(Bruxelles) – Il mondo cambia, il suo ritmo è la sorpresa. Capita almeno da inizio 2020: le nostre società, i nostri think tank, la nostra diplomazia, la nostra economia, la nostra scienza, non si aspettavano la pandemia, la fuga precipitosa da Kabul, l’eclisse dell’ambiguo idillio di relazioni commerciali con la Cina, un Putin che getta la maschera con un’aggressione così brutale all’Ucraina, Israele che compie atrocità di massa e finisce imputato per genocidio all’Aia, l’attentato a Trump e il trionfo di un verbo negazionista, la disfatta dei Democratici americani e Elon Musk che attacca i giudici italiani, i soldati nord-coreani a combattere in Europa. E l’intelligenza artificiale che promette una nuova era al cospetto della quale l’arrivo dell’energia elettrica o di internet erano stentati passi verso la modernità. E la velocità con la quale aumentano le temperature e si sciolgono i ghiacciai, con le nostre città devastate.
Quasi imperturbabile, l’Europa resta al suo posto. Le sue istituzioni, le sue regole, i suoi riti, sono un raro ancoraggio, un’ombra di stabilità in tante acque agitate. Anche l’attuale stallo sulla definizione della nuova Commissione è parte del cammino di un’Europa che funziona, che non resta con le mani in mano, come ha fatto organizzando i vaccini, accogliendo gli afghani, aiutando l’Ucraina, parlando di “pulizia etnica” e sostenendo la Corte Penale Internazionale al cospetto di Israele, approvando la prima legge al mondo sull’intelligenza artificiale e il piano più avanzato di lotta ai cambiamenti climatici, e diffidando di Trump. L’Europa procede applicando la sua volontà e le sue regole, le stesse da anni.
Questo “tutto cambia, l’Europa non cambia” può essere rassicurante, ma non può durare, come gridato dal Rapporto Draghi, in tempi veloci e imprevedibili. La storia va capita non solo dagli eventi, ma dal loro passo, e anche l’Europa deve cambiare passo. Le sfide impreviste emerse negli ultimi quattro anni potrebbero essere delle bazzecole al cospetto di quanto potrà arrivare nei prossimi quattro. Immaginiamo allora una sorpresa che per una volta arrivi dalla politica europea. Sarebbe impensabile (ci eravamo a un passo nel 1952-1954) la creazione di forze armate europee sottoposte a un comando federale? O una politica comune ed esclusiva dell’energia? O un grande “CNR” europeo per la ricerca per tornare protagonisti nelle innovazioni? Se non a ventisette, queste e altre novità potrebbero essere realizzate attraverso la cooperazione rafforzata, di un nucleo di paesi iniziale e aperto agli altri. L’Europa che si vuole campione dell’innovazione, non è in grado di applicarne il metodo anche alla sua politica? Ed è utopia, al cospetto di quanto sta cambiando il mondo, ipotizzare la costituzione di un cerchio ristretto che crei un unico Stato composto in modo confederale da alcuni dei membri dell’UE?
Rompere gli attuali equilibri, che proprio perché a loro modo funzionano rischiano di protrarsi fino al punto di condannare l’Europa all’irrilevanza mentre altri vorranno portare i potenti del pianeta su Marte, spetta oggi soprattutto agli Stati membri più grandi. La loro combinazione ne fa oggi una squadra di pionieri quasi perfetta: una Spagna socialista, una Francia che è un equilibrio di tutti gli umori, un’Italia con una destra che vuole mostrarsi statista, una Germania mai plurale come adesso e soprattutto non più in posizioni egemoniche, una Polonia che sa bene rappresentare la sensibilità di quella parte d’Europa. Senza escludere nessun altro, questi paesi dovrebbero assumere una leadership investendo le istituzioni comuni di nuovi poteri, e creando dei “fatti nuovi” tali da stupire il mondo. Ci stanno provando i BRICS, con ambizione e altrettanta inconcludenza, con capacità di attrazione e altrettanta incompatibilità tra le rispettive società – lo possiamo fare meglio noi.
Niccolò Rinaldi dal 1989 al 1991 è responsabile dell’Informazione per le Nazioni Unite in Afghanistan. In seguito, nel 1991, diviene prima consigliere politico e poi, dal 2000, segretario generale aggiunto al Parlamento Europeo. Nel 2009 è eletto deputato europeo, e diviene vice-presidente dell’Alleanza dei Democratici e Liberali per l’Europa (ALDE). Nel 2014, al termine del mandato europeo, resta come funzionario nell’istituzione dove è attualmente Capo Unità Asia, Australia e Nuova Zelanda. Negli ultimi anni ha tenuto su Il Commento Politico la rubrica Lettere da Bruxelles.