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Una firma per l’Italia

La legge Calderoli

Il 26 giugno 2024, la Camera dei Deputati ha definitivamente approvato la Legge n. 86 recante disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario, come previsto dal terzo comma dell’art. 116 della Costituzione.

La Legge, nota come legge Calderoli, è composta solo da 11 articoli, ma, data la complessità della materia, e alcune contraddizioni in essa contenute, la sua attuazione sarà lunga e complicata.  

In tutto sono 23 le materie che possono essere oggetto di autonomia differenziata: 20 attualmente ricomprese nella “legislazione concorrente” Stato-Regioni e 3 di competenza esclusiva dello Stato.

Delle ventitré materie, 14 sono soggette alla definizione dei LEP (Livelli Essenziali delle Prestazioni) validi su tutto il territorio nazionale che il Governo è impegnato a definire entro due anni dall’entrata in vigore della Legge, mentre 9 non sono vincolate ai LEP e possono essere attribuiti alle Regioni richiedenti.

Naturalmente l’attribuzione alle Regioni di queste nuove competenze non è automatica: essa comporterà una richiesta delle Regioni interessate e la successiva negoziazione con il Governo potrà dare luogo non solo a complesse trattative, ma anche a diversi contenziosi.

All’indomani dell’approvazione della legge, quattro Regioni – Veneto, Lombardia, Piemonte e  Liguria (che si appresta a rinnovare i propri organi dopo le dimissioni del suo Presidente per le note questioni giudiziarie  e potrà quindi cambiare maggioranza e posizione sulla materia) hanno avviato le procedure per richiedere l’accordo con il Governo su quanto previsto dalla Legge Calderoli, una accelerazione che forse nasce dalla preoccupazione per la possibilità di successo di un eventuale referendum abrogativo.

C’è da domandarsi tuttavia se il Governo possa dare corso alle richieste delle Regioni in pendenza dello svolgimento di un referendum il cui esito potrebbe comportare il venir meno della legislazione su cui quelle richieste sono basate.

Chi è senza peccato …

La legge sull’autonomia differenziata altro non è che la prima conseguenza di quella sorta di “pactum sceleris” fra i partiti dell’attuale maggioranza di Governo che vede la Presidente del Consiglio promuovere il “premierato”, il Vice Presidente del Consiglio on. Tajani la “riforma della giustizia” e l’altro Vice Presidente del Consiglio sen. Salvini sostenere appunto l’autonomia differenziata.

La Lega, sin dalla sua nascita, ha fatto dell’autonomia declinata in varie versioni (indipendenza della cd Padania poi federalismo, quindi devoluzione ed infine autonomia differenziata) un carattere indelebile del suo DNA politico.

Le Regioni del Nord, secondo la Lega, sono quelle che producono ricchezza dimostrando efficacia ed efficienza amministrativa mentre le Regioni del Sud dilapidano le proprie e l’altrui ricchezze, manifestando da sempre inefficacia ed inefficienza amministrativa.

Ne consegue la necessità – secondo la Lega – che la ricchezza rimanga a disposizione di chi la produce e la sa amministrare inducendo le altre Regioni a ridurre sprechi e recuperare efficacia ed efficienza amministrativa.

In un articolo pubblicato nel febbraio scorso dalla rivista Il Mulino si mettono in luce non solo i pericoli dell’autonomia differenziata, ma anche il “fallimento” complessivo delle Regioni – ed è facile rammentare quanto ebbe a dire all’epoca in materia Ugo La Malfa – e soprattutto, il profondo cambiamento di paradigma.

Dopo infatti più di 120 anni dalle prime leggi speciali a favore del Sud del Governo Zanardelli (1901 – 1903) che rimettevano in discussione il principio liberale dell’uniformità amministrativa, si cambia strategia riducendo di molto il principio perequativo dell’azione centrale a vantaggio delle Regioni più ricche e conseguente svantaggio di quelle meridionali.

Non a caso l’articolo de Il Mulino riporta l’ammonimento di Ernest Renan, intellettuale francese stimato da diversi esponenti della maggioranza: “l’esistenza della nazione è un plebiscito quotidiano”.

Così quella sorta di concetto assurto a mito (la Nazione) posto dall’attuale partito di maggioranza relativa non solo come mantra linguistico, non poco si contraddice con il supporto all’autonomia differenziata.

