(Bruxelles) – Si tracci un diagramma con due assi, la verticale che indichi il grado di velocità nell’adottare e mettere in atto una decisione, e l’altro il grado di cooperazione nell’intraprenderla, dunque secondo i seguenti poli: lento-veloce; da solo-con altri.
L’Unione Europea, e non diversamente i suoi Stati membri, si collocherà al vertice del primo quadrante, esprimendo il massimo grado di lentezza decisionale e di attuazione, per via delle numerose fasi di una procedura normativa, anche ex-post, e il massimo grado di cooperazione, che nel caso europeo è rappresentata non solo dall’enfasi per il metodo multilaterale e per l’approccio regionale con i paesi partner, ma anche dalla sua dimensione interna – consultazione con le parti sociali, negoziati tra i paesi dell’UE e tra le varie istituzioni europee, coinvolgimento delle amministrazioni locali.
Al vertice opposto del diagramma troviamo gli Stati Uniti della nuova amministrazione: il massimo grado del fast fast fast, e quello dell’antitesi del multilateralismo e delle alleanze strutturali: fare le cose da soli e con spirito protagonista. Del resto, nel suo discorso di insediamento, il Presidente Trump non ha mai pronunciato parole come “Europa”, “NATO”, o anche solo “alleati” o “alleanza”.
Ognuno potrà decidere dove sistemare in un tale grafico paesi come la Cina – rapida nelle sue strategie ma implicata nelle organizzazioni multilaterali e negli accordi a tutto campo con i partner – o l’India, lenta e solitaria. Quanto all’ONU, la ritroviamo in compagnia dell’Europa.
Come ogni grafico, una tale rappresentazione è semplificativa, e tuttavia permette con un colpo d’occhio di prendere atto di certe posizioni degli uni e degli altri. Che il campo transatlantico sia collocato in posizioni così antagoniste potrebbe di per sé costituire un’opportunità. Occorrerebbe però una combinazione virtuosa dei due metodi per riuscire a incidere in modo ottimale sulle varie sfide globali nell’interesse dei valori delle democrazie occidentali. Per ora anziché una potenziale complementarietà vediamo una collisione.
Le rispettive posizioni su questo grafico non suggeriscono niente sulla loro efficacia.
Trump, nel suo primo mandato, ha fallito in quasi tutti i campi abbia applicato il suo metodo spavaldo: ha reso la Cina più influente, ha indebolito il consumatore americano, non ha marcato alcun progresso in Medio Oriente, né con la Corea del Nord. Oggi, con l’Ucraina, sta adottando lo stesso atteggiamento tenuto con i talebani: trattative dirette col nemico, escludendo dal tavolo il governo di Kabul e gli alleati NATO, in nome di un “intendiamoci tra noi” e “facciamo la pace alle vostre condizioni”, e in fretta. Il risultato è stato un disastro.
Non per questo l’Europa, avvezza ai suoi estenuanti passaggi istituzionali, alla sua analisi critica, ai suoi due passi in avanti e uno indietro, al coinvolgimento costante dei suoi interlocutori interni ed esterni, può permettersi di restare a lungo nella posizione della tartaruga. Animale antico, dotato di ottima vista ma di cattivo udito – come l’Europa che su certe cose proprio “non ci sente” – con carne pregiata, e una corazza solida che la protegge da oltre duecento milioni di anni. E con alcune specie a rischio di estinzione.
Niccolò Rinaldi dal 1989 al 1991 è responsabile dell’Informazione per le Nazioni Unite in Afghanistan. In seguito, nel 1991, diviene prima consigliere politico e poi, dal 2000, segretario generale aggiunto al Parlamento Europeo. Nel 2009 è eletto deputato europeo, e diviene vice-presidente dell’Alleanza dei Democratici e Liberali per l’Europa (ALDE). Nel 2014, al termine del mandato europeo, resta come funzionario nell’istituzione dove è attualmente Capo Unità Asia, Australia e Nuova Zelanda. Negli ultimi anni ha tenuto su Il Commento Politico la rubrica Lettere da Bruxelles.