorno, ma anche i braccianti della Valle Padana, le famiglie del Polesine, i paesi dell’Appennino e della montagna.
Quando entrammo nel secondo dopoguerra eravamo una dei paesi più poveri d’Europa. Dopo ottanta anni siamo uno dei paesi più ricchi al mondo. Naturalmente in mezzo a profonde ingiustizie, a squilibri fra la ricchezza privata e la qualità dei servizi, ma questo vuol dire che se ci fosse un governo basato sugli ideali della giustizia sociale potrebbe operare per ottenere, insieme allo sviluppo, anche la giustizia. Abbiamo avuto un regime democratico che ci ha consentito di attraversare problemi drammatici come la lotta al terrorismo senza perdere di vista i principi di libertà che devono esistere in una democrazia. Abbiamo affrontato gli anni della guerra fredda, che hanno diviso il mondo senza compromettere la vita del Parlamento e delle istituzioni, senza far venir meno gli essenziali principi di libertà che avevamo conquistato a caro prezzo.
Come è stato possibile tutto questo? È stato possibile perché quella lotta partigiana, a cui partecipavano su un piede di parità esponenti delle varie correnti del pensiero politico, i comunisti, i socialisti gli azionisti, i repubblicani, i cattolici democratici, i liberali, e anche degli ex militari, ha insegnato il valore dell’unità tra le forze antifasciste. Ed è questo che nei momenti difficili della guerra fredda, o all’indomani del rapimento dell’on. Moro, ha consentito di mantenere il paese entro i binari della legalità repubblicana.
Voglio leggervi una poesia scritta nel 1955 da Carlo Levi – l’autore di Cristo si è fermato ad Eboli, era azionista da giovane, poi fu comunista – una poesia che secondo me è uno dei documenti più belli sulla Resistenza:
Siamo stati insieme
Diventando insieme uomini
Se il mondo era diviso
Erano Uniti i nostri cuori erano aperte le nostre porte
Brillava su tutti i visi
Una speranza comune
Una raggiunta esistenza
Giovane in mezzo ai dolori
Ci siamo riconosciuti
Nata in mezzo ai dolori
Un popolo nuovo immune
Dai limiti ripetuti
Nasceva col nuovo nome
Sicuro della morte
Era la resistenza.
Questo è il messaggio che dobbiamo sapere trasmettere ai giovani, Dobbiamo farlo oggi mentre vengono irrisi i valori della democrazia, mentre l’intolleranza si fa avanti, mentre l’uso della forza viene predicato e convalidato. Possiamo essere in disaccordo su molte cose, ma sul valore della libertà, sul desiderio di pace, sulla giustizia, su questo, se vogliamo essere fedeli alla memoria di quanti sono morti per restituire all’Italia la libertà e la dignità, noi, cittadini, su questo non possiamo dividerci. E non ci divideremo.
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