In un recente dibattito, poi, alla Camera è stato rammentato quanto ebbe a dire nel 2014 l’on. Meloni che proponeva l’abolizione delle Regioni, fonte di qualsivoglia nefandezza, il rafforzamento dei poteri dei comuni e del potere centrale, ma anche l’istituzione di 36 distretti con funzioni amministrative e non legislative.

Evidentemente negli ultimi dieci anni le Regioni hanno miracolosamente recuperato per l’on. Meloni credibilità, autorevolezza, efficacia ed efficienza tanto da poter delegare loro funzioni del potere centrale, ma molto più probabilmente l’incoerenza e la contraddizione sono prezzi da pagare sull’altare della stretta convenienza politica.

Peraltro, la Legge Calderoli attua, a suo modo, quanto previsto dall’improvvida modifica del Titolo V della Costituzione che nel 2001, promossa dal centrosinistra cercava di arginare, in modo confuso, inefficace ed inopportuno le spinte all’epoca devoluzionistiche della Lega.

Nel 2017 due Regioni, Lombardia e Veneto (a guida leghista) organizzarono un referendum consultivo a favore dell’autonomia differenziata ed un’altra Regione, l’Emilia Romagna (a guida PD) votò in Consiglio Regionale il mandato al Presidente per procedere alla richiesta di avviare le procedure per l’attuazione del terzo comma dell’art. 116 della Costituzione.

Più volte l’ex Presidente dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, ha fatto presente che tale richiesta di autonomia era molto diversa da quanto oggi presente nella Legge Calderoli, ma il dato politico rimane.

Altre due Regioni avevano chiesto forme di autonomia differenziata su determinate materie: la Regione Piemonte (a guida centrodestra) nel 2008 e la Regione Toscana (a guida centrosinistra) nel 2003 limitatamente al settore dei beni culturali e paesaggistici. Procedure che non hanno avuto seguito.

La questione, ovviamente, non riguarda i vari gradi di responsabilità e di coerenza politica, ma se effettivamente giova al nostro Paese l’autonomia differenziata oppure se si debba continuare con una progressiva sommatoria di improvvidi provvedimenti legislativi, sommando ad errori altri errori.

Le prospettive della legge: referendum e ricorsi alla Corte Costituzionale

La legge Calderoli è entrata in vigore il 17 luglio scorso. Contestualmente alla sua entrata in vigore sono state avviate due diverse iniziative che denunciando il valore fortemente divisivo della materia mirano a impedirne la concreta attuazione.

Da un lato è stato promosso un referendum abrogativo della legge. Un Comitato, composto da PD, M5S, AVS, IV ma anche da CGIL, UIL ed altre rappresentanze della società civile, ha presentato un quesito referendario e ha promosso la raccolta delle 500.000 firme necessarie per sostenere il quesito, obiettivo raggiunto in pochi giorni, grazie anche alla possibilità della sottoscrizione on line.

Il Comitato punta al traguardo di un milione di firme entro il prossimo mese di settembre.

Una diversa contestazione della legge Calderoli è stata promossa dal Presidente della Regione Puglia, Emiliano, il quale ha preannunciato che si rivolgerà alla Corte Costituzionale per i profili di incostituzionalità del provvedimento, cosi come altre Regioni – non governate solo dal centrosinistra come la Calabria – si sono dichiarate contro.

Ammissibilità del referendum abrogativo

Non appena partita la raccolta delle firme per il referendum abrogativo è iniziato un acceso dibattito sull’ammissibilità o meno da parte della Corte Costituzionale del quesito referendario.

Gli argomenti addotti a favore della tesi dell’inammissibiità sono essenzialmente tre:

–        la legge 86 sarebbe una legge di attuazione costituzionale ed in quanto “costituzionalmente necessaria” essa non può essere oggetto di referendum abrogativo, tesi ribadita, fra gli altri, dallo stesso on. Calderoli;

–        secondo la stampa vicina all’attuale maggioranza la legge Calderoli costituisce uno dei provvedimenti collegati alla legge di bilancio 2024 e quindi non sarebbe passibile di azione referendaria;

–        sul quotidiano il Foglio il Prof. Guzzetta ha inoltre sostenuto che, contenendo la legge quattro diverse materie, la presentazione di un referendum abrogativo della legge potrebbe indurre la Corte a dichiarare l’inammissibilità del quesito referendario. 

Quest’ultima osservazione confligge con il precedente del referendum abrogativo della riforma costituzionale fatta approvare dal Governo Renzi, giudicato ammissibile dalla Corte Costituzionale, nonostante la legge contenesse “oggetti distinti e disomogenei” come il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del Titolo V della parte II della Costituzione.

