Asia-Centrale

Così in Asia Centrale si aggirano le sanzioni alla Russia

BRUXELLES – Dall’inizio della guerra in Ucraina alla fine del 2022, le esportazioni di legno dal Kirghizistan sono aumentate di 18.000 volte – non è un refuso: diciottomila – e questo nonostante che la legislazione locale ne vieti il commercio. È un dato che emerge da una ricerca di Kloop su dati Eurostat che non allarma la nostra coscienza ambientale: perché le foreste di questa Svizzera dell’Asia Centrale restano intatte e il boom dell’industria del legno è una forma di mascheramento: legno russo e bielorusso, sotto sanzioni, che viene certificato come kirghiso.

È solo uno dei dati colossali nel quale in futuro s’imbatteranno gli storici delle statistiche, verosimilmente sconcertati al cospetto di due sponde: l’aumento improvviso delle esportazioni dall’Unione Europea verso alcuni paesi dell’Asia Centrale, e l’aumento ancora maggiore, in alcuni casi gigantesco, delle esportazioni da questi paesi verso la Russia. Oppure: l’aumento delle loro importazioni dalla Russia e delle loro esportazioni verso l’Unione Europea. Un solo esempio: dal febbraio 2022, il volume delle merci finlandesi verso il Kirghizistan è cresciuto del 430%, e nell’altro senso di oltre l’800%.

È una girandola dei numeri impressionante, soprattutto per paesi come il Kazakistan e il Kirghizistan che con la Russia costituiscono un’unione doganale. Secondo Bloomberg, il valore dei semiconduttori forniti dal Kazakistan alla Russia nel 2022 è passato da 12.000 dollari a 3,7 milioni. Oppure: nel 2022, il Kazakistan, che non è un produttore di polvere da sparo, ne ha importato quasi 18 tonnellate dalla Francia ed esportato quasi 12 in Russia – a fronte di volume commerciale nel 2021 pari a zero. Le consegne di laser alla Russia da Astana sono passate da 50 nel 2021 a 117.000 nel 2022, quelle di sistemi di radar e di controlli remoti sono aumentate di 22 volte, quelle di semiconduttori alla Russia di quattro volte, quelle di circuiti integrati di 74 volte. Il commercio di telefoni è cresciuto di 90 volte. Anche gli elettrodomestici hanno conosciuto un incremento delle esportazioni verso Mosca: 23 volte quelle dei frigoriferi, 51.600 volte di più per le lavatrici e 45 volte per le lavastoviglie, 1.386 volte per i forni. Non si tratta d’una crescita del benessere delle casalinghe russe, poiché sono tutte apparecchiature con componenti riutilizzabili per scopi militari. Tornando al Kirghizistan, a fronte di zero denotatori esportati verso la Russia nel 2021, nel 2022 sono stati 115.920.

Anziché proseguire in questa galleria di enormità (peraltro l’Asia Centrale non è nuova a numeri fuori scala), ci soffermeremo su alcuni aspetti.

1. Tali statistiche sono, per definizione, frammentarie, non ufficiali, frutto di raccolte settoriali da parte di autorevoli inchieste giornalistiche, di ricercatori, della Banca Europea di Ricostruzione e Sviluppo, di organizzazioni non governative o gruppi di opposizione ai regimi autocratici. Manca, come è forse inevitabile quando si affronta un tema come l’aggiramento di sanzioni internazionali, un quadro completo, ed è significativo che alcuni paesi dell’Asia Centrale abbiano smesso di pubblicare gli aggiornamenti dei loro volumi commerciali guarda caso proprio a partire dell’inizio della guerra in Ucraina. Per correre ai ripari, è stato nominato un Inviato Speciale per le sanzioni, l’ex segretario generale della Commissione David O’ Sullivan, ma le stesse istituzioni europee sembrano non disporre di uno strumento di monitoraggio – o, se una raccolta esiste, rimane riservata.

2. Questi dati sono verosimilmente la punta di un iceberg. In una conversazione privata, un alto diplomatico europeo ha anche evocato le esportazioni di nitro-idrogeno dalla Finlandia all’Uzbekistan – un paese che non ne aveva mai commerciato prima e che probabilmente si presta a una triangolazione con la Russia. Per alcuni prodotti – come petrolio, gas, software per aeroplani e molto altro – le sanzioni sono aggirate con operazioni più complesse, attraverso la creazione di una serie di società – a volte a capitale russo, altre europeo – create direttamente in Asia Centrale, dove molte aziende si sono trasferite dalla Russia. La responsabilità delle autorità nazionali degli Stati membri dell’UE è certamente rilevante, nel chiudere spesso uno o due occhi al cospetto di queste operazioni.

3. Una tale moltiplicazione dei pani e dei pesci ha bisogno di investimenti nella logistica, che è quello che accade nel Kazakistan, che ha una frontiera di 7.600 chilometri con la Russia, e che sta predisponendo nuovi terminal, nuove rotte stradali e ferroviarie, e perfino aeroporti riconvertiti a operazioni cargo. Non sono sforzi che possono passare inosservati, e lo stesso recente vertice dell’Unione Economica euroasiatica del 24-25 maggio, si è concluso con un accordo nel rafforzare gli investimenti infrastrutturali geostrategici a favore della Russia.

4. Siamo dunque in presenza di un’asimmetria dei rapporti politici. Da una parte il Kazakistan beneficia di un accordo di Partenariato e Cooperazione Rafforzato con l’Unione Europea che comprende numerosi strumenti di dialogo bilaterale e di trattamento commerciale privilegiato. La firma di un accordo simile con l’Uzbekistan è attesa entro l’anno, e un generoso regime di GSP+ è stato concesso dall’Unione Europea ed è già in vigore anche in Kirghizistan. Dall’altra parte, queste relazioni vantaggiose non sembrano aver fermato la spregiudicata azione nel soccorrere la Russia con forme di aggiramento delle sanzioni talmente flagranti da apparire grossolane, eppure finora del tutto impunite.

La partecipazione a fianco di Putin di tutti i capi di stato dell’Asia Centrale alla parata del 9 maggio è un’immagine plastica. Nessuno può sottostimare quanto delicato sia il rapporto dell’Asia Centrale con la Russia, per ragioni storiche, culturali, per la presenza massiccia in Russia di migranti di paesi come Tagikistan e Kirghizistan, per i meccanismi di sicurezza forniti da Mosca, i cui carri armati l’anno scorso hanno salvato il Presidente Tokayev dalla rivolta della piazza che voleva democrazia, e un indomani potrebbero aiutare il Tajikistan a contenere le infiltrazioni di jihadisti dall’Afghanistan. Ma, al tempo stesso, nessuna giustificazione politica può sostenere violazioni da capogiro nel silenzio dell’Europa, che, per dirla in buon italiano, qualcuno sta facendo fessa.


Niccolò Rinaldi dal 1989 al 1991 è responsabile dell’Informazione per le Nazioni Unite in Afghanistan. In seguito, nel 1991, diviene prima consigliere politico e poi, dal 2000, segretario generale aggiunto al Parlamento Europeo. Nel 2009 è eletto deputato europeo, e diviene vice-presidente dell’Alleanza dei Democratici e Liberali per l’Europa (ALDE). Nel 2014, al termine del mandato europeo, resta come funzionario nell’istituzione dove è attualmente Capo Unità Asia, Australia e Nuova Zelanda. Negli ultimi anni ha tenuto su Il Commento Politico la rubrica Lettere da Bruxelles.

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