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La guerra è in Ucraina, la minaccia è per l’Europa intera

(Bruxelles) – L’andamento altalenante dei tentativi di negoziato per fermare l’aggressione russa in Ucraina è seguito in modo molto diverso dalle opinioni pubbliche dei paesi dell’UE. Perché in un pezzo di Europa, dalla Scandinavia al blocco dei paesi centrali, quello che accade in Ucraina è quasi questione di politica interna. Questione di geografia e di storia, che cambiano l’ordine delle minacce e delle priorità.

Questo implica aiutare in modo sempre più efficace l’Ucraina perché, se crollasse Kiev, i russi sarebbero alle porte di casa. Implica anche riarmare l’Europa, perché come molti analisti rilevano in base all’andamento della produzione militare e al dislocamento delle armi russe, dopo l’Ucraina potrebbe seguire una pausa, preludio tra qualche anno a uno scontro diretto contro l’Europa e la NATO – ovvero un attacco ai paesi baltici.

In Italia facciamo fatica a percepire queste minacce come qualcosa che ci riguardi, non proviamo la stessa preoccupazione. In molti sono convinti che la Russia non ci abbia mai minacciato e non lo farà, e che dunque in caso di conflitto il nostro paese resterebbe inviolato, forse anche per la presenza del Vaticano – un’idea diffusa a Roma anche durante la Seconda Guerra Mondiale e che s’infranse come una pia illusione con il bombardamento di San Lorenzo.

Al cittadino italiano riesce più facile fare il pacifista della domenica e, mostrando più preoccupazione per gli sbarchi di migranti, chiedere all’Europa di farsi carico di un problema che nei paesi del nord molti considerano come non loro. In Francia il dibattito politico è da tempo condizionato dalla sorte della politica agricola, che ha una ricaduta nell’agenda europea spesso sottostimata dalle opinioni pubbliche di altri paesi, compreso il nostro. Sono solo alcuni esempi di un problema che è strutturale.

Tuttavia i trattori non hanno bloccato solo la Francia, i migranti sbarcano e non si fermano a Ventimiglia o al Brennero, e le radiazioni nucleari o il crollo dei mercati in caso di guerra non conoscerebbero confini. 

Guardiamoci intorno, con la politica, i media, le scuole (il mondo del lavoro e della ricerca lo fa già da tempo), e cerchiamo di convincerci che, anche se non vediamo oltre la punta del nostro naso, l’aria che respiriamo è la stessa.

Nel Regno Unito la maggioranza dei cittadini hanno pensato di potersi convenientemente sfilare dall’Unione europea perché i loro orizzonti erano diversi. Quanto si sono sbagliati, quanto adesso cercano di correre ai ripari.


Niccolò Rinaldi dal 1989 al 1991 è responsabile dell’Informazione per le Nazioni Unite in Afghanistan. In seguito, nel 1991, diviene prima consigliere politico e poi, dal 2000, segretario generale aggiunto al Parlamento Europeo. Nel 2009 è eletto deputato europeo, e diviene vice-presidente dell’Alleanza dei Democratici e Liberali per l’Europa (ALDE). Nel 2014, al termine del mandato europeo, resta come funzionario nell’istituzione dove è attualmente Capo Unità Asia, Australia e Nuova Zelanda. Negli ultimi anni ha tenuto su Il Commento Politico la rubrica Lettere da Bruxelles.

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