Sulle altre motivazioni addotte da quanti contrari al referendum, i precedenti della Corte Costituzionale non sono univoci, non risultando agevole ricomprendere in una unica fattispecie i vari casi.

Prospettive del raggiungimento del quorum

Al contrario dei referendum confermativi che non hanno alcun quorum da raggiungere, quelli abrogativi devono registrare un’affluenza alle urne superiore al 50% + 1 degli aventi diritto che – come ricorda un articolo del Sole 24ore – significa portare a votare circa 25.500.000 cittadini.

È del tutto evidente che si tratta di un obiettivo ambizioso non facile da raggiungere. E tuttavia vi sono alcune considerazioni politiche di cui tener conto. 

1.      Qualora la Corte Costituzionale dichiari ammissibile il referendum, il Governo dovrà indirlo e fissare una data per il suo svolgimento. Le forze di maggioranza sono fortemente divise al loro interno, fra la posizione totalmente favorevole della Lega all’autonomia differenziata e la sostanziale freddezza dei due alleati. Certo FDI e FI non potranno non sostenere il NO all’abrogazione e il non raggiungimento del 50 + 1 dei votanti equivarrebbe a far vincere il NO. Ma essi non potranno fare una vera campagna per l’astensione, perché questo darebbe luogo a polemiche non infondate sulla loro preoccupazione per l’esito del voto. C’è dunque la possibilità che il quorum venga raggiunto per i voti degli elettori leghisti e degli altri partiti della maggioranza.

2.      Nessun osservatore ritiene che vi siano dubbi sul fatto che nel voto prevarranno i SI all’abrogazione della legge proprio perché il fronte contrario alla legge Calderoli è compatto, mentre nel fronte del NO vi sono posizioni molto diverse. La scelta per le forze di Governo è fra perdere di misura un referendum che supera il quorum, oppure perdere con un grande distacco un referendum non valido per mancanza del quorum. Ma il mancato raggiungimento del quorum con un vasto margine non consentirà alla maggioranza di sostenere che l’astensione significa il sostegno della legge da parte degli elettori. Di conseguenza il SI alla abrogazione sarà l’indicazione che molto probabilmente emergerà dal referendum, anche se il referendum non avrà avuto i voti necessari per la sua validità.

3.      Come si è detto, l’attuazione della legge Calderoli è lunga e complessa: vi è la negoziazione fra Stato e Regioni e c’è soprattutto la questione dei LEP che dovranno essere definiti prima di procedere. Questi passi successivi e questi adempimenti avverranno in un clima molto diverso a seconda che con il loro voto gli elettori abbiano confermato la volontà di introdurre le norme della Calderoli nel nostro ordinamento o qualora invece la Calderoli rimanga in vigore nonostante una larghissima maggioranza di quelli che avranno votato si sarà espressa contro.

4.      In realtà l’obiettivo MINIMO del fronte abolizionista non è irrealizzabile: è che vada a votare SI un numero di elettori vicino a quello raccolto dai partiti del NO nelle europee.  L’obiettivo MASSIMO è che voti la maggioranza degli aventi diritto e prevalgano i SI all’abrogazione. Ma qualunque esito fra il minimo e il massimo equivale alla manifestazione di una vasta maggioranza di cittadini contro la legge Calderoli. E questo è un esito perseguibile con una certa fiducia. È quindi oltremodo opportuno, a nostro avviso, rafforzare l’impegno del Comitato promotore del referendum abrogativo, sottoscrivendo nei vari banchetti organizzati sull’intero territorio nazionale i quesiti referendari, altrimenti firmando on line seguendo le seguenti istruzioni:

1️⃣ Apri il link: https://pnri.firmereferendum.giustizia.it/referendum/open/dettaglio-open/500020 e accedi con lo SPID, la CIE o la CNS

2️⃣ Scorri l’elenco delle iniziative e clicca su “Contro l’autonomia differenziata. Una firma per l’Italia unita, libera, giusta” (il numero dell’iniziativa è 500020)

3️⃣ Premi su sostieni iniziativa, clicca su continua e nuovamente su sostieni iniziativa.

“Una firma per l’Italia” è lo slogan utilizzato dal Comitato promotore per promuovere il referendum abrogativo della legge sull’autonomia differenziata, slogan quanto mai centrato per una giusta battaglia.

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