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2024, un’Europa con luci e ombre

Il Natale, la fine dell’anno, il bilancio del 2024, planano su un’Europa con luci e ombre. La guerra in Ucraina continua, ma finora resta alle porte e non ha sfondato dentro casa, l’Ucraina è in difficoltà ma resiste, eroicamente resiste. Le elezioni hanno comunque confermato una compagine al governo dell’Europa a fianco di Kiev, con parole e con fatti, e il 2024 si conclude senza lo sfaldamento europeo che alcuni prevedevano. Ma c’è da rimanere vigili, un passo falso, una forzatura o un cedimento sbagliato, possono portare a conseguenze terribili.

Nel Medio Oriente, a Gaza i civili continuano a morire, Israele continua a non essere sicuro, il Libano ha nuovamente conosciuto la guerra, la Siria ha improvvisamente cambiato regime, l’Iran appare indebolito esternamente e internamente – e in questa successione di crisi non c’è alcun punto fermo, tutto accade, tutto può ancora accadere. L’Europa si aspetta molto dalla nuova Siria, e può rimanerne delusa; ha una convergenza strategica con Israele, ma è consapevole che l’alleanza è in via di logoramento e parla apertamente di “pulizia etnica” e resta al fianco della Corte Penale Internazionale; ha ogni interesse a riorganizzare un Libano più sovrano di prima.

Non vi sono certezze di cosa vorrà e saprà fare il nuovo Presidente americano, ma possiamo essere sicuri che con Trump niente sarà regalato e l’Indo-Pacifico sarà per Washington più importante che non l’Europa o la Russia. Bruxelles ha gli strumenti per battagliare nel commercio e nelle tariffe, sa che spetta solo alla sua volontà farsi paladina nel mondo del multilateralismo e della lotta ai cambiamenti climatici. E in questo c’è anche una grande opportunità.

I rapporti con la Cina di Xi restano problematici, complicati non solo dai rapporti di forza e dalle rispettive posizioni su Russia e Taiwan, ma anche dalla transizione energetica su cui Pechino ha idee chiare, mentre l’Europa molto meno anche se non ha ancora perso il suo treno.

Quanto all’umore di casa, l’Eurobarometro segnala che i cittadini non sono più molto preoccupati del terrorismo o della pandemia o della crisi finanziaria, ma della Russia e dei cambiamenti climatici. I disastri ambientali non solo in Italia e altrove, ma soprattutto in Spagna, segnano un punto di non ritorno su una minaccia permanente e dalle dimensioni inedite.

L’economia non va male, gli incubi da post-pandemia non si sono avverati, il Recovery ha iniettato liquidità e fiducia, anche se l’Italia non ha saputo approfittarne e ovunque il settore automobilistico segna un declino industriale figlio di un’incertezza politica a seguire l’innovazione.

Con i vari pasticci politici dei paesi più importanti, nessuno ha oggi un ruolo dominante, mai come ora siamo stati un’unione di minoranze interdipendenti, e questo è anche un bene. Non sappiamo invertire il declino demografico e ancora l’Europa non ha alcuna idea precisa di come governare e approfittare della mobilità globale dei lavoratori – altrimenti detti “migranti”. In definitiva, l’Europa si autoflagella volentieri, e tuttavia resta una delle mete più ambite per nascerci, lavorarci, viverci.

Un dato del 2024 è costituito dalla volontà di non dare nulla per scontato e di guardarci “dentro”. Due rapporti europei, quello Draghi sulla competitività, e quello Niinistö sulla capacità di affrontare le crisi militari, sanitarie o climatiche, sono molto più che dei “campanelli d’allarme”, ma dettagliate analisi delle vulnerabilità strutturali dell’Unione Europea, alle quali si può porre rimedio solo con misure strutturali – altresì dette “riforme istituzionali”. Questo sarà il vero banco di prova della nuova Commissione, che dopo il voto sul suo Collegio dispone di una maggioranza che possiamo definire “confusa”, e di tutti i governi, come del Parlamento Europeo. In quanto all’urgenza di più Europa, abbiamo la fotografia della situazione, ma per ora, tutto tace.

Date le circostanze, possiamo celebrare il 2024 come un anno di grandi dolori per l’umanità, ma in cui l’Europa, e con lei l’Italia, ha tenuto botta e ha anche avuto buona sorte: poteva andare molto peggio. Ma si deve fare meglio perché, a fine 2025, cosa potremo scrivere? 


Niccolò Rinaldi dal 1989 al 1991 è responsabile dell’Informazione per le Nazioni Unite in Afghanistan. In seguito, nel 1991, diviene prima consigliere politico e poi, dal 2000, segretario generale aggiunto al Parlamento Europeo. Nel 2009 è eletto deputato europeo, e diviene vice-presidente dell’Alleanza dei Democratici e Liberali per l’Europa (ALDE). Nel 2014, al termine del mandato europeo, resta come funzionario nell’istituzione dove è attualmente Capo Unità Asia, Australia e Nuova Zelanda. Negli ultimi anni ha tenuto su Il Commento Politico la rubrica Lettere da Bruxelles.

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