Il libro di Piero Valesio Racchette di guerra (Absolutely Free libri), di recente pubblicazione, torna in primo piano in questi giorni di festosa allegria per la vittoria di Jannik Sinner a Wimbledon – primo italiano ad alzare la coppa del celebre torneo – e insieme di profondo sconforto per i conflitti che affliggono il mondo su più fronti e non trovano fine.

In diciotto capitoli, Valesio ci conduce attraverso le biografie di tennisti professionisti che, per dovere o per scelta, hanno riposto la racchetta per abbracciare le armi.
Giovani campioni che trascorrevano la vita fra ace, smash e volée, sottratti ai campi di terra rossa o di erba verde per finire in campi di eserciti e carri armati, oppure, oggi, sotto piogge di missili e droni.
Valesio è un giornalista sportivo, autore di molti interventi su testate e televisioni nazionali e, fra l’altro, direttore dal 2016 al 2020 del canale televisivo Supertennis. I suoi articoli, ora soprattutto sul quotidiano Domani, si distinguono per la cifra letteraria della sua scrittura che insiste sul rapporto fra sport, società e cultura, non trascurando mai il fattore umano degli episodi sportivi, su cui indaga con capacità introspettiva.
Così, ancora una volta, a muovere l’ispirazione di questo ultimo libro è stata l’attitudine a spingere l’occhio nelle pieghe dei sentimenti, in questo caso attraverso le fotografie dei due noti giocatori ucraini, Alex Dolgopolov e Sergej Stakhovsky, ripresi sul social X con i “volti rugosi e il mitra in mano”. Volti devastati dalla fatica e dall’angoscia, tanto diversi “da quelli che fino a pochi mesi prima avevano sfidato Federer o Nadal sui campi di tutto il mondo”.
Ultimi nel tempo, i due tennisti ucraini chiudono una galleria di sportivi conosciuti o riconosciuti anche grazie alle belle fotografie in bianco e nero che illustrano le pagine del volume. Vi troviamo Tony Wilding, più volte vincitore a Wimbledon, appassionato di motociclette, personaggio dell’alta società e amico di Winston Churchill, morto straziato da una bomba esplosa a pochi metri da lui nel 1917 nella battaglia di Aubers, in Francia. “Chissà – annota Valesio – se in quegli ultimi attimi ebbe modo di pensare a quella palla steccata da Brookes che gli aveva stroncato il sogno di conquistare il quinto Wimbledon consecutivo […] O se si domandò quale follia lo aveva strappato da quei campi dove al massimo poteva arrivare alle sue narici qualche sentore di tabacchi coloniali emessi dalle pipe degli spettatori e non certo gli indolori e letali gas”. Troviamo più avanti Don Budge, trionfatore nel Grande Slam, ferito gravemente in una esercitazione con i piloti dell’Air Corps. Incontriamo anche la tennista americana Alice Marble che per spirito di patria, non potendo arruolarsi nell’esercito americano, volle farsi spia e finì inseguita dai nazisti dopo aver trafugato documenti di grande importanza per la causa degli Alleati.
E molti altri sono i personaggi, gli aneddoti, gli episodi, tutti narrati con grande sensibilità e insieme con lo scrupolo della ricerca storica che ha portato l’autore fra gli scaffali delle biblioteche e i faldoni delle emeroteche.
Emblematica, commovente, la vicenda di Baworowski, Henkel e Von Metaxa, rivali gioiosi in Coppa Davis, costretti a combattere da nemici nell’inferno di Stalingrado. Valesio chiude le pagine dove ha narrato la loro storia immaginando, sotto le bombe e le macerie della città martire della Seconda guerra mondiale, un “filo invisibile tessuto da chissà quale divinità che univa quei ragazzi che improvvisamente, al di là delle loro convinzioni politiche e dei loro status sociali, si ritrovarono in un mondo diametralmente opposto a quello in cui avevano vissuto e in cui avevano speso i loro talenti […] Immaginiamo quei tennisti che, chiusi in un sotterraneo e dietro un muro crivellato di colpi, rivolgevano il pensiero l’uno all’altro e, parlando con i commilitoni, si chiedevano in quale punto del fronte di battaglia, magari a pochi metri da loro, si trovassero i compagni e gli avversari di poco tempo prima”. Vengono qui in mente le corse, le risate e quell’adamantina gioia di vivere che risuonava nel campo da tennis del giardino dei Finzi Contini. E poi il buio e il freddo, calati su quel fazzoletto di terra rossa quando l’infuriare della guerra e degli odi razziali arrivano a rubare il sogno di vita di Alberto e Micol.
Scrive Valesio nella prefazione al suo Racchette di guerra: “Le storie che state per leggere hanno questo scopo: non possiamo farci cogliere impreparati perché la bellezza può essere oscurata dall’orrore in un attimo”.
E noi non possiamo non pensare, con tragici richiami all’attualità, ai versi del poeta: “Da poco sul corso è passato a volo un messo infernale tra un alalà di scherani, un golfo mistico acceso e pavesato di croci a uncino l’ha preso e inghiottito …”. Inghiotte tutto, infatti, la guerra. Anche la bellezza del gioco del tennis, l’ebrezza del colpo vincente, le sfide dello sport, che sempre evocano la giovane età.