di Giorgio La Malfa
Corriere della Sera, 05 agosto 2018
Con viva cordialità
Il problema è che nel loro argomento Cottarelli e Galli si sono dimenticati che quando il reddito aumenta lo Stato incassa delle imposte che compensano in parte, in tutto o più che in tutto, l’aumento del debito dovuto al deficit. Questo effetto indubitabile dipende da un lato da quanto cresce il reddito, cioè dal moltiplicatore (di cui Cottarelli e Galli ammettono l’esistenza), dall’altro dalla pressione fiscale. Per esempio un moltiplicatore del 2,5 e una pressione fiscale come quella italiana del 42% circa darebbero un risultato positivo per il reddito, per il rapporto debito-Pil e per il deficit. Cosicché, anche immaginando a un certo punto di interrompere la politica di deficit spending, il rapporto debito-Pil non sarebbe necessariamente peggiore. Questo è il loro errore. Sfugge loro inoltre che una manovra di deficit spending stimola permanentemente il processo di crescita, attraverso il miglioramento delle aspettative delle famiglie e delle imprese, e quindi dei consumi e degli investimenti privati. Nella fase di normalizzazione dell’economia, questi sostituiranno il deficit e sarà possibile fare austerità di bilancio senza deprimere l’economia. Questa è l’essenza della politica keynesiana che ha dimostrato la sua efficacia sotto tutte le latitudini.
Queste precisazioni servono a eliminare l’equivoco in cui i miei due cortesi contraddittori sono caduti. Torno ora al punto sollevato nel mio articolo (del 30 luglio). Se Cottarelli e Galli avessero scritto che il deficit può stimolare la crescita ma che in un Paese con un debito pubblico elevato questo comporta dei rischi, avrebbero dato un contributo utile. Io stesso ho scritto che nel fissare l’obiettivo di un maggiore tasso di crescita dell’Italia il governo dovrebbe dare priorità a interventi che non comportano un aumento del deficit e solo infine ricavare la cifra del disavanzo da discutere con l’Europa. Negli scorsi anni sono state sperimentate le altre politiche possibili, il severo rientro dal deficit con il governo Monti, il rientro a ritmi più moderati con i tre governi dell’ultima legislatura. Sono fallite ambedue: l’Italia è cresciuta poco e si è aggravato il rapporto debito-Pil. Bisogna affrontare con l’Europa il problema nei suoi esatti termini, senza fughe in avanti (tipo «ignoriamo i vincoli europei») ma neppure nascondendosi la necessità di un percorso di rientro dal debito agevolato da una politica di sostegno alla crescita. L’Europa ci aiuterà se condizionerà il suo assenso al fatto che il deficit spending italiano abbia una vera qualità. Ma è cruciale che il governo si dimostri all’altezza di una sfida di non poco conto. Questa sarebbe la vera novità.