L’America ha scelto. Ne prendiamo atto. Non ci interessa in sede politica analizzare le ragioni del voto degli americani, né discutere le ragioni del risultato. Ha vinto Donald Trump e per i prossimi quattro anni sarà lui a dettare le scelte dell’Amministrazione. Di questo oggi ci si deve occupare.
Il primo problema è quali saranno queste scelte, di cui oggi non è possibile sapere. C’è sempre un vasto divario fra le indicazioni programmatiche e le scelte politiche concrete che seguono. Nel caso specifico, praticamente non c’è nulla che dica che cosa farà davvero l’America. Salvo forse nei confronti dell’Europa, verso la quale Donald Trump sembra avere accumulato un forte risentimento legato alla concorrenza che l’Europa ha fatto in molti campi agli Stati Uniti nel corso degli ultimi decenni.
Questo ci dice che con ogni probabilità che l’Europa avrà su molte questioni un avversario, ma sappiamo anche che Trump non potrà non essere anche un nostro interlocutore, dato l’intreccio di rapporti politici, economici e militari fra i due lati dell’Atlantico. Sappiamo che Trump avrà una relazione meno conflittuale con la Russia, ma non sappiamo come reagirà la Russia a questa minore ostilità, se se ne avvarrà per spingere in avanti il suo desiderio di potenza o se invece avrà meno timore della pressione europea e cercherà un modus vivendi con gli Stati Uniti, ma anche con l’Europa. Né sappiamo come, a sua volta, reagirebbe Trump alle mosse di Putin, se questi dovesse interpretare la nuova situazione come tale da dare il via libera alle sue aspirazioni revansciste in Europa orientale.
Anche la Cina dovrà fare i conti con la nuova Presidenza e potrà reagire in una direzione o nell’altra. Potrà decidere che Taiwan è matura per la ricongiunzione con la Cina, ma potrà anche temere una reazione incontrollata di Trump alle sue pretese su Taiwan. E Trump dovrà a sua volta reagire alle mosse della Cina. Spingerà il conflitto sulle questioni economiche? Metterà i dazi su tutto quello che la Cina esporta negli Stati Uniti o sarà prudente?
Lo stesso, infine, per il Medio Oriente. È chiaro che la vittoria di Trump risponde agli auspici di Netanyahu e della destra israeliana, ed è possibile che gli Stati Uniti possano incoraggiare lo scontro con l’Iran. Ma è anche vero che se il Presidente degli Stati Uniti dovesse chiedere a Israele moderazione, Israele avrebbe meno spazio di quello che ha avuto di fronte all’Amministrazione Biden per divincolarsi e rifiutarsi.
Dunque, che cosa sarà l’America di Trump, semplicemente noi non sappiamo. Una cosa è certa, anche se non necessariamente tranquillizzante: la vittoria di Trump rende più forte l’America sul piano internazionale. Più forte perché essa dispone della potenza militare e dalla solidità economica che conosciamo ed è oggi guidata da un leader che sembra non concepire limiti all’affermazione della propria volontà. In passato alcuni passi importanti negli sviluppi della pace nel mondo sono venuti da Presidenti di destra, da Nixon a Reagan. I sì e i no di Trump saranno sicuramente ascoltati con maggiore attenzione di quanto non siano stati in questi anni i sì e i no dell’Amministrazione democratica.
Noi non facciamo previsioni. Vedremo. Sappiamo, in ogni caso, che per l’Italia e per l’Europa, che Trump punta a dividere e indebolire, inizia un periodo in cui saremo chiamati ad affrontare con grande serietà problemi che in passato abbiamo cercato di evitare. Sarà un test anche per le classi dirigenti europee.