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Fronteggiare l’inflazione

di Giovanni Farese

Dopo decenni di bassa marea – qualche anno fa il problema era la deflazione, che è un male altrettanto insidioso – l’inflazione ha rialzato la testa, attestandosi a livelli sconosciuti dagli anni Settanta e inizio anni Ottanta. L’inflazione è una tassa ingiusta, che colpisce i percettori di reddito fisso e incide di più sui redditi più bassi. Aumenta le disuguaglianze, mette in disordine l’intero sistema economico. Per questo le banche centrali hanno da decenni assunto l’impegno della lotta all’inflazione come prioritario.

Nell’area dell’euro l’inflazione, che nel 2021 è stata pari al 2,6%, sarà nel 2022 pari all’8.1%. Tra il valore dell’area euro e i valori dei singoli paesi ci sono differenze profonde. A settembre l’inflazione era in Francia 6,2% mentre in Estonia era 24,1%. In Italia era 8,9%. Sono differenze che riflettono anche il differente mix energetico di ciascun paese, per cui soffrono di più i paesi che importano gas e petrolio, i cui prezzi sono aumentati anche per effetto della guerra di aggressione della Russia all’Ucraina. Questa circostanza rende differente l’inflazione in Europa da quella, anch’essa elevata, presente negli Stati Uniti. Negli Stati Uniti l’inflazione dipende dal surriscaldamento della domanda indotta da politiche fiscali e monetarie espansive. In Europa, senza negare qualche effetto a queste politiche, l’inflazione è dovuta principalmente ai prezzi dei beni alimentari ed energetici, tanto che, se si osserva l’inflazione di fondo, al netto cioè di queste componenti più volatili, l’inflazione risulta fino a due terzi inferiore. Questo rende diversa, in parte, la risposta delle Banche centrali sulle due sponde dell’Atlantico. Più decisa l’azione della Riserva Federale (negli Stati Uniti i tassi sono già al 4%), più prudente quella della Banca centrale europea (in Europa i tassi sono ancora intorno al 2%). In ogni caso, l’era dei tassi bassi o addirittura negativi è finita e le implicazioni sono e saranno significative, per le famiglie e le imprese. La BCE, a sua volta, non potrà seguire troppo da lontano i movimenti della FED, perché un ampliamento nei divari tra i tassi rafforzerebbe ulteriormente il dollaro a scapito dell’euro, e l’Europa importerebbe ulteriore inflazione attraverso il cambio, dal momento che le materie prime a cominciare da quelle energetiche si pagano in dollari.

Esiste, tuttavia, il rischio che una stretta incisiva e simultanea delle banche centrali in giro per il mondo possa spingere nel territorio della recessione. La crescita globale per il 2023 è già oggi stimata, per il Fondo monetario internazionale, allo 0,2%, il dato più basso dal 2001 con l’eccezione del 2008 e del 2020. In questo contesto, è fondamentale che i governi utilizzino i bilanci nazionali per sostenere l’economia, come durante la pandemia, ma che lo facciano in modo per quanto possibile selettivo, per aiutare le famiglie e le imprese che soffrono di più senza alimentare l’inflazione. È più facile per i governi che hanno maggiore spazio di bilancio – come quello tedesco – mentre altri – come quello italiano – saranno via via costretti a esporsi sempre più al giudizio dei mercati e al ritorno, in forma diversa, delle regole fiscali europee, che sono sospese fino al 2023 e intorno alle quali il dibattito è aperto. Il governo italiano ha già spostato l’asticella del deficit dal 3,4% tendenziale al 4,5% programmatico. Il rialzo dei tassi – che per il momento sono ancora tassi reali negativi – farà poi aumentare anche la spesa per interessi. Per il 2025 si prevede in Italia una spesa per interessi sul debito pari a 88,2 miliardi, superiore al record di 86,7 del 2022, anche se l’incidenza sul PIL è inferiore ad allora. Per tutte queste ragioni sarebbe importante disporre di strumenti di indebitamento europeo, per fronteggiare l’inflazione e provare a mitigare la recessione.


Giovanni Farese è Professore associato di Storia dell’economia nell’Università Europea di Roma. È Managing Editor di The Journal of European Economic History e Marshall Memorial Fellow del German Marshall Fund of the United States.

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