(Bruxelles) – Il cambio di rotta impresso dal Presidente Trump alla bussola dell’alleanza tra paesi occidentali, è caratterizzato anche da un’incognita che costituisce un ulteriore fattore di disorientamento per l’Europa e per gli altri tradizionali “amici” degli Stati Uniti. La nuova Amministrazione racchiude un nucleo non facilmente definibile – né nella sua composizione e tantomeno nell’effettivo ruolo che gli è assegnato – composto da una ristretta cerchia di persone che sono a seconda delle circostanze interlocutori, consiglieri, portavoce del Presidente, perfino agitatori o propagandisti. Elon Musk è il più rappresentativo di questo gruppo, ma non è il solo, come è stato plasticamente visibile anche alla cerimonia di insediamento di Trump: non i capi di governo o di Stato dei paesi amici (con la notevole eccezione della nostra Presidente del Consiglio e del Presidente dell’Argentina), ma a costituire il pubblico privilegiato erano soprattutto alcuni grandi capitani dell’industria americana. Qualcuno ha calcolato la quantità di miliardi di dollari per metro quadrato in quelle prime file.
Con l’insediamento del nuovo esecutivo, questa compagine ha acquisito un ruolo del tutto inedito nella politica americana nella vita diplomatica, scavalcando spesso ministri e un potere legislativo al cui controllo riescono a sfuggire proprio per il compito sfumato che interpretano. Musk ci mette costantemente la faccia e, non si capisce a quale titolo, vorrebbe anche un incontro con il Presidente Mattarella, altri sono più defilati ma non meno influenti. Un cerchio poco ortodosso di cui l’Europa – dalla politica ai media – deve prendere le misure riconoscendone alcuni tratti specifici.
Un primo elemento è il potere finanziario di questi personaggi, individuale e delle imprese che controllano, tale da permettere una disinvoltura, in certi casi perfino una deliberata sfacciataggine, rispetto alle consuetudini e ai ruoli istituzionali.
Un secondo elemento è che tale ricchezza non deriva da rendite di posizione, ma dall’essere “innovatori” nel campo dell’intelligenza artificiale, degli algoritmi, dei social network e di una nuova frontiera della comunicazione (come abbiamo visto nella trappola in diretta tesa al Presidente Zelensky), dei satelliti, del controllo di data base con dati personali, delle nuove forme di distribuzione, dell’informatica, della mobilità di ultima generazione. Non si tratta di classici “paperoni” e capitani d’industria, ma soprattutto di geniali ideatori, padroni di quei mezzi capaci non solo di influenzare direttamente ma addirittura di trasformare le nostre le società.
In terzo luogo, esiste anche una base ideologica, che va oltre la logica del profitto aziendale, e che seppure non dichiarata nega alcuni valori fin qui condivisi dell’Occidente – il diritto internazionale, la separazione dei poteri, i diritti della persona, il libero commercio – per privilegiare rapporti di forza e il primato del vincitore al cospetto di chi viene percepito come più debole, qualunque sia la sua identità (migranti, ucraini troppo “velleitari” per difendersi, o giudici della Corte Penale Internazionale altrettanto “velleitari”, palestinesi, e via dicendo). In nessuna occasione abbiamo letto la benché minima manifestazione di empatia da parte di questi soggetti per i meno tutelati nel mondo, mentre abbiamo ascoltato irrisione perfino verso i disabili e dichiarazioni di esplicito sostegno a chi, anche in Europa, propugna esclusione.
Infine, questo gruppo di “mega-influencer”, ha un’allergia per regole e paletti legislativi, per gli stessi ruoli istituzionali ben definiti, e forse per ciò che potremmo definire gli “scrupoli morali”. Del resto, essi potrebbero sostenere che è proprio l’assenza di scrupoli che gli ha permesso di creare la più fitta rete satellitare o un sistema di vendita rivoluzionario che ha travolto il tradizionale commercio.
Rispetto a questo ritratto, l’Europa, terra di diritti e di regole, l’Europa sorella maggiore e minore dell’America, pare plasmata secondo un modello opposto. Ma pur sempre permeabile: la storia ci ricorda che dall’America sono arrivati cambi epocali nella cultura e nella politica che si sono adattati alle specificità europee.
Tutto ciò non affida a noi europei un compito facile, e, in virtù del ruolo che ci spetta nell’Occidente, è bene capire con chi e cosa si ha che fare.
Niccolò Rinaldi dal 1989 al 1991 è responsabile dell’Informazione per le Nazioni Unite in Afghanistan. In seguito, nel 1991, diviene prima consigliere politico e poi, dal 2000, segretario generale aggiunto al Parlamento Europeo. Nel 2009 è eletto deputato europeo, e diviene vice-presidente dell’Alleanza dei Democratici e Liberali per l’Europa (ALDE). Nel 2014, al termine del mandato europeo, resta come funzionario nell’istituzione dove è attualmente Capo Unità Asia, Australia e Nuova Zelanda. Negli ultimi anni ha tenuto su Il Commento Politico la rubrica Lettere da Bruxelles.