(l’Altravoce) Non disponiamo e non sarà facile acquisire tutti gli elementi necessari per un giudizio politico circostanziato sugli esiti del viaggio di Donald Trump in Medio Oriente. Quelli che emergono sono soprattutto gli elementi di colore relativi all’accoglienza ricevuta dal Presidente americano e alle sue dichiarazioni, mentre i veri contenuti economici, militari e politici del viaggio resteranno avvolti nell’ombra cosicché non sarà facile giungere a una valutazione circostanziata. A questo si deve aggiungere l’instabilità e l’erraticità evidente delle posizioni del Presidente americano: per cui egli può prendere una posizione oggi e dire il contrario domani.
E tuttavia c’è a mio avviso qualcosa in questo viaggio che potrebbe aprire a degli sviluppi importanti in futuro sia in Medio Oriente, sia più in generale nel rapporto fra la Russia, gli Stati Uniti e l’Occidente. Non mi riferisco tanto ai rapporti con gli Stati arabi e alla possibilità che altri paesi, dopo la Giordania o l’Egitto, possano domani stipulare una pace con Israele, né agli accordi economici con questi paesi annunciati da Trump o agli affari combinati con questi paesi a beneficio dell’economia americana o delle attività della famiglia del Presidente.
I due passi politicamente più importanti riguardano l’Iran e la Siria.
Per quanto riguarda l’Iran, la destra israeliana sogna da sempre di scatenare una guerra contro quel Paese nella quale coinvolgere in primis gli Stati Uniti. L’arrivo alla Presidenza di Trump ha probabilmente alimentato in Netanyahu la speranza che questa fosse la volta buona.
L’Europa ha invece perseguito nel tempo il dialogo con l’Iran per indurlo a rinunciare all’opzione di dotarsi di armi nucleari e a divenire un interlocutore del processo di pace in Medio Oriente. Questa politica è stata largamente condivisa e sostenuta dai democratici americani, da Obama a Biden. Durante il suo primo mandato Trump fece ritirare gli americani dall’accordo sul nucleare che era stato raggiunto con l’Iran. Oggi invece, seppure accompagnandolo dalla minaccia di un’azione militare se l’accordo fra Iran e Stati Uniti non venisse raggiunto, apre al dialogo con Teheran. Accetta l’ipotesi di un accordo per lo sviluppo civile dell’energia nucleare da parte dell’Iran e ovviamente lascia intendere che lungo questa strada si normalizzerebbero i rapporti con quel Paese. Questa a mio avviso la chiave principale per una soluzione a lungo termine del problema della stabilità del Medio Oriente. Come Teheran è stato il sostenitore più forte degli Hezbollah e di altre forze destabilizzanti in Medio Oriente, domani esso potrebbe divenire il principale fattore di stabilizzazione. Trump sembra dare a questa prospettiva almeno una possibilità di svilupparsi positivamente. E insieme con questo gli Stati Uniti parlano con gli Houti e soprattutto aprono al nuovo leader siriano Al Jolani.
Si poteva temere che Trump avrebbe spalleggiato la destra israeliana. Ora si vede che Netanyahu è solo. E se questi poteva permettersi di sfidare l’America di Biden, contando sul sostegno dei repubblicani di Trump, oggi Netanyahu non può permettersi di perdere il sostegno di Trump. Può sperare in cuor suo che fallisca l’apertura all’Iran e alla Siria, ma non può sabotarla. Può incrementare oltre ogni possibile giustificazione gli attacchi su Gaza sperando che questo provochi una reazione da parte dell’Iran che interrompa ogni possibile dialogo con gli Stati Uniti, ma non può condurre questo gioco troppo apertamente, con il rischio di provocare una reazione americana che per Israele sarebbe devastante.
Dunque potremmo trovarci di fronte a una svolta nella politica americana. In questa politica di Trump, se verrà confermata, c’è qualcosa che appartiene alla tradizione dei repubblicani americani. Da Nixon a Reagan sono stati i repubblicani a potersi permettere di chiudere dei conflitti, come quello con il Vietnam o di fare dei passi verso la distensione, come fece Reagan. Potrebbe essere questo di Trump il ritorno a una tradizione di politica estera con la quale sarebbe possibile per l’Europa convivere, assai meglio e più che non sulla politica economica o sulle tariffe doganali.
Del resto, aprire all’Iran e alla nuova Siria significa anche rendere meno necessaria per questi paesi una stretta alleanza con Putin. In prospettiva allontanare l’Iran dalla Russia significa anche rendere meno facile per Putin limitare le conseguenze dell’embargo al quale la Russia e stata soggetta dopo l’invasione della Ucraina e che finora gli Stati Uniti non hanno smantellato.
Non possiamo sapere dunque se si è davvero aperta una nuova strada. Ma abbiamo il dovere di segnalarlo. È una possibilità, ma certo l’Europa dovrebbe essere pronta a cogliere la novità.